Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.712 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28210/2018 R.G. proposto da:

Comune di Castiglione Olona, in persona del suo Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Luca Perego, con domicilio eletto in Roma, via Paolo Emilio n. 57, presso lo studio dell’avvocato Marco Serra;

– ricorrente –

contro

A.CH.IND. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Niccolò Pertusi, con domicilio eletto in Roma, Via Chiusi n. 31, presso lo studio dell’avvocato Alessandra Scarnati;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2832/2018, depositata il 21 giugno 2018, e notificata il 28 giugno 2018, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 18 novembre 2021, dal Consigliere Dott. Liberato Paolitto.

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 2832/2018, depositata il 21 giugno 2018, e notificata il 28 giugno 2018, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello proposto da A.CH.IND. S.r.l., così pronunciando in integrale riforma della sentenza di prime cure che, per suo conto, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento relativo alla TARSU dovuta dalla contribuente per gli anni dal 2010 al 2012;

1.1 – a fondamento del decisum il giudice del gravame ha ritenuto che:

– a fini tariffari, l’Ente aveva attribuito una diversa categoria alle distinte aree, di cui ai subalterni nn. 4 e 15, dell’unità immobiliare riportata in catasto al fol. 1, mappale n. 92, classificando in categoria 5 (per locali destinati ad uso commerciale) il subalterno n. 4 e, in categoria 6 (per locali destinati ad attività artigianale o. industriale), l’area di cui al subalterno n. 15;

– una siffatta differenziazione non si giustificava “in presenza dei medesimi presupposti (contenitori cilindrici per la lavorazione-travaso di prodotti chimici, con l’accesso ad un pubblico, non da supermercato o da bar-ristorante, per la compravendita all’ingrosso)”, l’unità immobiliare ricadendo, poi, interamente nella zona industriale-artigianale;

– né, diversamente, rilevava il “codice ATECO attribuito alla contribuente” in quanto le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, distinguevano “tra attività esclusivamente commerciali e attività di produzione artigiano-industriale con annesso commercio dei beni prodotti, come nella fattispecie, che non può non essere riclassificata categoria 6”;

2. – il Comune di Castiglione Olona ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo;

– resiste con controricorso A.CH.IND. S.r.l..

CONSIDERATO

che:

1. – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, e del regolamento comunale adottato, deducendo, in sintesi, che illegittimamente il giudice del gravame aveva rideterminato la categoria di riferimento dell’area compresa nel subalterno n. 4 interpretando la disposizione di cui all’art. 68, comma 2, lett. e), cit., come inclusiva delle “attività di produzione artigiano-industriale con annesso commercio dei beni prodotti”; come, difatti, reso esplicito dal dato letterale della disposizione, questa aveva riguardo a “locali ed aree ad uso di produzione artigianale o industriale, o di commercio al dettaglio di beni non deperibili”, – previsione, quest’ultima, da contrapporre a quella di cui alla precedente lett. b) che, per l’appunto, concerneva complessi commerciali all’ingrosso e che si connotava per la presenza della disgiuntiva “o”, – così che, – non trovando giustificazione la considerazione (unitaria) dell’area in ragione di un (supposto) nesso tra attività artigianale e commercio dei beni prodotti, – l’area avrebbe dovuto essere considerata a destinazione o artigiano-industriale o commerciale;

– soggiunge il ricorrente che, nella fattispecie, tutti i dati di giudizio deponevano per la destinazione dell’area in questione ad attività commerciale all’ingrosso, – così come reso esplicito dal codice Ateco, dall’oggetto sociale della società e dallo stesso classamento catastale, – e che alcuna prova era stata da controparte offerta in ordine allo svolgimento dell’attività di trasformazione di prodotti chimici;

2. – il motivo di ricorso non può trovare accoglimento;

3. – secondo la disciplina posta dal D.Lgs. n. 507 del 1993, con riferimento ai criteri di legittimità del prelievo tributario, la tassa può essere commisurata, in relazione al “costo di smaltimento”, o alla potenzialità di produzione di rifiuti (ed alla loro qualità) ovvero alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta dai detentori, in considerazione del tipo di uso desunto dalla destinazione dei locali e/o delle aree tassabili (art. 65, comma 1); e la classificazione in categorie (ed eventuali sottocategorie) dei produttori di rifiuti, – operata in relazione ad una “omogenea potenzialità di rifiuti”, – va articolata tenendo conto di “gruppi di attività o di utilizzazione” che, “in via di massima”, fanno riferimento, per quel che qui rileva, a “complessi commerciali all’ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati” ovvero a “locali ed aree ad uso di produzione artigianale o industriale, o di commercio al dettaglio di beni non deperibili” (art. 68, comma 2, lett. b) e lett. e), cit.);

3.1 – è ben vero, come assume il ricorrente, che il giudice del gravame, – nel rilevare la destinazione dell’area in contestazione ad attività di produzione artigiano-industriale, – ha soggiunto che vi era “annesso commercio dei beni prodotti”, ma un siffatto rilievo deve essere letto nel (complessivo) contesto argomentativo che, come anticipato, è connotato dal (premesso) accertamento dell’ingiustificatezza di una diversa classificazione di aree che erano, difatti, interessate dallo svolgimento di medesime attività, – dunque dalla “presenza dei medesimi presupposti”, – e posto che l’una di dette aree (quella di cui al subalterno n. 15) era già stata considerata dall’Ente come destinata ad attività artigianale o industriale;

– il giudice del gravame ha, per di più, precisato i referenti di detti medesimi presupposti (“contenitori cilindrici per la lavorazione-travaso di prodotti chimici, con l’accesso ad un pubblico, non da supermercato o da bar-ristorante, per la compravendita all’ingrosso”), – secondo un accertamento in fatto che lo stesso ricorrente nemmeno censura col pertinente parametro legale del sindacato di legittimità (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – chiaramente escludendo la connotazione commerciale dell’area in termini di esercizio di un “supermercato o… bar-ristorante”, e così individuando due tipologie di attività che, – come risulta dalla stessa trascrizione operata dal ricorrente, – il regolamento include nella categoria n. 5 (al pari degli “esercizi commerciali al minuto”);

– non sussiste, pertanto,, la denunciata falsa applicazione di legge, avendo il giudice del gravame rideterminato la classificazione dell’area in contestazione per un verso attingendo alla stessa attività accertativa dell’Ente, – i cui contenuti sono stati estesi, per medesimezza dei relativi presupposti, alla classificazione dell’area in contestazione, – e, per il restante, chiaramente escludendo che detta area potesse ascriversi alla categoria commerciale della vendita al dettaglio, così dimostrando di avere piena contezza delle categorie che, delineate di massima dall’art. 68, comma 2, cit., formavano oggetto della disciplina regolamentare adottata dall’Ente locale;

4. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il Comune di Castiglione Olona al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.200,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenuta da remoto, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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