LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19462/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
P.T., rappresentata e difesa dall’avv. Emiliano Rossetto, presso il cui studio in Roma, piazza del Risorgimento n. 14, è
elettivamente domiciliata;
– resistente –
Avverso la sentenza n. 523/09/2015 della Commissione tributaria regionale per il Lazio, depositata il 30/1/2015 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/6/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.
RILEVATO
che:
1. Con due distinti di avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2004 e 2005, notificati il 28/12/2009, l’Agenzia delle Entrate rettificò sinteticamente, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 e ss., e del D.M. 10 settembre e del D.M 19 novembre 1992 (c.d. redditometro), i redditi dichiarati da P.T., determinando maggiori imposte ai fini Irpef e addizionali e irrogando sanzioni pecuniarie, sulla base dell’acquisto nel 2004 di un’autovettura BMW X3, della proprietà altre due autovetture, una dal 1991 e l’altra dal 1996, e della proprietà di quattro unità immobiliari, tre in Roma (due dei quali nella misura del 50%) e una in Ciampino, e dello scostamento, per due anni consecutivi, di almeno un quarto tra il reddito accertato e quello imponibile dichiarato. Impugnati dalla contribuente, con due distinti ricorsi, i predetti atti e riconosciuta dall’Ufficio la parziale fondatezza delle censure proposte, con rideterminazione del reddito accertato, la C.T.P. di Roma, previa loro riunione, accolse la domanda con la sentenza n. 441/32/13, che fu confermata dalla C.T.R. per il Lazio con la sentenza n. 523/09/2015, del 15/1/2015, con la quale respinse l’appello proposto dall’Ufficio.
2. Contro la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. La contribuente resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38 e 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. annullato gli avvisi sulla base della reputata incongruità della motivazione degli atti a fornire informazioni in merito allo scostamento, per due anni consecutivi, del reddito dichiarato rispetto a quello accertabile e sulla sua conseguente inidoneità a rendere edotta la contribuente della sussistenza dei presupposti normativi dell’operata rettifica. Ad avviso dell’Ufficio, invece, la sussistenza di quest’ultimo presupposto normativo era facilmente conoscibile dalla contribuente, posto che alla predetta erano stati contestualmente notificati due avvisi di accertamento per gli anni 2004 e 2005, nei quali erano stati chiaramente indicati gli elementi sulla cui base era stato verificato lo scostamento contestato, tanto è vero che la stessa, in fase di impugnazione, era stata in grado di controbattere alle pretese dell’Ufficio e che quest’ultimo aveva rettificato quanto inizialmente richiesto. Inoltre, il vizio rilevato, in ragione del principio della strumentalità delle forme e della conservazione degli atti, non poteva avere valore invalidante in quanto ultroneo rispetto alla contestuale notifica dei due avvisi per anni consecutivi e in quanto, in ragione di ciò, il relativo contenuto, anche in assenza di vizio formale, non sarebbe stato diverso.
2. Il motivo è fondato.
In tema di accertamento tributario con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nel testo vigente ratione temporis, anteriore alla modifica intervenuta con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, infatti, l’Amministrazione finanziaria può presumere il reddito complessivo netto del contribuente sulla base della “spesa per incrementi patrimoniali” da questi sostenuta, la quale si presume affrontata nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro anni precedenti, e di una serie di indici di capacità contributiva fondati sui consumi e, in particolare, sulla disponibilità dei beni e servizi descritti nella tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992 e nel D.M. n. 19 novembre 1992 (c.d. redditometro) e su ulteriori circostanze di fatto indicative di una diversa capacità contributiva (Cass., Sez. 5, 21/07/2015, n. 15289), quando il reddito dichiarato non risulti congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta. La rettifica del reddito secondo tali modalità dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, in quanto la disponibilità dei beni individuati nei predetti decreti costituisce una presunzione di capacità contributiva da qualificare come legale ai sensi dell’art. 2728 c.c., con la conseguenza che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente l’onere di fornire la prova dell’inesistenza del reddito presunto o della misura inferiore dello stesso (Sez. 5, 19/04/2013, n. 9539; Cass., Sez. 6 – 5, 10/08/2016, n. 16912; Cass., Sez. 5, 31/10/2018, n. 27811; Cass., Sez. 6 – 5, 26/06/2017, n. 15899).
