Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.807 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33349/2019 proposto da:

M.T.B., elettivamente domiciliato in Pescara, via Antinori 6, presso lo studio dell’avv. Colavincenzo del Foro di Chieti, che lo rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per Il Riconoscimento Della Protezione Internazionale Ancona, Ministero Dell’Interno, *****;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 25/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/11/2021 dal Cons. Dott. Lina RUBINO

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. M.T.B., cittadino del Camerun, propone ricorso articolato in quattro motivi, notificato il 25 ottobre 2019, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso il decreto n. cron. 11365 del 2019 del Tribunale di Ancona, notificato il 25 settembre 2019.

2. Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. Il ricorrente ricostruisce nel ricorso la sua vicenda personale: di religione musulmana, ed etnia yambassa, dichiarava di essere fuggito dal Camerun per timore del pericolo che correva in ragione di alcuni fatti criminosi, in cui si sarebbe trovato coinvolto in Camerun senza comprenderne la reale gravità: riferisce che iniziava a collaborare con una organizzazione, rivelatasi criminale, consegnando periodicamente alla polizia delle buste, che lui pensava contenessero documenti ed invece appurava che si trattava di erogazioni di denaro a fini corruttivi, provenienti dalla organizzazione di cui faceva parte e che scopriva occuparsi del traffico di droga. Riferisce anche che arrivava una denuncia a suo carico e, su consiglio della sua famiglia si determinava a lasciare il paese. Sostiene nel ricorso di aver ormai una buona padronanza della lingua italiana e di aver concluso un contratto di lavoro a tempo determinato, e di aver prodotto durante il giudizio di merito convenzioni e contratti di tirocinio, attestati di corsi seguiti, concernenti l’educazione civica e il primo soccorso, nonché relativi ad attività di volontariato.

5. La sua domanda, volta al riconoscimento, in via gradata, delle varie forme di protezione internazionale, veniva rigettata dapprima in sede amministrativa e poi in sede giurisdizionale.

6. Con il primo motivo di ricorso denuncia la nullità del provvedimento impugnato, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, art. 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, laddove il tribunale lo ha ritenuto scarsamente attendibile perché riferisce in modo generico il contenuto del decreto penale che lo avrebbe colpito in Camerun e perché rileva una contraddizione con le dichiarazioni rese al momento dell’arrivo, nelle quali evidenziava esclusivamente ragioni economiche a fondamento della decisione di espatriare.

Il motivo è inammissibile. La pretesa erroneità del giudizio di non credibilità del ricorrente non attinge minimamente ad un sia pur minimo livello di specificità delle singole contestazioni, limitandosi la difesa del ricorrente a contestare il giudizio di credibilità del richiedente asilo sovrapponendo le proprie, soggettive valutazioni del racconto reso in sede di audizione in commissione territoriale, senza indicare in quale violazione di legge e quale errore di diritto sarebbe incorso il giudice di merito che ha motivatamente formulato il proprio giudizio di non credibilità ritenendo che il ricorrente non avesse circostanziato la vicenda nei limiti in cui avrebbe potuto e dovuto farlo.

7. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6 e 7 e 8, nella valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

Sostiene che all’interno della motivazione del provvedimento impugnato non si sarebbe adeguatamente proceduto alla verifica della sussistenza o meno dell’effettiva capacità delle forze dell’ordine del Camerun di tutelare un qualsiasi cittadino da minacce alla propria libertà personale anche nelle forme di una minaccia all’integrità fisica o psichica come nel caso di specie.

Il motivo è inammissibile: il ricorrente non rappresenta neppure a quali minacce sarebbe stato in concreto soggetto, riferisce solo, genericamente, che a suo carico stava iniziando un procedimento penale per la collaborazione prestata ad un gruppo che a suo stesso dire si occupava di spaccio di droga nel corrompere le forze dell’ordine. 8. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, riconducibile alla omessa valutazione della situazione reale attuale del Camerun, in relazione alla ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Sostiene che, nell’escludere una condizione di rischio individuale a suo carico, i giudici avrebbero escluso a priori qualunque collegamento tra la sua situazione individuale e la generale condizione socio politica del Camerun, concludendo per l’esclusione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria. Il motivo è inammissibile, in quanto il decreto esamina, sulla base di informazioni tratte da fonti attendibili e aggiornate, la situazione del paese di provenienza, ai fini del riconoscimento o meno della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), affermando che la situazione del paese, pur essendo caratterizzata da una certa instabilità ed anche dalla violazione dei diritti fondamentali in alcuni territori, non raggiunge nelle zone di provenienza del ricorrente una intensità tale da configurare una situazione di violenza generalizzata, atta a giustificare il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria. Non sussiste quindi la denunciata violazione di legge, e la critica si rivolge primariamente verso l’esito del giudizio, sollecitandone quindi una inammissibile rinnovazione in fatto.

9. Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia l’omesso e contraddittorio esame di un fatto decisivo per il giudizio, ed in particolare la contraddittoria valutazione delle condizioni del paese di provenienza ed anche del paese di transito, la Libia, in relazione ai presupposti per la concessione della protezione umanitaria, anche in ragione della capacità di integrazione mostrata dal richiedente.

La censura contenuta nel quarto motivo, con la quale si lamenta una sottovalutazione delle vicende subite nel paese dove non solo transitò ma sostò alcuni anni, la Libia, non può essere presa in considerazione atteso che non riferisce alcuna circostanza della sua vita in Libia, che risultasse delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e fosse stata in quella sede evidenziata come ipotesi di persecuzione a suo danno. Quanto alla integrazione, il giudizio di comparazione tra la situazione di tutela dei diritti umani nel paese di provenienza e la sua situazione attuale, per quanto scarnamente motivato, è stato compiuto e se ne dà conto nel decreto.

Il ricorso è complessivamente inammissibile.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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