Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.800 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24387/2017 proposto da:

R90 SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMEO BIANCHIN, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., C.A.M., M.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PINCIANA, 25, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO IACOVONE, rappresentati e difesi dall’avvocato AUGUSTO CASSINI, in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

P.M., B.A.L., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 10, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE BOCCONGELLI, e rappresentati e difesi unitamente dall’avvocato MASSIMO FANTIN, giusta procura in calce al controricorso;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 505/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/12/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie delle parti.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con citazione del 21 maggio 2010, C.A.M., M.E. e M.A. citavano in giudizio dinanzi al Tribunale di Pordenone la R90 S.r.l., deducendo che la convenuta aveva realizzato nel Comune di Roveredo in Piano un edificio posto a distanza inferiore a quella di legge rispetto alla loro proprietà, chiedendone pertanto la riduzione in pristino.

Con separato atto di citazione, sulla base della medesima prospettazione, erano evocati in giudizio anche P.M. e B.A.L., che si erano resi acquirenti dalla società di un appartamento del pari posto a distanza irregolare, e del quale chiedevano la riduzione in pristino.

Disposta la chiamata in causa della società su richiesta dei convenuti, al fine di essere garantiti per l’ipotesi di accoglimento della domanda attorea, con l’accertamento altresì dell’avvenuta risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice, e con la condanna anche al ristoro dei danni, le due cause erano riunite, ed all’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito con la sentenza n. 898 del 22 dicembre 2015, accoglieva la domanda attorea, e condannava i convenuti, in solido tra loro, a demolire ed arretrare le parti di immobile che erano poste a distanza inferiore a metri 10 dalla proprietà degli attori; accoglieva altresì la domanda di danni avanzata dagli attori, quanto alla perdita di panorama, e dichiarava risolto il contratto di compravendita intercorso tra i convenuti e la società, condannando quest’ultima alla restituzione del prezzo versato.

Avverso tale sentenza la R90 S.r.l. e P.M. e B.A.L. proponevano separati appelli del pari riuniti, e la Corte d’Appello di Trieste, nella resistenza degli attori, con la sentenza n. 505 del 18/7/2017, rigettava entrambi i gravi, con la conferma della decisione di primo grado.

La Corte distrettuale rilevava che, quanto alle censure che investivano la norma suscettibile di trovare applicazione, non potessero accogliersi le deduzioni in merito alla inoperatività per la Regione Friuli-Venezia Giulia delle previsioni di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

A tal fine rilevava la circostanza che l’art. 35 delle norme di attuazione del PURG approvato dalla Regione, disciplinava il regime delle distanze in maniera del tutto sovrapponibile a quanto previsto dal citato art. 9 per le zone omogenee diverse dalla zona A, con la prescrizione del limite di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

La giurisprudenza di legittimità aveva poi riaffermato la piena compatibilità tra la normativa statale e quella regionale non potendo indurre a diverse conclusioni una nota del responsabile del servizio urbanistica del Comune di Roveredo in Piano, trattandosi di atto che non è fonte di diritto né può costituire interpretazione della norma.

Ne derivava che la distanza era quella di 10 metri, come imposta dalle NTA ovvero dal D.M. n. 1444 del 1968.

Una volta posta tale precisazione, doveva ravvisarsi la presenza sulle pareti degli edifici oggetto di causa di vere e proprie vedute, che rilevano ai fini della definizione di parete finestrata, sicché la presenza di una luce anche solo su di un tratto della parete imponeva il rispetto della detta distanza per l’intero sviluppo della facciata, e cioè anche per le parti di edificio che non si fronteggiano direttamente con vedute.

Era poi infondata la deduzione della società appellante secondo cui per l’applicazione della maggiore distanza fosse necessario distinguere l’ipotesi di costruzione di due nuovi edifici da quella in cui solo uno degli edifici sia nuovo, atteso che la ratio che regge la previsione di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, impone il rispetto della distanza al fine di evitare la creazione di intercapedini, a prescindere quindi dall’epoca di realizzazione degli edifici.

