Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.722 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26509/2014 proposto da:

S.A. e D.M., rappresentati e difesi dagli Avv. Gianfranco D’Andrea e Sergio Celentano, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Bruno Matarazzo, in Roma, via Eleonora Duse n. 35;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F.: *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, (C.F.: *****), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 633/25/14 della Commissione tributaria Regionale Puglia, sez. distaccata di Foggia (CTR), depositata il 18/3/2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/11/2021 dal Consigliere Dott. Stefano Pepe.

RITENUTO

che:

1. Con atto notarile del *****, registrato al n. *****, denominato “*****” S.A. e D.M. conferivano alla società A.A.M.M. s.r.l. un albergo e un centro benessere per il valore dichiarato di Euro 829.638,00 al netto delle passività, ovvero al netto dell’importo del mutuo e del contratto di apertura di credito.

2. L’Agenzia delle entrate con riferimento all’indicato atto notificava: un primo avviso di liquidazione di imposta suppletiva di registro, applicando l’imposta del 7%, D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, Parte prima, ex art. 1, rispetto a quella del 4% indicata dalle parti, non rientrando l’atto in questione nella fattispecie di cui alla della Tariffa cit., art. 4, comma 1, lett. a), punto 2, in quanto si era in presenza di una cessione da privati a società; un secondo avviso di liquidazione delle imposte suppletive ipotecaria e catastale, rideterminando le stesse sulla diversa base imponibile di Euro 3.300.000,00, sul presupposto che essa andava calcolata non secondo il D.P.R. cit., art. 50, bensì alla luce degli artt. 43 e 51, (sul valore venale del bene al lordo delle eventuali passività); un avviso di rettifica e liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale sulla base della rivalutazione da parte dell’Agenzia del territorio della base imponibile in Euro 8.126.000,00.

3. Avverso tali atti solo la A.A.M.M. s.r.l. proponeva separati ricorsi: un primo, avverso il primo avviso, conclusosi con esito favorevole per la contribuente con sentenza della CTR n. 31/6/12 passata in giudicato (per come pacificamente riconosciuto dalle parti); un secondo, avverso gli altri due atti impositivi a seguito del quale la CTR, con sentenza n. 235/27/13, nel dare atto del sopra indicato giudicato, aveva, da un lato, rigettato il ricorso avverso il secondo avviso di liquidazione, dall’altro, rideterminato il valore della base imponibile indicato nel terzo. Tale sentenza era oggetto di ricorso in cassazione.

4. In ragione della mancata impugnazione degli avvisi di liquidazione sopra indicati e, dunque, della loro intervenuta definitività, l’Amministrazione finanziaria notificata agli odierni ricorrenti le relative cartelle di pagamento.

5. Avverso quest’ultime il S. e la D. proponevano ricorso a seguito del quale la CTR della Puglia, sezione distaccata di Foggia, con sentenza n. 633/25/14, depositata il 18/3/2014, riteneva non dovute le sole somme richieste a titolo di imposta suppletiva di registro, in ragione del principio dell’estensione dell’intervenuto giudicato (CTR n. 31/6/12), ex art. 1306 c.c., comma 2,” confermando, per il resto, quanto già affermato nella sentenza della CTR n. 235/27/13.

6. I contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

7. L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.

8. Con ordinanza interlocutoria del 28.1.2021 il Collegio disponeva, a carico dei ricorrenti, la notifica, nel termine di 90 giorni dalla comunicazione della stessa, del ricorso all’Agenzia delle entrate-Riscossione.

CONSIDERATO

che:

1. I contribuenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 324 c.p.c., e art. 2909 c.c..

A parere dei ricorrenti, l’intervenuto giudicato rappresentato dalla sentenza n. 31/6/12 emessa dalla CTP nei confronti della coobbligata A.A.M.M. srl, seppure riferito ad uno dei tre atti di liquidazione notificato agli stessi ricorrenti, aveva per oggetto la qualificazione giuridica del comune e unico negozio giuridico posto oggetto di imposizione; di talché, gli effetti di tale giudizio, in ossequio alle norme sopra indicate, dovevano estendersi anche a quelli relativi agli altri due atti impositivi. Diversamente, sempre a parere dei ricorrenti, la sentenza n. 235/27/13, richiamata nella decisione impugnata, aveva violato le suindicate norme; violazione in cui era, di riflesso, incorsa anche quest’ultima.

2. Il motivo è fondato.

I ricorrenti chiedono che sia esteso nei loro confronti, ex art. 1306 c.c., comma 2, il giudicato di cui alla CTP n. 31/6/12 (relativo ad avviso di liquidazione di imposta suppletiva di registro) intervenuto nei confronti della A.A.M.M. S.r.l., parte acquirente del contratto con il quale avevano ceduto alcuni fabbricati. In particolare, con la sentenza in esame i giudici di merito avevano qualificato il negozio sopra indicato quale conferimento di fabbricati destinati specificatamente all’esercizio di attività commerciali al D.P.R. n. 131 del 1986, della Tariffa allegata, Parte prima, ex art. 4, n. 2 lett. a), e, pertanto, sottoposto all’aliquota del 4% (come indicato dai contribuenti) e non a quella del 7% ex art. 4, n. 1, lett. a) cit., per come ritenuto dall’Amministrazione finanziaria.

