LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco M. – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3214/2021 proposto da:
G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE GRISOLIA;
– ricorrente –
contro
ANAS S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato MARIA LUCIA SCAPPATICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO CAMPISE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1293/2020 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO, depositata il 23/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 01/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
che:
con sentenza resa in data 23/9/2020 (n. 1293/2020), la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da G.M. per la condanna dell’Anas s.p.a. al risarcimento dei danni subiti dall’attore a seguito di una collisione con un cane di grossa taglia verificatasi allorquando l’attore era in transito, a bordo della propria autovettura, sulla strada statale n. ***** di proprietà della società convenuta;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato l’infondatezza della domanda proposta dall’attore, essendo emerso, in forza degli elementi di prova complessivamente acquisiti al giudizio, che l’attraversamento del cane sulla sede stradale fosse valso a integrare gli estremi di un caso fortuito non prevedibile né evitabile dalla società proprietaria della strada sulla quale si era verificato il fatto;
avverso la sentenza d’appello, G.M. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi di impugnazione;
l’Anas s.p.a. resiste con controricorso;
G.M. ha depositato memoria;
a seguito della fissazione della Camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 c.c., e dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare come la società proprietaria della strada avesse totalmente trascurato la manutenzione, tanto della sede stradale, quanto delle relative pertinenze, ivi compresa una recinzione ivi esistente e risultata documentalmente tale da non impedire l’accesso di animali sulla sede stradale, con la conseguente piena attestazione del mancato rispetto, da parte della società proprietaria, di obblighi precauzionali, di carattere comune o specificamente tecnico, idonei a fornire la prova della concreta sussistenza di un rapporto causale tra l’evento dannoso denunciato dall’attore e la natura del bene stradale custodito dall’Anas s.p.a.;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la presenza di un cane randagio sulla sede stradale percorsa dall’attore fosse valsa a integrare gli estremi di un caso fortuito tale da escludere la ragionevole esigibilità di un impegno di controllo e prevenzione da parte della società proprietaria, laddove, al contrario, la presenza di detto cane randagio sulla strada de qua avrebbe dovuto considerarsi pienamente prevedibile ed evitabile avuto riguardo al contenuto degli obblighi di vigilanza, controllo e diligenza incombenti sulla società proprietaria della strada; obblighi che avrebbero imposto al custode l’adozione di tutte le misure idonee a prevenire e impedire la produzione di danni a terzi: misure precauzionali nella specie del tutto eluse, in considerazione dello stato di cattiva manutenzione della stessa recinzione posta a protezione della strada percorsa dal G.;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2051 e 1175 c.c., degli artt. 2,13 e 14C.d.S., della L. n. 729 del 1961, art. 13 (pro-tempore vigente) e dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale omesso di rilevare come, in forza delle norme di legge richiamate, spettasse all’Anas s.p.a. il compito di mantenere in piena efficienza, tanto il bene stradale posseduto, quanto le relative pertinenze, ivi compresi i dispositivi e gli accessori predisposti al fine di garantire la sicurezza della circolazione stradale e del traffico: compito totalmente eluso nel caso di specie, avuto riguardo al cattivo stato di manutenzione della recinzione documentatamente esistente in loco; e tanto, al di là di ogni obbligo di legge che valesse ad imporne la concreta predisposizione, con la conseguente palese emersione di un’oggettiva responsabilità della società convenuta per il fatto dedotto in giudizio, da ritenersi del tutto prevedibile ed evitabile in considerazione delle evidenze riscontrate;
tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono manifestamente infondati;
osserva preliminarmente il Collegio come la formulazione dell’art. 2051 c.c. (“ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) evidenzi chiaramente che:
– la responsabilità ex art. 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa (Sez. 3, Sentenza n. 15761 del 29/07/2016, Rv. 641162 – 01);
– ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato ‘cagionatò dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è – come detto – del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall’art. 2051 c.c. (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 4476 del 24/02/2011, Rv. 616827 – 01);
– ne consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa e il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato;
– si tratta, dunque, di un’ipotesi di responsabilità oggettiva (per tutte, v. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12027 del 16/05/2017, Rv. 644285 01) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno;
– non può escludersi, invero, che un’eventuale colpa venga fatta specificamente valere dal danneggiato, ma, trattandosi di azione ex art. 2051 c.c., la deduzione di omissioni o violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode può essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini dell’allegazione e della prova del rapporto causale tra la prima e il secondo; né è da escludere che, viceversa, sia il custode a dedurre la conformità della cosa agli obblighi di legge o a prescrizioni tecniche o a criteri di comune prudenza al fine di escludere l’attitudine della cosa a produrre il danno: in entrambi i casi – va ribadito – si tratta di deduzioni volte a sostenere oppure a negare la derivazione del danno dalla cosa e non, invece, a riconoscere rilevanza al profilo della condotta del custode.
