LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32172-2020 proposto da:
D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MACHIAVELLI, 50, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PREZIOSI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 198/2020 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata l’11/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO TERRUSI.
RILEVATO
che:
D.S., gambiano, ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Perugia che, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 26898 del 2018, ne ha respinto il gravame in tema di protezione internazionale;
il Ministero dell’interno non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
I. – il ricorso è articolato in due motivi; col primo si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., per esser stata respinta la doglianza in tema di protezione sussidiaria con motivazione parvente rispetto alle fonti di prova, menzionate genericamente e senza alcuna indicazione tale da rendere la valutazione verificabile all’attualità;
col secondo si deduce la violazione dell’art. 8 Cedu, del t.u. imm., artt. 5 e 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28, e del D.Lgs. n. 140 del 2005, art. 8, a proposito del diniego di protezione umanitaria, essendo quella del richiedente una storia di sostanziale riduzione in schiavitù che, ove anche ritenuta non integrante il presupposto della protezione sussidiaria, certamente avrebbe dovuto esser valutata nell’alveo del giudizio sulle condizioni soggettive legittimanti la protezione umanitaria;
II. – il ricorso è manifestamente fondato in relazione a entrambe le censure;
III. – in prospettiva di autosufficienza risulta che il richiedente aveva riferito, quale fondamento della domanda di protezione, di esser stato ridotto in condizione di sostanziale schiavitù dagli zii materni che l’avevano preso con loro da piccolo dopo la morte dei genitori; per tale condizione di orfano egli non aveva ricevuto alcuna istruzione ed era stato costretto a lavorare nei campi; all’età di 19 anni si era sposato ed era fuggito per andare presso la famiglia della moglie, ma era stato aggredito e minacciato di morte dalla famiglia originaria, che aveva temuto di perdere la sua forza lavoro; cosicché era fuggito ed era giunto in Italia, nel 2014, attraversando vari territori e in ultimo la Libia;
IV. – dalla sentenza si evince che il tribunale di Perugia aveva ritenuto che la situazione narrata non rientrasse in nessuna delle ipotesi di persecuzione individuale previste dalla normativa in materia;
tale valutazione, dopo la cassazione della prima sentenza d’appello per erroneità della declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, è stata alfine confermata dalla corte d’appello con i seguenti rilievi: l’appellante non aveva dato prove certe in merito a una richiesta di aiuto all’autorità statuale e a un’eventuale tolleranza o tacita approvazione da parte di questa autorità circa la condotta subita; non erano state acquisite prove in merito a una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica derivante da sistemi di regole non scritte substatuali imposte con violenza o sopraffazione; non erano emersi ipotesi di persecuzione riconducibili alla Convenzione di Ginevra, art. 1, lett. a); l’emigrazione era avvenuta per “scelta personale”;
V. – specificamente quanto alla protezione sussidiaria la corte d’appello, ammettendo che dovesse esser verificato l’eventuale rischio effettivo di sottoposizione a pena di morte, tortura o trattamenti degradanti, ha negato che esistessero consimili condizioni;
quanto alla protezione umanitaria ha affermato che niente era stato provato in ordine alla violazione di diritti fondamentali della persona;
una tal sequela di considerazioni, lapidarie e di stile, non soddisfa l’onere di motivazione;
VI. – è da puntualizzare che il narrato del ricorrente non è mai stato ritenuto inattendibile e la condizione presupposta si colloca in epoca anteriore al 2014;
egli è rimasto in Italia da allora;
nell’atto di riassunzione del giudizio d’appello l’impugnante aveva dedotto di avere quindi intrapreso un favorevole percorso di integrazione, ottenendo un contratto di lavoro a tempo indeterminato e una completa integrazione nella comunità locale;
a fronte di tutto questo la sterile motivazione della corte territoriale omette di confrontarsi con la situazione attuale come dedotta;
l’omissione è palesemente riferibile sia alla situazione generale del paese di origine del richiedente, niente affatto ricostruita, sia ai potenziali e attuali riflessi sulla posizione personale di una persona asseritamente integrata nel contesto sociale e lavorativo italiano;
VII. – assolutamente immotivata è inoltre la valutazione di inesistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, per la quale nessun giudizio comparativo è stato svolto secondo l’ottica validata dalle Sezioni unite di questa Corte (v. Cass. Sez. U n. 29549-19); non senza dire che, non essendo stata mai avversata la narrazione del richiedente a proposito dell’esser stato, nel suo paese, sottoposto per anni a condizioni di sfruttamento minorile e di sostanziale schiavitù, è priva di coerenza logica, oltre che intrinsecamente apodittica, l’affermazione che niente sarebbe stato provato in ordine alla violazione di diritti fondamentali della persona in caso di rimpatrio;
VIII. – l’impugnata sentenza va dunque cassata sotto entrambi i profili, con rinvio alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per ulteriore nuovo esame;
in ordine alla domanda di protezione umanitaria il giudice del rinvio dovrà conformare la decisione tenendo conto del principio, recentemente convalidato dalle Sezioni unite di questa Corte (v. Cass. Sez. U n. 24413-21), secondo cui situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; mentre, qualora si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 Cedu, sussiste per definizione un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno;
il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla corte d’appello di Perugia anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022