LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19402/2015 R.G. proposto da:
B.S., rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Artese e dall’avv. Claudio Lucisano, presso il cui studio in Roma, via Crescenzio n. 91, è elettivamente domiciliato;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –
Avverso la sentenza n. 31/2015 della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, depositata il 13/1/2015 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/6/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.
RILEVATO
che:
1. Con tre distinti avvisi di accertamento, l’Agenzia delle Entrate-Direzione provinciale di Lecco, in seguito ad accertamento sintetico operato sulla base di alcuni indici di capacità contributiva individuati nel possesso di autoveicoli, residenze principale e secondarie e spese gestionali, contestò a B.S. l’omesso pagamento dell’Irpef e delle addizionali relative agli anni di imposta 2006, 2007 e 2008.
Impugnati con tre distinti ricorsi i predetti atti dal contribuente, la C.T.P. di Lecco, in seguito alla mancata adesione dello stesso alle proposte di mediazione avanzate dall’Ufficio, accolse interamente la domanda con la sentenza n. 68/1/13, depositata il 30/5/2013, che, impugnata dall’Ufficio, fu riformata dalla C.T.R. per la Lombardia con la sentenza n. 15/2015.
2. Contro la predetta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per “erronea esposizione del fatto quale svolgimento del processo”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. ritenuto che per gli anni in contestazione il contribuente avesse omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, benché nessuna omessa dichiarazione potesse configurarsi nella specie in assenza di alcun obbligo in tal senso a suo carico. Ad avviso del contribuente, inoltre, la motivazione della sentenza impugnata, oltre ad essere del tutto carente e insufficiente, reca varie inesattezze, come quella afferente all’asserita omessa considerazione, da parte dei giudici di primo grado, delle doglianze dell’Ufficio, benché queste siano state dagli stessi esaminate e ritenute infondate, e quella relativa all’affermata asserzione, sempre da parte della C.T.P., della infondatezza di tutte le eccezioni del contribuente, benché siano state considerate tali soltanto quelle preliminari di diritto.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. omesso di considerare la prova offerta a dimostrazione della legittima disponibilità di reddito al di sotto dello scostamento e a giustificazione dell’alto tenore di vita rilevato dal fisco, derivante dall’accumulo di ricchezza conseguito negli anni precedenti e dalla posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, costituito da moglie e tre figli, uno dei quali titolare di redditi da lavoro dipendente e l’altro di indennità di accompagnamento in ragione della sua grave disabilità, tale da consentire l’accesso ad agevolazioni fiscali anche per l’acquisto di autovetture. Ad avviso del contribuente, la C.T.R. ha inopinatamente attribuito l’indennità di accompagnamento a lui e il reddito dell’altro figlio alla moglie, omettendo di analizzare l’ampia documentazione prodotta attestante le entrate accumulatesi negli anni.
3. Il primo motivo è inammissibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda e alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata (Cass., Sez. L., 23/5/2008, n. 13373; Cass., Sez. L., 10/11/2008, n. 26921), se non quando la pronuncia contenga una statuizione contraria all’interesse della parte medesima suscettibile di formare il giudicato (Cass., Sez. 2, 11/12/2020, n. 28307), oltre a imporre la prospettazione di quali lesioni siano, in concreto, derivate ai diritti e alle facoltà della parte dagli errori motivazionali contenuti nel provvedimento impugnato (vedi in tema di interruzione del processo, Cass., Sez. 3, 9/3/2012, n. 3712; in tema di tardività dell’appello pronunciata con ordinanza ex art. 348-ter, c.p.c.).
Orbene, il ricorrente non si è affatto attenuto a tali principi, non soltanto perché nessuna incidenza sulla posizione del medesimo possono avere carenze motivazionali relative a deduzioni difensive della controparte, prospettabili semmai soltanto da quest’ultima, ma anche perché la stessa asserzione, contenuta in sentenza, circa la reputata infondatezza, da parte dei giudici di primo grado, di tutte le eccezioni proposte dal contribuente, non sembra avere avuto (né alcuna deduzione vi è sul punto) alcuna ricaduta sull’esito della lite, tanto nel giudizio di primo grado, siccome favorevole allo stesso, quanto in quello di secondo grado, esitato nell’accoglimento del gravame proposto dall’Ufficio ma per motivi che esulano dalla questione sollevata.
Ne deriva l’inammissibilità del motivo.
4. Il secondo motivo è invece fondato.
E’ orientamento consolidato ritenere che la nullità processuale della sentenza (per motivazione totalmente mancante o motivazione apparente) sia integrata nell’ipotesi di “assenza” della motivazione, quando cioè “non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione”, non configurabile nel caso di “una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata” (ad es., da ultimo, Cass. Sez. 3, 15/11/2019, n. 29721) ovvero nel caso di “motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado” (cfr. ad es. Cass. Sez. L, 25/10/2018, n. 27112) ovvero qualora la motivazione “risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione” (ad es. Cass. Sez. 6 – 3, 25/09/2018, n. 22598; ipotesi ravvisata anche in caso di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione”, Cass. Sez. 6 – L, 25/06/2018, n. 16611).
Nella specie, la C.T.R., a fronte del contenuto della prova contraria concessa al contribuente in caso di accertamento sintetico, la quale deve vertere sulla dimostrazione che il maggior reddito determinato o determinabile è costituito “in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, attraverso la produzione di “idonea documentazione” attestante “l’entità” e “la durata” del possesso (Cass., Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104; Cass., Sez. 6 – 5, 26/01/2016, n. 1332) e il riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega (Cass., Sez. 5, 21/11/2019, n. 30355), si è limitata a fare generico richiamo, sostanzialmente per relationem, alle verifiche operate dall’Ufficio, a suo dire affatto esaminate dai giudici di prime cure, e vaghi accenni ai redditi della moglie (a sua volta soggetta ad accertamenti per gli anni di imposta 2007 e 2008) e del solo figlio Matteo e alla percentuale di attribuzione della casa di abitazione, senza alcun accenno al possesso di redditi da risparmio e a quelli dell’intero nucleo familiare (ciò che peraltro ha condotto questa Corte, con ordinanza n. 25951 del 2016, a cassare con rinvio, per i medesimi motivi, la sentenza emessa nei confronti della moglie per gli anni 2007 e 2008, la C.T.R. in sede di rinvio, in data 24/1/2018, ad accogliere l’impugnazione da essa proposta e l’Ufficio, in data 12/6/2019, ad operare lo sgravio per i medesimi periodi di imposta), così impedendo di comprendere quale sia stato il percorso logico-argomentativo che ha condotto alla decisione e perfino il thema decidendum.
Ne consegue la fondatezza della doglianza.
5. In conclusione, rigettato il primo motivo e accolto il secondo, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, la quale dovrà decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022