– resta dunque fermo che, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante ai fini dell’affermazione della sua responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.;
quanto ai criteri di accertamento del nesso causale, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità (cfr., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008, Rv. 600899 – 01) secondo cui:
– ai fini dell’apprezzamento della causalità materiale nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, va fatta applicazione dei principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 c.p., sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non);
– tuttavia, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 c.p. (in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale), trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente – desumibile dal capoverso della medesima disposizione – in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta ove questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto;
– al contempo, neppure è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano idonee a determinare l’evento secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale, che individua come conseguenza normale imputabile quella che – secondo l’id quod plerumque accidit e quindi in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile ex ante (ancorché riscontrata con una prognosi postuma) – integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento inizale (sia esso una condotta umana oppure no), che ne costituisce l’antecedente necessario;
ne deriva che tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente, ovvero tutto ciò che rappresenta un’eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponenciosi ad essa ed elidendone l’efficacia condizionante;
ovviamente, anche l’imprevedibilità che vale a connotare il fortuito dev’essere oggettiva – dal punto di vista probabilistico o della causalità adeguata – senza che possa riconoscersi alcuna rilevanza dell’assenza o meno di colpa del custode (sull’insieme ai tali principi, cfr. da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 2477 del 01/02/2018, Rv. 647933 – 01);
poste tali premesse, osserva il Collegio come la corte territoriale dopo aver correttamente escluso l’esistenza di alcun obbligo, in capo all’Anas s.p.a., di apporre recinzioni attorno alla strada in esame, e dopo aver sottolineato come nessuna prova fosse emersa circa l’esistenza di una pretesa rete divelta non riparata in corrispondenza del tratto di strada in cui ebbe a verificarsi il fatto dannoso dedotto dall’attore – abbia correttamente interpretato e applicato i principi di diritto sopra richiamati, impegnandosi a rilevare come il complesso delle evidenze acquisite agli atti del giudizio fosse valso ad escludere che la presenza di animali, lungo il fondo stradale nella specie percorso dal G. potesse considerarsi quale evento normalmente prevedibile o evitabile; e tanto, in forza del principio della regolarità causale, secondo l’id quod plerumque accidit e quindi in base alla regolarità statistica o a una probabilità apprezzabile ex ante, ancorché riscontrata con una prognosi postuma;
in altri termini, muovendo dalla corretta premessa secondo cui, ai fini dell’art. 2051 c.c., rileva esclusivamente la sussistenza del nesso causale tra l’uso della strada custodita e il danno – ed eventualmente l’incidenza di un caso fortuito idoneo in via esclusiva a determinarlo il giudice a quo ha espressamente sottolineato come la presenza di un cane su una strada stradale extraurbana, ancorché astrattamente possibile, non fosse, nel caso di specie, concretamente prevedibile o evitabile, nessuna fonte normativa di carattere legislativo o regolamentare, né alcun principio di comune cautela, potendo nella specie ravvisarsi al fine di giustificare l’eventuale ricostruzione, in termini generali e astratti, di un principio di regolarità causale che, sulla base dell’id quod plerumque accidit (e dunque – come detto – in forza di una regolarità statistica o di una verosimile probabilità apprezzabile ex ante), valesse a rendere ragionevolmente prevedibile ed evitabile l’eventuale sconfinamento di un cane randagio sulla sede stradale;
in tal senso, del tutto correttamente la corte territoriale ha (seppure implicitamente) escluso che la semplice presenza di una rete di contenimento posta nelle vicinanze del luogo in cui ebbe a verificarsi il fatto dannoso dedotto in giudizio (il cui stato di cattivo manutenzione, vale ribadire, è stato dalla corte territoriale recisamente escluso, non essendo emersa alcuna evidenza probatoria idonea a confermarlo) valesse a giustificare alcuna inferenza sul piano della costruzione di una regolarità causale statisticamente apprezzabile circa la prevedibilità e l’evitabilità di invasioni animali sulla sede stradale, atteso l’assorbente e determinante significato valutativo desumibile dall’assenza di alcun obbligo legale di apposizione di recinzioni (imitato alle soie sedi autostradali), con la conseguente attribuzione, alla presenza di detta recinzione, del solo significato consistente nell’avvenuta adozione, da parte dell’Anas s.p.a., di una forma precauzionale di carattere elettivo e certamente ulteriore rispetto alla prevenzione dei pericoli astrattamente e preventivamente prevedibili ed evitabili in relazione alla concreta tipologia della strada in esame;
deve pertanto ritenersi che il giudice a quo, nell’esercizio della propria discrezionalità valutativa, abbia logicamente e correttamente rinvenuto, nell’evento costituito dall’invasione di un cane randagio sulla sede stradale in esame, una circostanza idonea a integrare gli estremi del caso fortuito, attesa l’oggettiva imprevedibilità e inevitabilità del fatto, così come desumibile anche ad esito dell’esame della specifica condizione fattuale e giuridica del bene custodito cada società convenuta;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese dei presente giudizio secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oitre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022
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