Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.772 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7335/2020 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la “QR FOUR M IMMOBILIARE S.r.l.”, con sede in Roma, in persona dell’amministratore unico pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 17 luglio 2019 n. 4367/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 12 maggio 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 17 luglio 2019 n. 4367/07/2019, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRES ed IRAP relative all’anno d’imposta 2013, in dipendenza della determinazione di “ricavi minimi presunti”, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “QR FOUR M IMMOBILIARE S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 18 gennaio 2018 n. 1594/38/2018, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che la disciplina delle società di comodo per il mancato raggiungimento dei risultati reddituali trovasse adeguata giustificazione – oltre che nella scissione parziale da cui la contribuente aveva avuto origine come società beneficiaria, al fine di separare l’attività commerciale e l’attività immobiliare della società scissa – nella stipulazione di una compravendita immobiliare nell’anno 2012 e nella percezione di canoni locatizi appostati nel bilancio annuale. La “QR FOUR M IMMOBILIARE S.r.l.” è rimasta intimata. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata al difensore della parte costituita con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. La ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

Con unico motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la contribuente fosse una società operativa, pur non avendo provato circostanze impedienti il conseguimento di ricavi, incrementi di rimanenze, proventi e redditi.

Ritenuto che:

1. Il motivo è fondato.

1.1 La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30. Si tratta di una normativa antielusiva volta a contrastare le c.d. società di comodo e, in particolare, a disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società. Tali soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma – mancato superamento del “test di operatività” di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 1, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano dall’applicazione di determinati coefficienti – sono considerati di comodo e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative ed ai relativi adempimenti.

1.2 La disposizione sopra richiamata elenca una serie di ipotesi, in presenza delle quali non trova applicazione il regime delle società di comodo, indicando, a tal fine, uno specifico elenco che si riferisce: “1) ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali; 2) ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; 3) alle società in amministrazione controllata o straordinaria; 4) alle società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controllate, anche indirettamente; 5) alle società esercenti pubblici servizi di trasporto; 6) alle società con un numero di soci non inferiore a 50; 6-bis) alle società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità; 6-ter) alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo; 6-quater) alle società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale; 6-quinquies) alle società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20 per cento del capitale sociale”.

1.3 La L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4-bis, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, stabilisce che “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8”. La normativa si limita, quindi, a stabilire una semplice presunzione superabile con la prova contraria, spettando al contribuente dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e specifiche, indipendenti dalla sua volontà, che hanno reso impossibile il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto. Il fallimento del c.d. “test di operatività” istituisce, quindi, una presunzione iuris tantum di inoperatività, che è onere della parte contribuente vincere mediante prova contraria esplicativa dell’anomalia reddituale.

1.4 Tanto è stato consacrato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di IVA, nel caso in cui sussistano le condizioni soggettive e oggettive di applicabilità della disciplina relativa alle società di comodo di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, in ragione del mancato superamento del c.d. test di operatività, il contribuente è tenuto a fornire la prova contraria, dimostrando, ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4-bis, la presenza di quelle oggettive condizioni che hanno impedito il conseguimento dell’ammontare minimo di ricavi, dell’incremento di rimanenze, di proventi e di reddito o non hanno consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini IVA, così da consentire la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive (Cass., Sez. 5, 10 marzo 2017, n. 6195; Cass., Sez. 5, 18 aprile 2018 n. 9461; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34642; Cass., Sez. 6-5, 12 novembre 2020, n. 25506; Cass., sez. 5, 29 dicembre 2020, n. 29734; Cass., Sez. 5, 26 gennaio 2021, n. 1593; Cass., Sez. 5, 24 febbraio 2021, n. 4947). Peraltro, “l’impossibilità” per l’impresa di conseguire il reddito minimo presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4-bis, per situazioni oggettive di carattere straordinario – la cui prova è a carico del contribuente – non va intesa in termini assoluti bensì economici, aventi, cioè, riguardo all’effettive condizioni del mercato (Cass., Sez. 5, 28 febbraio 2017, n. 5080; Cass., Sez. 5, 20 giugno 2018, n. 16204; Cass., Sez. 6-5, 10 febbraio 2019, n. 4019; Cass., Sez. 5, 27 novembre 2020, n. 27149; Cass., Sez. 5, 24 febbraio 2021, n. 4947).

1.5 Tale regime non è stato alterato dalla sopravvenienza della L. 27 dicembre 2006, n. 296.

Difetta, questa corte ha ribadito che, in tema di società di comodo, in caso di mancato superamento del test di operatività, anche in seguito alle modifiche apportate alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 109, permane la possibilità per il contribuente di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative attraverso la prova contraria qualificata dalla ricorrenza di una situazione oggettiva a sé non imputabile che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege, non essendo a tal fine necessario esperire preventivamente il rimedio precontenzioso dell’interpello disapplicativo (Cass., Sez. 5, 24 febbraio 2021, n. 4946).

1.6 Nella specie, il giudice di appello non si è adeguato al canone di ripartizione della prova, desumendo il superamento della presunzione legale dalle ragioni dedotte per escludere l’elusività della scissione della società originaria (necessità di distinguere l’attività commerciale e l’attività immobiliare), dalla stipulazione di una compravendita immobiliare e dalla percezione di canoni locatizi appostati nel bilancio annuale, senza alcun riferimento all’impossibilità di conseguire ricavi e di produrre reddito entro i limiti prefissati dalla legge, senza dar conto dell’accertamento di circostanze ostative al conseguimento di ricavi ed alla produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege. Il che si traduce in una distorsione del principio dell’onus probandi con riguardo ai presupposti del regime fiscale delle società di comodo.

2. Valutandosi la fondatezza dei motivi dedotti, dunque, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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