LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20319-2020 proposto da:
VIVAI PORCELLATO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO GIOIOSO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato URBANO BESSEGATO;
– ricorrente –
contro
V.P., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato SILVIO VENIERI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1616/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 14/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
PREMESSO CHE:
La società Vivai Porcellato s.r.l. ricorre per cassazione avverso la sentenza dalla Corte d’appello di Ancona 14 novembre 2019, n. 1616, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande avanzate dalla ricorrente. La ricorrente aveva chiesto al Tribunale di Fermo di condannare V.P. al pagamento di Euro 13.600 a titolo di risarcimento dei danni patiti per l’inadempimento del contratto di vendita di sette piante. Il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda dell’attrice e condannato il convenuto a pagare Euro 2.100 per l’inadempimento ed Euro 6.000 a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.
Resiste con controricorso V.P..
La ricorrente e il controricorrente hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
CHE:
I. Il ricorso è articolato in due motivi.
1) Il primo motivo lamenta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5” per avere la Corte d’appello mancato di esaminare le dichiarazioni del testimone N.M..
Il motivo è inammissibile. Viene infatti contestata la valutazione delle testimonianze posta in essere dalla Corte d’appello, valutazione che spettava a tale giudice di merito e che, essendo motivata, è incensurabile da parte di questa Corte di legittimità (né carattere decisivo assume la mancata espressa indicazione della deposizione del testimone N.).
2) Il secondo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c.”, essendo le integrazioni apportate dalla Corte al proprio dispositivo non delle mere rettifiche, ma riforme di veri e propri vizi di omessa pronuncia da far valere con gli ordinari mezzi di impugnazione.
Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello, nell’ordinare tramite il procedimento di correzione la restituzione delle somme pagate in ottemperanza alla pronuncia di primo grado, ha seguito la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “e’ ammissibile, alla stregua dell’interpretazione estensiva degli artt. 287 e ss. c.p.c., l’utilizzazione del procedimento di correzione degli errori materiali qualora il giudice del gravame, riformando la sentenza appellata, ometta, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione di quest’ultima, atteso che una siffatta condanna è sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale, sicché sono configurabili i presupposti di fatto che giustificano la correzione” (Cass. 2819/2016, v. anche Cass. 17664/2019). In relazione alla condanna alle “spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge, ed Euro 457,40 per esborsi”, la Corte d’appello ha seguito la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, qualora il giudice abbia espresso in motivazione la volontà di attribuire le spese e poi tale attribuzione manchi nel dispositivo, la procedura a cui fare ricorso è quella di cui agli artt. 287 c.p.c. (cfr., in particolare, la pronuncia delle sezioni unite n. 16415/2018).
II. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore del controricorrente, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta/seconda sezione civile, il 30 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022