Quanto alla domanda di riduzione in pristino, la Corte d’Appello ribadiva la correttezza della disposta demolizione, atteso che si verteva in un caso di violazione di norme integrative al codice civile, e precisamente della prescrizione di cui all’art. 873 c.c..

Ne’ poteva invocarsi il fatto che la costruzione fosse stata autorizzata dalla PA, in quanto l’eventuale positiva valutazione della PA non è in grado di comprimere il diritto del privato al rispetto delle distanze, non potendo i provvedimenti amministrativi incidere nei rapporti interprivatistici.

Infine, era rigettato anche il motivo di appello della società quanto alla pronuncia di risoluzione del contratto di compravendita, e ciò in quanto l’immobile risultava essere stato eretto, in contrasto con quanto affermato nel rogito, in violazione delle norme in materia di distanze tra costruzioni.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la R90 S.r.l. sulla base di due motivi.

P.M. e B.A.L. hanno a loro volta proposto ricorso avverso la medesima sentenza sulla base di tre motivi.

C.A.M., M.E. e M.A. hanno resistito con controricorso ad entrambi i ricorsi.

La R90 S.r.l. ha resistito con controricorso al ricorso proposto dagli altri convenuti.

Tutte le parti hanno altresì depositato memorie.

2. Preliminarmente occorre dare atto che avverso la stessa sentenza di appello risultano essere stati proposti due autonomi ricorsi, da un lato, dalla R90 S.r.l., e, dall’altro, da P.M. e B.A.L. sicché, per ragioni di ordine cronologico, la qualifica di ricorso principale deve essere attribuita al ricorso proposto per primo in ordine di tempo, e cioè al ricorso avanzato dalla società atteso che, pur essendo stati entrambi i ricorsi notificati nello stesso giorno, come si ricava dalle stampe dei messaggi di posta elettronica certificata, quello proposto dalla società risulta notificato alcune ore prima di quello degli altri ricorrenti, la cui impugnazione si converte quindi in ricorso incidentale (cfr. ex multis Cass. n. 33809/2019).

3. Sempre in via preliminare devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità formulate dalle originarie parti attrici in ordine ad entrambi i ricorsi, sul presupposto della violazione dei requisiti posti dall’art. 366, comma 1, nn. 3, 4 e 6, in quanto, sia pure con qualche appesantimento nella parte espositiva, i mezzi di impugnazione risultano formulati nel rispetto dei requisiti di forma-sostanza prescritti dal codice di rito.

4. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 20.5 delle NTA del PRPC (Piano Regolatore Particolareggiato Comunale).

Nella premessa ad entrambi i motivi, si ricorda che il Comune di Roveredo in Piano aveva autorizzato nell’ambito del PRPC un intervento di ristrutturazione urbanistica di immobili siti in zona omogenea A4 ed A6, prevedendo in ragione dell’estensione dell’area interessata dal piano, una attuazione graduale, con la suddivisione dell’area di due aree progetto.

L’area B, che interessa i beni di causa, era stata a sua volta suddivisa in cinque comparti.

Il PRPC era stato poi interessato da alcune varianti, con la previsione di cui all’art. 20.5 delle NTA che dispone che:

“La realizzazione degli edifici, consentita esclusivamente all’interno dei limiti di nuova edificazione, determina l’obbligo di osservare la distanza minima di 10 m. tra parete finestrata e parete antistante.

Nel caso di pareti antistanti non finestrate, è possibile edificare pareti non finestrate fino al limite di comparto o al confine di proprietà, con eventuale costruzione in aderenza”.

Secondo la ricorrente la norma non intende disciplinare i distacchi tra gli edifici nuovi, stante la diversa e puntuale previsione per gli immobili che interessano la viabilità principale di via *****.

