LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15358-2020 proposto da:
L.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI VALERI 1, presso lo studio dell’avvocato MAURO GERMANI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****) in persona Direttore pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, (C.F. *****), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che le rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5578/15/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 02/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 20/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
la parte contribuente ricorreva contro un preavviso di iscrizione ipotecaria immobiliare emesso da Equitalia a garanzia di importi dovuti a seguito di cartelle di pagamento non eseguite contestando la mancata notifica delle cartelle sottese alle misure di garanzia;
la Commissione Tributaria Provinciale dichiarava inammissibile il ricorso non essendo possibile stabilirne la tempestività;
la Commissione Tributaria Regionale riteneva ammissibile l’appello ma lo respingeva nel merito evidenziando in particolare la validità delle notifiche sottese al preavviso di ipoteca.
La parte contribuente proponeva ricorso affidato ad un unico, complesso e articolato, motivo di impugnazione mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione della norma posta a fondamento del nostro ordinamento con riguardo all’art. 345 c.p.c., (che andava applicato) di converso al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58) con non doveva essere applicato al caso di specie, nonché violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 91 c.p.c., in tema di liquidazione di spese di lite; nonché perché le cartelle di pagamento sottese al preavviso di iscrizione ipotecaria non sono mai state notificate alla parte contribuente.
Il motivo di impugnazione è inammissibile.
Deve infatti dichiararsi inammissibile il ricorso il cui motivo di impugnazione si risolva – come nel caso di specie – in un’oscuro e indistinto coacervo di vaghe e generiche menzioni normative, non individuate in maniera scientifica, prive di adeguato supporto argomentativo quanto all’erroneità della loro applicazione nella sentenza impugnata e sull’individuazione dell’interpretazione invece corretta, tali da rendere impossibile a questa Corte, a meno di una invece non consentita interpolazione ed integrazione dell’atto di parte, la stessa individuazione della censura mossa alla gravata sentenza (Cass. n. 18066 del 2020).
In effetti, nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016; Cass. n. 8943 del 2021).
Nella specie il ricorrente affastella – in una struttura argomentativa poco chiara, promiscua, disordinata e confusa una congerie di norme asseritamente violate, in un contesto narrativo non puntualmente ricollegato alla sentenza impugnata, nel mentre questa Corte ha, più volte enunciato il principio secondo il quale nel ricorso per cassazione, i motivi d’impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 8943 e 8358 del 2021; Cass. n. 3554 del 2017).
Secondo questa Corte infatti:
in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., SU, n. 23745 del 2020);
in tema di giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, né essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. n. 4905 del 2020);
in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 14986 del 2021; Cass. n. 3340 del 2019).
Deve altresì rilevarsi che, per contestare le circostanze fattuali affermate dalla Commissione Tributaria Regionale, la ricorrente fa riferimento a elementi che non sono trascritti nel corpo del ricorso (in primis con riguardo alla asserita mancata notifica delle cartelle di pagamento), in violazione del principio di autosufficienza del ricorso stesso: in effetti, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara ricostruzione dei fatti funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 17070 del 2020).
Ritenuta dunque l’inammissibilità del motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.300, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022