Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.694 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2495-2015 proposto da:

A.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo studio dell’avvocato LORENZO GIUA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3005/2014 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 12/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2021 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO.

RILEVATO

che:

con sentenza n. 3005/21/14 pubblicata il 12 maggio 2014 la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 415/20/12 con la quale era stato accolto il ricorso proposto da A.M.L. avverso l’avviso di accertamento n. ***** emesso nei suoi confronti e con il quale, con metodo analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), era stato determinato per l’anno 2005 un reddito di impresa di Euro 55.537,00 a fronte di Euro 13.998,00 dichiarato;

che la Commissione tributaria regionale ha considerato che l’accertamento impugnato era stato legittimamente eseguito in presenza di incongruenze contabili e, in particolare, di un utile dichiarato di poco superiore al costo sostenuto per il lavoratore dipendente impiegato nell’esercizio commerciale della contribuente;

che la contribuente non aveva fornito idonea giustificazione della evidente gestione antieconomica riscontrata;

che l’avviso impugnato non era nemmeno viziato per difetto del previo contraddittorio essendo stata la contribuente invitata a fornire ogni documentazione idonea a proprio discarico, né era applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni dal termine delle indagini per l’emissione dell’avviso di accertamento non facendo questo seguito ad operazioni di verifica fiscale ma ad accertamento analitico per il quale si era comunque realizzato il contraddittorio scritto con la contribuente;

che A.M.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi;

che l’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva, depositando mero atti di costituziuone.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto storico decisivo e, in particolare, della circostanza per la quale l’assunzione del dipendente dell’impresa della contribuente era stata determinata dalla presenza di un parente disabile che necessitava di assistenza;

con il secondo motivo si deduce violazione di legge per motivazione illogica in relazione alla salvaguardia del diritto al contraddittorio; violazione della L. 241 del 1990, art. 21 bis e art. 7, e della L. 212 del 2000 e dell’art. 97 Cost.;

che il primo motivo è infondato. Anche a voler considerare la circostanza dedotta dalla ricorrente relativa all’esistenza di un parente disabile che avrebbe determinato l’assunzione di un dipendente part time per consentire alla contribuente l’esercizio dell’attività commerciale, questa è irrilevante ai fini del decidere, avendo la CTR considerato, non la presenza del dipendente, ma il suo costo solo di poco inferiore al reddito dichiarato, circostanza questa che ha determinato l’accertamento in questione;

che anche il secondo motivo è infondato. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero affermato (Cass.24823/2015) il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizone, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprdcedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”. Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzati, non si rinviene alcuna disposizione espressa che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7 (come modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito in L. 122 del 2010), in tema di accertamento sintetico”. Nella specie, è pacifico che si verte in ipotesi di accertamento analitico induttivo relativo all’anno d’imposta 2005, in relazione al quale non opera la modifica normativa di cui al D.L. 78/2010, convertito in L. n. 122 del 2010. Invero, Il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ha disposto (con l’art. 22, comma 1), con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche operano in relazione agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” e quindi la norma ha effetto dal periodo d’imposta 2009 (cfr. Cass.21041/2014; Cass. 22746/2015);

che il ricorso va conseguentemente rigettato;

nulla si dispone sulle spese non avendo la parte vittoriosa svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso; Nulla dispone sulle spese; Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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