Come già sostenuto da questa Corte, l’art. 38, comma 4, citato non impone all’Ufficio di procedere all’accertamento contestualmente per i due o più periodi di imposta per i quali esso ritiene che la dichiarazione non sia congrua, ma postula che l’atto di accertamento sintetico per un determinato anno di imposta, al fine di consentire la difesa del contribuente su tale aspetto, contenga la pur sommaria indicazione delle ragioni in base alle quali la dichiarazione si ritiene incongrua anche per gli altri periodi di imposta, così da legittimare l’accertamento sintetico. Il giudice tributario, a fronte della specifica eccezione del contribuente, non deve perciò limitarsi ad accertare se l’Ufficio abbia preso in considerazione due o più anni consecutivi, ma piuttosto se dall’atto di accertamento possano desumersi le ragioni per le quali l’Ufficio stesso abbia ritenuto non congrua la dichiarazione per tali annualità, in modo tale da consentire al contribuente di contestare la circostanza (Cass., Sez. 5, 5/11/2008, n. 26541; Cass., Sez. 6-5, 5/5/2017, n. 10972).
Tale principio opera sinergicamente con quello che annovera il processo tributario tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass., Sez. 6-5, 5/5/2017, n. 10972 cit.; Cass., Sez. 5, 10/9/2020, n. 18777).
Vi è allora da chiedersi se la sostanziale carenza di motivazione dell’avviso di accertamento in merito al presupposto della incongruità del reddito dichiarato per due o più periodi di imposta, come nella specie, incida sulla sua validità quando la superfluità di questo aspetto si renda evidente sulla base delle circostanze del caso concreto.
Soccorre al riguardo l’individuazione delle molteplici funzioni assolte dalla motivazione dell’avviso di accertamento che questa Corte ha individuato in quella di garantire il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, di consentire una corretta dialettica processuale, presupponendo l’onere di enunciare i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, e la presenza di leggibili argomentazioni dell’atto amministrativo, contrapposte a quelle fondanti l’impugnazione, e, infine, di assicurare, in ossequio al principio costituzionale di buona amministrazione, un’azione amministrativa efficiente e congrua alle finalità della legge, permettendo di comprendere la ratio della decisione adottata (Cass., Sez. 5, 17/10/2014, n. 22003).
L’obbligo motivazionale dell’accertamento deve dunque ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta e sia dato conto, dunque, degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta e dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., Sez. 5, 08/11/2017, n. 26431).
Se dunque l’esigenza sottesa all’obbligo motivazionale è quella di rendere edotto il contribuente degli elementi essenziali della pretesa, al fine di consentirgli di predisporre una difesa consapevole e di circoscrivere l’oggetto del giudizio, è evidente che questa non possa dirsi violata quando gli elementi costitutivi della fattispecie contestata emergano dalla contestuale notifica di due avvisi di accertamento, riferiti ad annualità differenti, ciascuno dei quali, con riguardo al requisito delle due annualità, trovi giustificazione nell’altro, come accaduto nella specie, consentendosi in tal modo al contribuente di conoscere a quali anni di imposta si riferisca lo scostamento verificato per ciascuna annualità e di approntare le relative difese, risolvendosi altrimenti l’esame parcellizzato e atomistico degli stessi, ancorché conosciuti dal contribuente e confluiti in un unico procedimento giudiziario, in un inutile formalismo, non funzionale alle finalità perseguite dall’obbligo motivazionale gravante sull’Amministrazione.
Se ne deduce che la C.T.R. ha errato nell’affermare che gli avvisi di accertamento impugnati fossero nulli in quanto mancanti della precisa indicazione di quali fossero le due annualità consecutive nelle quali vi era stato lo scostamento di almeno un quarto tra il reddito complessivo accertato e quello dichiarato, limitandosi a richiamare genericamente la sussistenza di questo requisito in base all’art. 38, e che soltanto la riunione dei due procedimenti avesse consentito di individuare nello specifico quali fossero le due annualità, posto che la generica indicazione del requisito in ciascuno di essi non ha affatto inibito in concreto le difese della contribuente, che nessun vulnus ha subito in merito, tanto da avere potuto depositare coevi ricorsi, né ostacolato il potere accertativo del giudice.
Va infine osservato come non fosse a carico dell’Ufficio alcun onere di riproposizione delle questioni rimaste assorbite, atteso che, nel giudizio di cassazione, non trova applicazione il disposto dell’art. 346 c.p.c., relativo alla rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado, sicché sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non riproposte in sede di legittimità all’esito di tale declaratoria, non si forma il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio (Cass., Sez. 2, 24/1/2011, n. 1566; Cass., Sez. 1, 28/8/2004, n. 17201; Cass., Sez. 2, 30/3/2000, n. 3908).
Ne deriva la fondatezza del motivo.
3. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla C.T.R. per il Lazio che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. per il Lazio che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022