LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 37993-2019 proposto da:
ASSUNZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE, 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
***** SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GP DA PALESTRINA, 55, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO IZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO SCALA;
– controricorrente –
contro
COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA, 50A, presso lo studio dell’avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO MARIA FERRARI;
– controricorrrente –
avverso l’ordinanza n. 16127/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA depositata il 14/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO TERRUSI.
FATTI DI CAUSA
La Assunzioni s.p.a. (già Planta Global Italia s.r.l., già Planta Global Italia s.p.a. e prima ancora Consulcoop a r.l.) ha chiesto la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. 16127 del 2019.
Ha affermato che l’ordinanza sarebbe contraddistinta da errori di fatto percettivi a proposito dell’avvenuto anteriore esercizio della facoltà di cui alla L. n. 109 del 1994, artt. 35 e 36, da parte del Fallimento del *****.
Tale fatto sarebbe da considerare decisivo ai fini del riconoscimento della legittimazione ad causam di Consulcoop, viceversa negata nel giudizio arbitrale oggetto della sentenza impugnata per cassazione, essendo stata Consulcoop cessionaria del ramo d’azienda al quale era riferibile il patto compromissorio.
Gli intimati hanno replicato con separati controricorsi.
La ricorrente ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. – L’errore di fatto denunziato col ricorso per revocazione è da correlare allo scrutinio dell’allora proposto quarto motivo di ricorso per cassazione.
L’ordinanza della cui revocazione si tratta ha rigettato, per quanto rileva, il ricorso per cassazione della Planta Global Italia s.p.a., già Consulcoop (Cooperativa centro di consulenza organizzazione amministrazione e controllo a r.l.) avverso la sentenza della corte d’appello di Napoli che aveva respinto l’azione di impugnativa del lodo arbitrale nel giudizio instaurato tra la medesima Consulcoop e il comune di Napoli, in relazione a pretese correlabili a talune convenzioni pubbliche.
In quel ricorso la parte aveva dedotto, quale quarto motivo, la violazione e falsa applicazione della L. n. 109 del 1994, artt. 35 e 36, e dell’art. 2558 c.c., quanto al condiviso assunto del comune di Napoli secondo cui Consulcoop nemmeno era subentrata nel rapporto concessorio con detto ente, giacché, all’epoca del trasferimento del ramo d’azienda (di cui all’atto del *****), recepito nell’ambito dell’accordo transattivo del *****, la concessione col comune era già estinta in virtù della Delib. 27 dicembre 1996.
La ricorrente aveva chiesto alla Corte di affermare invece che “premessa la differenza tra cessione del contratto di appalto con la P.A. (vietato dalla L. n. 55 del 1990, art. 18) e cessione dell’azienda o del ramo d’azienda (consentite dalla L. n. 109 del 1994, artt. 35 e 36, ora del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 116), Pianta Global, già Consulcoop, ha validamente acquisito il ramo d’azienda succedendo come titolare della convenzione concessione col Comune di Napoli, potendosi cosi avvalere della clausola compromissoria sulla cui base ha attivato il giudizio arbitrale definito dal Collegio presieduto dal prof. R.”.
II. – Il suddetto motivo di censura è stato disatteso dalla ripetuta ordinanza n. 16127 del 2019 in base alla considerazione che il rapporto nascente dalle convenzioni era stato qualificato dalla corte d’appello come concessione di lavori pubblici, senza che su tale qualificazione fosse stata proposta puntuale impugnazione.
Poiché le concessioni di lavori pubblici sono equiparate, ai fini della tutela giurisdizionale, agli appalti, giusta la L. n. 109 del 1994, art. 31-bis, comma 4, anche se intervenute in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge citata (arg. da Cass. Sez. U, n. 3518 del 2008), e poiché il contratto di appalto, anche di opera pubblica, si scioglie con effetto ex nunc a seguito dell’intervenuto fallimento dell’appaltatore ai sensi della L. Fall., art. 81, nella formulazione rilevante pro tempore, l’ordinanza ne ha dedotto4talla dichiarazione di fallimento del ***** in data ***** era derivato come effetto legale lo scioglimento del descritto rapporto concessorio all’epoca in corso tra il consorzio e il comune di Napoli – il quale, peraltro, con successiva Delib. 27 dicembre 1996, n. 5312, aveva preso atto dell’avvenuto fallimento del consorzio anzidetto e della risoluzione di diritto della convenzione e dei rapporti concessori conseguenti, esplicitamente affermando che nessun ulteriore rapporto concessorio, rispetto a quello risolto a seguito del fallimento dell’originario concessionario, era stato mai instaurato direttamente o indirettamente con soggetti diversi dal consorzio fallito, e aveva altresì revocato nei confronti di chiunque le concessioni fermo restando il mancato perfezionamento del rapporto concessorio con altri soggetti diversi dall’originario concessionario.