Gli odierni ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto che a fronte del medesimo presupposto impositivo costituito dal negozio intervenuto tra le suindicate parti, la CTR non abbia tenuto conto della suddetta qualificazione giuridica coperta dall’intervenuto giudicato e abbia, pertanto, ritenuto legittima la pretesa relativa all’imposta suppletiva ipotecaria e catastale nonché, in parte, quella afferente alla liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale.

La questione che si pone per la sentenza tributaria – sia essa di annullamento, di modifica o di conferma dell’atto – è se l’efficacia del giudicato si limiti all’atto impugnato ovvero si estenda ai fatti costitutivi dell’obbligazione, che vengono in considerazione come elementi del rapporto, realizzando o qualificando il presupposto del tributo.

Non vi è infatti dubbio che il processo tributario, avendo ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente, non è solo un “giudizio sull’atto” (da annullare o modificare), ma si estende anche all’accertamento del rapporto, di talché il giudicato non esaurisce i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio, ma ha una potenziale capacità espansiva in altri giudizi fra le stesse parti, secondo le medesime regole che disciplinano nel processo civile il giudicato esterno. Ne deriva, che qualora il presupposto o, meglio, la qualificazione giuridica del rapporto, sia posta a fondamento della imposizione di tributi tra loro connessi, come nel caso in esame, il giudicato relativo ad uno di essi si debba estendere anche nei giudizi relativi agli altri. In tali casi, infatti, si è in presenza di un accertamento che, in quanto afferente ad un aspetto – qualificazione giuridica del rapporto – non è suscettibile di modifica nel tempo dovendosi rispetto ad esso l’intervenuto giudicato considerarsi quale espressione di un valore imprescindibile dell’ordinamento giuridico, nonché attuazione di una serie di principi di diretta derivazione costituzionale (artt. 24 e 111 Cost.), conferendo stabilità, certezza e coerenza agli accertamenti giudiziali, aspetti imprescindibili nell’esercizio della funzione giurisdizionale. In sostanza, il giudicato esterno attiene ad un fatto che, per legge, ha un’efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o all’accertamento che concerne la qualificazione di un rapporto giuridico.

Una diversa soluzione comporterebbe la violazione del principio del ne bis in idem con la conseguente irragionevole conclusione che, in presenza di un giudicato intervenuto su di comune presupposto – come nel caso di specie costituito dalla qualificazione giuridica del negozio intervenuto tra le parti – relativo a diversi tributi tra loro connessi, i giudici possono pervenire a soluzioni diverse proprio in ordine al tale diversa qualificazione, così minando la certezza dei diritti e la stabilità delle posizioni giuridiche.

Le conclusioni sopra riportate risultano conformi ai principi fissati dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 13916 del 2006 Rv. 589696 – 01) secondo cui, in tema di autorità del giudicato, allorquando due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono l’esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo.

A tal riguardo questa Corte (n. 14087 del 18/06/2007 Rv. 599286 01) ha precisato che “Affinché una lite possa dirsi coperta dall’efficacia di giudicato di una precedente sentenza resa tra le stesse parti è necessario che il giudizio introdotto per secondo investa il medesimo rapporto giuridico che ha già formato oggetto del primo; in difetto di tale presupposto, nulla rileva la circostanza che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non può mai investire singole questioni di fatto o di diritto (in applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che la sentenza passata in giudicato, con la quale il giudice tributario aveva riconosciuto il diritto del di una fondazione bancaria di godere della riduzione dell’IRPEF previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6, comma 1, lett. b), per un determinato anno d’imposta, facesse stato nella controversia promossa dal medesimo contribuente, e relativa alla invocabilità dell’esonero delle ritenute d’acconto sui dividendi azionari previste dalla L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 bis, per un diverso anno d’imposta, trattandosi di benefici fiscali diversi, il secondo dei quali dipende non già dalla natura dell’ente, ma dall’attività concretamente svolta in ciascun periodo d’imposta)”.

La CTR non si è attenuta ai principi sopra riportati avendo i contribuenti richiesto l’estensione, ex art. 1306 c.c., comma 2, a loro favore del giudicato favorevole intervenuto nei confronti della loro coobbligata; giudicato relativo ad imposta suppletiva di registro che si fondava sulla qualificazione giuridica del negozio intervenuto tra le parti, posto a fondamento delle ulteriore e connesse pretesi fiscali (ipotecarie e catastali) oggetto di impugnazione da parte dei ricorrenti.

3. Il ricorso va dunque accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, la controversia può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso dei contribuenti.

4. Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate tra le parti in ragione della novità della questione.

P.Q.M.

la Corte:

– Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso dei contribuenti.

– Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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