Assume la ricorrente che la sentenza gravata ha omesso di valutare la rilevanza di tale normativa, avendo nella sostanza fatto diretta applicazione della norma nazionale di cui al D.M. n. 1444 del 1968, trascurando invece di considerare che, secondo le prescrizioni del piano planivolumetrico, vi era la volontà comunale di realizzare una cortina omogenea e continua.

La pretesa di applicare l’art. 25.2 delle NTA anche rispetto ad edifici da demolire presenti in altri comparti, vanificherebbe l’obiettivo del Comune, come sopra indicato.

Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e degli artt. 35 e 36 della NTA del PURG (Piano Urbanistico Regolatore Regionale).

La sentenza impugnata, pur dando atto che l’intervento oggetto di causa era stato realizzato nel centro storico, ha però ritenuto corretta la soluzione in punto di applicazione della distanza di dieci metri, sul presupposto della operatività anche nella Regione Friuli-Venezia Giulia della disciplina statale di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

Tuttavia, non si è tenuto conto del fatto che nella fattispecie siamo al cospetto di edifici appartenenti alla zona omogenea A, per la quale l’art. 9 citato non prevede la distanza di dieci metri tra pareti finestrate, che invece è applicabile per le altre zone diverse dalla A.

Inoltre, il comma 2, secondo periodo dell’art. 9 ammette la previsione di distanze inferiori rispetto a quelle dettate nei predetti commi, nel caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionali con previsioni planivolumetriche.

La Corte d’Appello ha erroneamente applicato alla fattispecie una norma in materia di distanze che invece concerne diverse zone omogenee, come confermato dall’art. 33 del PURG che pone il centro storico in zona territoriale omogenea A.

La soluzione in diritto è quindi frutto di un erroneo inquadramento della fattispecie, posto che l’art. 34 del PURG, analogamente al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, per i centri storici non prevede distanze tra pareti finestrate e non richiama la norma statale.

5. Il primo articolato motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto sostanziale (urbanistico – edilizio) regolanti la fattispecie.

Oltre ad evidenziarsi che mai gli attori avevano fatto riferimento alla previsione di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, si ricorda che gli immobili oggetto di causa sono ubicati nella zona omogenea A del Comune di Roveredo in Piano, e quindi non era dato invocare la previsione in tema di distanze tra edifici con pareti finestrate.

Il Tribunale aveva deciso sulla scorta dell’art. 20.5 delle NTA, la cui interpretazione era stata censurata in appello, ma la Corte distrettuale si è soffermata solo sulla norma statale, in quanto ritenuta prevalente.

In realtà, una volta escluso che sia invocabile il citato art. 9, si sarebbe dovuto verificare se la previsione dell’art. 20.5 fosse in concreto applicabile, avuto riguardo alla inclusione o meno delle opere nel PRPC ed occorrendo tenere conto anche delle tavole planivolumetriche di cui allo stesso PRPC.

Si sottolinea come l’esecuzione di tale piano contemplasse la suddivisione in vari comparti in vista della complessiva ricostruzione dell’area, sicché ai fini dell’applicazione delle NTA occorre tenere conto delle sole nuove costruzioni, senza la possibilità di guardare anche alle costruzioni preesistenti.

Si ricorda che le NTA del Comune all’art. 12, pur prevedendo una distanza di metri 10 tra edifici, contemplavano la possibilità che il PRPC per l’area centrale potesse prevedere diverse prescrizioni edilizie, stante l’interesse alla sua attuazione, e l’art. 20.5 disciplina solo le nuove costruzioni all’interno dei limiti del comparto.

Il motivo poi contesta la qualificazione di parete finestrata data dai giudici di merito e la sua estensione all’intera parete, anche per la porzione in cui gli edifici non si fronteggiano.

Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato esame della nota del responsabile del servizio urbanistico, la quale aveva sostenuto la diversità di disciplina tra il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e le previsioni del piano comunale.

Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c..

Infatti, i ricorrenti incidentali in appello avevano riproposto, sotto specie di specifico motivo di appello la richiesta di risarcimento del danno per lucro cessante, quale conseguenza della risoluzione del contratto di compravendita.

