LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16129-2020 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
N.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 683/24/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata l’11/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.
FATTI DI CAUSA
la parte contribuente impugnava una cartella di pagamento emessa dal concessionario per la riscossione per IRPEF, IVA ed IRAP per gli anni 1999 e 2000;
la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l’appello affermando che dalla produzione documentale agli atti del presente procedimento e dal contenuto espresso negli atti stessi prodotti dal contribuente è apparso chiaramente evincibile che il ricorso cumulativo era stato prodotto avverso gli avvisi di accertamento e non già, come invece ritenuto dall’Ufficio, avverso la cartella di pagamento: tanto risulta dal tenore letterale del contenuto degli atti, dalla circostanza che gli avvisi di accertamento fossero stati espressamente individuati come atti da impugnare, dal fatto che la controparte fosse stata individuata solo nell’Agenzia delle entrate e non già nel concessionario per la riscossione, ed anche, ex post, nel fatto che la richiesta di definizione avesse fatto espresso riferimento agli avvisi di accertamento che si erano impugnati ed oggetto di una lite pendente: tali avvisi di accertamento, a cagione della loro impugnazione, alla data del ricorso avverso il diniego costituivano oggetto di impugnazione non ancora decisa e quindi risultavano costituire oggetto di lite pendente anche perché alla data del 6 luglio 2011 non era ancora intervenuta pronuncia definitiva di inammissibilità del ricorso cumulativo proposto dal ricorrente contro i due avvisi di accertamento, cosicché i dinieghi di definizione impugnati dal contribuente sono da considerarsi illegittimi e per converso va dichiarata legittima la procedura di condono utilizzata dal contribuente per porre fine alla controversia pendente.
Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato ad un motivo mentre la parte contribuente non si costituiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
con il motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011 in quanto il ricorso originario non poteva considerarsi lite pendente perché aveva ad oggetto unicamente la cartella esattoriale.
Il motivo di impugnazione è fondato.
Secondo il D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, convertito in L. n. 111 del 2011, “al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16”.
Inoltre, secondo questa Corte: in tema di condono fiscale, l’istanza di definizione della lite pendente, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011, è ammissibile anche ove abbia ad oggetto un atto della riscossione, come la cartella di pagamento che, emesso a seguito di controllo automatizzato ed in assenza di previo avviso di accertamento, rappresenta il primo ed unico atto con il quale la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente, mentre detta istanza non è ammissibile se la controversia attiene all’impugnazione di una cartella successiva ad un avviso di accertamento del quale costituisce mero atto esecutivo di una pretesa impositiva ormai definitiva (Cass. nn. 18298 e 8402 del 2021; Cass. n. 3759 del 2019).
Deve altresì considerarsi che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 (Termine per la proposizione del ricorso), comma 1, “il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato”. L’avviso di accertamento, quindi, diventa definitivo con l’inutile decorso del predetto termine di impugnativa.
La Commissione Tributaria Regionale non si è uniformata ai suddetti principi laddove – affermando che dalla produzione documentale agli atti del presente procedimento e dal contenuto espresso negli atti stessi prodotti dal contribuente è apparso chiaramente evincibile che il ricorso cumulativo era stato prodotto avverso gli avvisi di accertamento e non già, come invece ritenuto dall’Ufficio, avverso la cartella di pagamento: tanto risulta dal tenore letterale del contenuto degli atti, dalla circostanza che gli avvisi di accertamento fossero stati espressamente individuati come atti da impugnare, dal fatto che la controparte fosse stata individuata solo nell’Agenzia delle entrate e non già nel concessionario per la riscossione, ed anche, ex post, nel fatto che la richiesta di definizione avesse fatto espresso riferimento agli avvisi di accertamento che si erano impugnati ed oggetto di una lite pendente: tali avvisi di accertamento, a cagione della loro impugnazione, alla data del ricorso avverso il diniego costituivano oggetto di impugnazione non ancora decisa e quindi risultavano costituire oggetto di lite pendente anche perché alla data del 6 luglio 2011 non era ancora intervenuta pronuncia definitiva di inammissibilità del ricorso cumulativo proposto dal ricorrente contro i due avvisi di accertamento, cosicché i dinieghi di definizione impugnati dal contribuente sono da considerarsi illegittimi e per converso va dichiarata legittima la procedura di condono utilizzata dal contribuente per porre fine alla controversia pendente – ha considerato la lite pendente nonostante la controversia attenga all’impugnazione di una cartella successiva ad avvisi di accertamento rispetto ai quali la cartella stessa costituisce mero atto esecutivo di una pretesa impositiva ormai definitiva: infatti il ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza, ha riportato il ricorso del contribuente dal quale emerge che quest’ultimo ha ricevuto i due avvisi di accertamento nei giorni 6 e 8 novembre 2007 e che contro di essi non ha proposto ricorso nel termine di 60 giorni previsto dalla legge ma lo ha proposto, anche avverso la cartella di pagamento, solo in data 31 maggio 2008 quando i suddetti avvisi di accertamento erano ormai divenuti definitivi.
Pertanto, in accoglimento del motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022