III. – Sulla scorta di tale risultanza la Cassazione ha rigettato la doglianza in definitiva affermando che (i) l’automatico scioglimento del menzionato rapporto concessorio in essere tra il ***** e il comune di Napoli era stato un effetto di diritto sostanziale della dichiarazione di fallimento del primo; (ii) esso era successivamente perdurato senza che in contrario potesse assumere alcuna rilevanza l’eventuale prosecuzione di fatto di detto rapporto concessorio; (iii) l’azienda *****, ceduta alla Consulcoop, certamente mai avrebbe potuto avere a oggetto, ex art. 2558 c.c., anche la concessione di lavori pubblici predetta, da considerare già precedentemente estinta per effetto dell’intervenuto fallimento del consorzio, così da contrastare il preteso avvenuto subingresso della cessionaria nel corrispondente rapporto.
IV. – L’errore revocatorio, secondo la ricorrente starebbe nella obliterazione del fatto che era intervenuto l’esercizio, da parte degli organi della procedura fallimentare, “della facoltà di avvalersi della L. n. 109 del 1994, citato art. 36”.
Da tanto sarebbe conseguita l’erroneità della decisione, poiché “ai fatti di causa, non essendo stata comunicata al Fallimento ***** la Delib. n. 5312 del 1996, prima della cessione del ‘99, non poteva applicarsi la regola della L. Fall., art. 81, dovendosi invece applicare la salvezza contenuta nel medesimo art. 81, comma 2” – il quale fa salve appunto le norme relative al contratto di appalto per opere pubbliche; e da ciò anche la conseguenza che la cessione del ramo d’azienda avrebbe dovuto esser considerata valida, sia come base della prosecuzione del rapporto nelle fasi successive al ‘99, sia come base della legittimazione ad agire di Consulcoop.
Il fatto dell’intervenuto esercizio, da parte degli organi della procedura fallimentare, della facoltà di avvalersi della L. n. 109 del 1994, citato art. 36, sarebbe da considerare, sempre secondo la tesi della ricorrente, incontroverso tra le parti.
V. – Il ricorso per revocazione è inammissibile.
Si assume che l’ordinanza sia affetta da un errore di diritto quale conseguenza di un errore di fatto revocatorio.
Codesta tesi è tuttavia enunciata in modo assertivo.
In vero l’errore di fatto, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, come caso di revocazione, non può estendersi oltre i limiti dell’autonoma indagine di fatto consentita alla Corte di cassazione, poiché in tale sfera di applicabilità esso presenta connotati equivalenti a quelli dell’errore revocatorio imputabile al giudice del merito.
Ne deriva che, in sede di legittimità, il menzionato errore deve sì consistere nel supporre come sussistente un fatto incontrastabilmente insussistente, oppure, come si dice nella specie, l’inverso: ma in entrambi i casi alla specifica duplice condizione (a) che il fatto medesimo non abbia costituito un punto controverso sul quale la Suprema Corte si sia pronunciata; (b) che esso rientri nell’ambito degli elementi di fatto rimessi all’autonoma e diretta percezione della Corte medesima.
Deve trattarsi cioè di una svista materiale o di un errore di percezione di quanto risultante direttamente dagli atti (v. Cass. n. 22520-15, Cass. n. 3735-00, Cass. 2737-95 e molte altre), poiché resta escluso dall’ambito della revocazione il riesame del precedente giudizio di cassazione.
VI. – Nel caso concreto la ricorrente insiste nel dire che la circostanza afferente – vale a dire l’intervenuto esercizio, da parte degli organi della procedura fallimentare, della facoltà di avvalersi della citata L. n. 109 del 1994, art. 36, sarebbe stata incontroversa in causa.
Tuttavia non evidenzia da quale atto tra quelli direttamente suscettibili di percezione da parte della Corte la medesima circostanza avrebbe dovuto essere evinta; né indica in qual diverso modo la medesima circostanza sia entrata a far parte del panorama conoscitivo del collegio in vista della decisione che si richiedeva.
Ne segue che l’attuale ricorso non assolve il fine di autosufficienza in ordine al presupposto dell’errore percettivo, così da risultare per tale ragione inammissibile.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in 25.200,00 EUR, di cui 25.000,00 EUR per compensi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022