La domanda era stata rigettata dal Tribunale per difetto di prova, e tale soluzione era stata censurata in appello.

Tuttavia la Corte distrettuale ha omesso di pronunciare su tale specifica censura.

Analogamente con l’atto di appello si era dedotto che la condanna all’abbattimento, disposta dal Tribunale in solido a carico di tutti i convenuti, dovesse riguardare i ricorrenti incidentali per la sola parte di immobile dagli stessi acquistata, ma anche tale doglianza non ha ricevuto risposta in sentenza.

Infine, il giudice di appello ha confermato la risoluzione del contratto di compravendita, con la conseguente retrocessione della proprietà dell’immobile alla società, così che l’unico soggetto tenuto ad eseguire la riduzione in pristino è la società.

6. Ritiene il Collegio che si imponga la prioritaria disamina del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso indentale, stante la loro connessione, e ciò in considerazione della loro fondatezza e del carattere assorbente della decisione di accoglimento dei motivi de quibus, rispetto alle altre censure mosse dai ricorrenti.

Infatti, come peraltro riconosciuto anche dalla difesa dei controricorrenti, gli immobili oggetto di causa sono rientranti nella zona territoriale omogenea A, trattandosi di edifici posti nel centro storico (cfr. la sentenza impugnata a pag. 9).

Ancorché i motivi di appello investissero anche la corretta esegesi delle NTA adottate dal Comune di Roveredo in Piano, sul presupposto che le stesse dovessero essere intese in senso restrittivo, e non anche suscettibili di trovare applicazione anche per manufatti non interessati dall’attività di recupero del PRCP, la Corte d’Appello ha incentrato la propria decisione essenzialmente sulla vincolatività ed operatività del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, evidenziando che si tratta di norma suscettibile di trovare applicazione anche nella regione Friuli Venezia Giulia, come già statuito da questa Corte, stante la sostanziale sovrapponibilità delle sue previsioni con quelle di cui all’art. 35 delle NTA del PURG.

Trattasi però di norma che è chiaramente riferita alla disciplina delle zone omogenee diverse dalla A, come confermato da uno stesso passaggio della decisione di appello a pag. 9, penultimo capoverso.

Tuttavia, come invece si ricava dalla lettura del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, secondo cui:

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.

Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;

ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;

ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”, emerge con evidenza come il distacco di dieci metri tra pareti finestrate non opera per gli immobili siti in zona A, quali appunto quelli oggetto di causa.

Deve, quindi, ritenersi che la sentenza impugnata sia incorsa in un evidente errore di diritto ritenendo di individuare la disciplina delle distanze suscettibile di trovare applicazione nella fattispecie, sulla base di una norma che però, in ragione della zonizzazione operante per gli immobili per cui è causa, non poteva direttamente trovare applicazione, stante anche l’erroneo riferimento alle analoghe previsioni di cui alle NTA del PURG.

Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere cassata, stante la fondatezza delle censure in esame, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, e ciò anche in considerazione del fatto che i motivi di appello che investivano anche la questione concernente l’esatta portata applicativa dell’art. 20.5 delle NTA del PRPC investe accertamenti in fatto, devoluti al giudice di merito e che questi ha omesso di compiere, in ragione dell’erronea individuazione della norma suscettibile di trovare applicazione.

7. L’accoglimento dei motivi di cui al punto che precede implica, poi, evidentemente l’assorbimento degli altri motivi del ricorso principale ed incidentale, essendo gli stessi chiaramente correlati alla esatta individuazione della norma urbanistica applicabile, alla sua esatta interpretazione, e quindi alla conferma eventuale, in sede di rinvio, della illegittimità della costruzione realizzata dalla società e poi alienata in parte ai ricorrenti incidentali.

8. Il giudice di rinvio, come sopra designato, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione, ed assorbiti gli altri motivi del ricorso principale ed incidentale, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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