LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4526-2021 proposto da:
C.A., V.S., domiciliati presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentati e difesi dall’avvocato SIMONETTA PIZZOTTI;
– ricorrenti –
contro
M.L., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA TERESA PALUMBO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2276/2020 del TRIBUNALE di CATANIA, depositata il 01/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.
FATTO E DIRITTO
considerato che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, formulati dal relatore in seno alla proposta:
“ritenuto che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:
– il Giudice di pace, accolta la domanda di V.S. e C.A., proposta nei confronti di M.L., affermato che i denunciati inconvenienti (emissioni maleodoranti), derivanti dalla presenza di una cucciolata di cani nell’unità immobiliare del convenuto, era cessata in corso di causa, condannò il convenuto al risarcimento del danno, quantificato in Euro 250,00, nonché a demolire un manufatto non autorizzato;
– il Tribunale di Catania, accolto in parte l’appello del M., in riforma parziale della sentenza di primo grado, nel resto confermata, rigettò la domanda attorea volta alla cessazione delle immissioni olfattive intollerabili (provenienti anche da una struttura esterna adibita a cucina) e, regolando le spese, compensò per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi e pose, ciascuno per la metà, le spese di ctu, a carico di entrambe le parti medesime;
– V.S. e C.A. ricorrono avverso la sentenza d’appello sulla base di cinque motivi e che la controparte (resiste con controricorso); considerato che il primo motivo, con il quale i ricorrenti denunciano nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 339 c.p.c., comma 3, assumendo che la decisione di primo grado, poiché pronunciata secondo equità ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, avrebbe potuto essere appellata esclusivamente “per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori la materia” e non ricorrendo nessuna delle ipotesi di legge lo strumento impugnatorio azionato non era ammissibile, è manifestamente destituito di giuridico fondamento per le ragioni che seguono:
– come, peraltro, si trae dalla stessa narrazione del ricorso, il Giudice di pace venne investito dagli attori da un cumulo di domande, consistite nella richiesta d’inibitoria delle immissioni illegittime, nel risarcimento del danno e, infine, di demolizione di un manufatto; di conseguenza, non ricorre l’ipotesi del giudizio d’equità a norma dell’art. 113 c.p.c.;
considerato che il secondo motivo, con il quale i ricorrenti denunziano nullità della sentenza e/ o del procedimento per violazione dell’art. 91 e ss. c.p.c., per avere il giudice dell’appello disposta la compensazione di entrambi i gradi del giudizio, è manifestamente destituito di giuridico fondamento, avendo il Tribunale giustificato la scelta, non sindacabile in questa sede, con il parziale accoglimento della domanda attorea (e’ appena il caso di chiarire che il Tribunale disattese la domanda di condanna alla cessazione delle immissioni derivanti dalla presenza dei cani perché esse erano già cessate al momento della notificazione delle citazione; ed escluse la sussistenza d’immissioni vietate provenienti da a un cucinino esterno), evenienza questa che, come questa Corte ha avuto modo di spiegare, giustifica la scelta (cfr., da ultimo, Cass. n. 516/2020);
considerato che il terzo e il correlato quarto motivo, con i quale i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 3 e 24 Cost., e l’assenza di motivazione a riguardo della decisione di compensare le spese, è inammissibile: a) questa Corte in plurime occasioni ha spiegato che la denunzia di violazione di norme costituzionali è inammissibile, stante che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (di recente, Sez. 5, n. 15879, 1516 / 2018, Rv. 649017; conf. n. 3709 / 2014); b) al contrario di quanto apoditticamente affermato dal ricorso, che non si confronta con la decisione, la scelta in parola risulta, come si è visto, essere stata giustificata dal Giudice d’appello; considerato che il quinto motivo, con il quale i ricorrenti denunziano nullità della sentenza e/ o del procedimento “per travisamento ed errata valutazione delle risultane istruttorie nonché delle domande degli appellanti”, non è in questa sede scrutinabile, evocando esso un improprio riesame di merito, sulla base di una generica e aspecifica (per difetto di autosufficienza) prospettazione;
considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21 / 3/ 2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi ‘inconsistentì”;
considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore del controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;
che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022