Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.790 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28462/2016 proposto da:

P.C., P.G. e P.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI n. 20, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO COMI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONELLA LUPIS;

– ricorrenti –

contro

PA.LU., PA.RO. e PA.EL., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA QUINTINO SELLA n. 23, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO VACCA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO ROMEO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 413/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 04/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

viste le conclusioni scritte depositate dal P.G., nella persona del Sostituto Dott. ALESSANDRO PEPE, il quale ha formalmente concluso per il rigetto del ricorso, pur prospettando, nel merito delle proprie considerazioni, l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 19.6.1990 Pa.Ro., Lu. ed El. evocavano in giudizio P.G. innanzi il Tribunale di Locri, esponendo di essere comproprietari, in parti uguali, di un fabbricato rurale sito in territorio del Comune di ***** con circostante terreno, per averlo ricevuto dai loro genitori, i quali a loro volta lo avevano acquistato con atto del 25.8.1959 da P.F., dante causa del convenuto P.G., il quale non aveva esercitato il diritto di riscatto previsto nel predetto atto di cessione, nel termine quadriennale ivi previsto. Chiedevano quindi al Tribunale di condannare il convenuto a consegnare loro la chiave di accesso del fabbricato, che deteneva in modo illecito, e cessare da ogni molestia e turbativa del loro diritto di proprietà sul bene di cui anzidetto.

Si costituiva il convenuto, resistendo alla domanda, affermando che il bene controverso sarebbe sempre rimasto nella disponibilità materiale del proprio dante causa, e spiegando a sua volta domanda riconvenzionale di accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione dello stesso.

Intervenivano volontariamente nel giudizio P.C. e R., le quali deducevano che il loro nonno, Po.Ca., aveva istituito eredi universali i suoi nipoti, Po.Ra., C., Ca., G. e R., tutti figli di P.F.; che quest’ultimo, alla morte del padre, si era immesso nel possesso dei beni ereditari; che nei suoi confronti gli eredi testamentari avevano spiegato azione di petizione ereditaria; che detta domanda era stata accolta dal Tribunale di Locri con sentenza n. 33/1962. Eccepivano quindi la nullità dell’atto con cui P.F. aveva disposto del bene cedendolo ai genitori degli attori Pa..

Con sentenza n. 419/1995 il Tribunale di Locri accoglieva la domanda principale, rigettando quelle proposte da P.G. e da P.C. e R..

Interponevano appello avverso detta decisione tanto il primo che le seconde, e la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 6/2005, accoglieva il gravame, dichiarando che il cespite controverso era di proprietà di P.C. e R..

Proponevano ricorso avverso detta decisione Pa.Lu., Ro. ed El. e la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5255/2011, accoglieva l’impugnazione, rinviando il giudizio alla Corte di Appello per l’accertamento della buona fede, avendo il giudice di merito omesso di considerare il fatto che il P.F., prima di disporre del bene di cui è causa in favore dei genitori dei Pa., aveva presentato denuncia della successione paterna e provveduto a trascriverla nei registri immobiliari, in data 17.4.1952.

All’esito del giudizio di rinvio la Corte di Appello di Messina, con la sentenza impugnata, n. 413/2016, confermava la decisione di prime cure, condannando i P. alle spese dei vari gradi di giudizio.

Propongono ricorso per la cassazione di detta sentenza P.C., R. e G., affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso Pa.Ro., Lu. ed El..

In prossimità dell’udienza, la parte ricorrente ha depositato memoria e nota conclusiva.

Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. ALESSANDRO PEPE, ha concluso formalmente per il rigetto del ricorso, pur avendo prospettato, nelle proprie conclusioni scritte, l’accoglimento del terzo motivo e l’assorbimento degli altri.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della nota conclusiva depositata dalla parte ricorrente, poiché la facoltà difensiva di cui all’art. 372 c.p.c., si consuma con il deposito della memoria per l’udienza, che peraltro, nella specie, la predetta parte ha ritualmente effettuato. Nessun atto difensivo ulteriore, rispetto a detta memoria, è ammesso dalla norma.

Passando ai motivi di ricorso, con il primo di essi i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che dalla documentazione prodotta in sede di rinvio emergeva che, in realtà, nessuna denuncia di successione fosse stata mai trascritta nei registri immobiliari da P.F.. La Corte distrettuale avrebbe dovuto, secondo i ricorrenti, prendere atto di detta circostanza, anche considerando che il tema del giudizio di rinvio era proprio l’accertamento della buona fede, sull’erroneo presupposto che il P. avesse trascritto la denuncia di successione del proprio genitore.

Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione dell’art. 115 c.p.c., perché la Corte di Appello sarebbe incorsa in un “grossolano errore” ritenendo sussistente la trascrizione della denuncia di successione, che in effetti non vi era mai stata.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 534,2648 e 2660 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di merito avrebbe erroneamente attribuito valore alla semplice denuncia di successione, non trascritta, senza considerare che la buona fede dell’erede apparente sussiste solo qualora sia l’acquisto di costui, che quello dei suoi aventi causa, siano trascritti in epoca precedente a quella in cui è stato trascritto l’acquisto dell’erede effettivo.

Le tre censure, suscettibili di scrutinio congiunto, sono infondate.

La sentenza impugnata contiene l’accertamento che la vendita da P.F. ai genitori dei Pa. fu trascritta l’11.9.1959 mentre gli eredi di Po.Ca. avevano trascritto il testamento che li istituiva eredi soltanto il 14.11.1959 ed esercitato la petizione ereditaria con citazione del 10.2.1960, necessariamente trascritta in epoca successiva a tale data. Inoltre, il giudice del rinvio evidenzia che la sentenza della Corte di Cassazione n. 5255/2011, con la quale era stata cassata la prima decisione della Corte di Appello di Reggio Calabria, aveva definitivamente accertato che il P.F. avesse trascritto, in data 17.4.1952, la successione del proprio dante causa Po.Ca. (cfr., per ambedue i richiamati profili, pag. 7 della sentenza impugnata).

In base all’accertamento in fatto condotto dalla Corte del rinvio sulla successione degli atti rilevanti, che non viene contestato dai ricorrenti, e considerato che dal decesso di Po.Ca. -avvenuto nel ***** – il P.F., erede apparente, aveva esercitato pacificamente il possesso sul bene senza essere mai disturbato da alcuno, essendo stato reso pubblico il testamento che istituiva eredi gli odierni ricorrenti solo otto anni dopo la morte del comune dante causa, il giudice di merito è pervenuto alla conclusione che sia l’erede apparente, venditore, che gli acquirenti, aventi causa dal medesimo, fossero in buona fede, al momento della conclusione della compravendita del 1959, perché essi non potevano materialmente essere consapevoli dell’esistenza delle disposizioni di ultima volontà di Po.Ca., sulle quali gli odierni ricorrenti fondano oggi le loro pretese in relazione al cespite controverso.

Questo accertamento di merito, fondato su elementi di fatto univoci, che – si ribadisce – non sono specificamente contestati da parte ricorrente, si fonda sul fatto che la Corte di Cassazione nella richiamata sentenza n. 5255/2011 – trascritta, in parte, a pag. 7 della sentenza impugnata – avesse definitivamente accertato che la successione di Po.Ca. fosse stata trascritta da P.F. in data 17.4.1952, prima della trascrizione della compravendita del cespite controverso, eseguita nel 1959 da P.F. ai genitori dei Pa. e trascritta nei registri immobiliari l’11.9.1959.

La parte ricorrente contesta il complessivo ragionamento del giudice del rinvio, affermando che la Corte messinese avrebbe erroneamente affermato che il P.F. aveva trascritto la denuncia di successione del suo dante causa, laddove – al contrario – nessuna trascrizione di detta successione risultava esser stata eseguita nei registri immobiliari. L’argomento non si confronta in modo adeguato con la richiamata motivazione del giudice del rinvio: i ricorrenti, infatti, non contestano la successione delle date degli eventi successivi (trascrizione della vendita e del testamento ed esercizio della petitio hereditatis) indicata dalla Corte siciliana, né richiamano, nel testo della censura in esame, alcun documento dal quale si trarrebbe la dimostrazione della lamentata assenza della trascrizione nei registri immobiliari, da parte dell’erede apparente P.F., della successione di Po.Ca.: evento, quest’ultimo, che – come correttamente affermato dalla Corte messinese – risulta definitivamente accertato dalla Corte di Cassazione, con la già richiamata sentenza n. 5255/2011.

Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, va evidenziato che l’errore denunciato – che appare al limite del vizio revocatorio, posto che i ricorrenti lamentano, in sostanza, l’erronea percezione, da parte del giudice, dell’esistenza di un elemento di fatto la cui inesistenza sarebbe invece documentata dai documenti acquisiti nel corso del giudizio – non sarebbe stato neppure commesso dal giudice del rinvio. L’accertamento dell’esistenza della trascrizione della successione di Po.Ca. non è infatti stato compiuto dalla Corte di Appello di Messina, la quale si è limitata a richiamare, sul punto, il contenuto della citata sentenza n. 5255/2011 di questa Corte: l’errore percettivo, dunque, ove mai esistente, sarebbe stato commesso dalla Corte di legittimità, la cui decisione non risulta esser stata attinta da tempestivo ricorso per revocazione.

Alla luce delle diverse considerazioni esposte, le tre censure proposte dai ricorrenti non meritano accoglimento. Il ricorso, dunque, va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, sia da parte del ricorrente principale che di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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