Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.808 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34198/2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Augusto Riboty, 23, presso lo studio dell’avvocato Valeria Gerace, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Ancona Ministero Dell’interno, Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale Ancona;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 05/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/11/2021 dal Cons. Dott. Lina RUBINO.

RILEVATO

che:

1. C.M., cittadino della Costa d’Avorio, propone ricorso articolato in tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso il decreto n. cron. 11837 del 5 ottobre 2019, emesso dal Tribunale di Ancona.

2. Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. Il ricorrente, quanto alla sua vicenda personale e processuale, riferisce esclusivamente, nella parte dedicata alla esposizione sommaria dei fatti di causa: “il ricorrente fuggiva dal suo paese di origine per una forma di persecuzione politica”. Null’altro precisa in ordine alla sua identità personale, composizione familiare, etnia, religione, livello di istruzione, né chiarisce quali siano state le vicissitudini che lo avrebbero spinto a lasciare il paese. 5. La sua domanda, volta al riconoscimento, in via gradata, di tutte le forme di protezione internazionale, veniva rigettata in sede amministrativa e poi giurisdizionale.

5. Con il primo motivo di ricorso denuncia la nullità del provvedimento impugnato, per violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’esigenza di accordare una forma gradata di protezione al ricorrente o altre forme residuali.

Contesta la decisione laddove il giudice di primo grado ha definito la persecuzione, non meglio in questa sede individuata o descritta, subita dal ricorrente, come non rilevante e laddove ha affermato che il ricorrente non subirebbe alcun atto di violenza se tornasse nel suo paese. Si limita ad affermare che ciò non sia vero, come sarebbe appurabile anche da notizie acquisite dal web non meglio specificate né quanto alla fonte né quanto al contenuto, dalle quali emergerebbe che la condizione di vita degli abitanti della Costa d’Avorio non è sicura. Nel motivo di ricorso si critica la mancata concessione della protezione, facendo alternativamente riferimento alla protezione sussidiaria ed a quella umanitaria, in relazione alla quale conclude affermando che, essendo giunto in territorio italiano è titolare del pieno diritto ad accedere alla protezione umanitaria affinché gli sia garantito un livello di vita adeguato per sé e la sua famiglia laddove le condizioni socioeconomiche e sanitarie del suo paese di origine non consentano un livello sufficientemente adeguato e accettabile di vita.

Al punto B) o secondo motivo di ricorso, denuncia l’omesso o errato esame della sua vicenda personale del ricorrente in relazione alla violazione dei diritti umani in Costa d’Avorio e neppure in questa sede richiama, neppure per sommi capi la sua vicenda personale.

Infine con il punto C) o terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della Direttiva Europea 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, richiamando diverse pronunce giurisprudenziali che fanno riferimento all’alleggerimento dell’onere probatorio nel campo della tutela delle ipotesi di protezione internazionale.

Conclude che, in riferimento al caso di specie, valutato il livello culturale del ricorrente (non indicato, neppure all’interno del motivo), può dirsi compiuto da quest’ultimo ogni ragionevole sforzo per dedurre in giudizio ogni elemento utile alla valutazione della sua specifica situazione personale. Respinge di conseguenza come non accettabili diagnosi di non credibilità o mancanza di coerenza in relazione al suo livello di istruzione: affermazioni del tutto generiche che non si confrontano con l’inesistente allegazione di qualsiasi circostanza atta ad individualizzare la posizione di questo ricorrente e quindi a consentire di valutare se alla luce dei criteri dell’onere probatorio attenuato la sua situazione sia stata mal valutata e necessità e si renda necessaria una riconsiderazione di essa.

6. Il ricorso è complessivamente inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

Esso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie, la sola lettura del ricorso non integrata dalla lettura del provvedimento impugnato non consente una completa ricostruzione e neppure una adeguata comprensione della fattispecie sottoposta all’esame della Corte: la sommaria esposizione dei fatti di causa manca totalmente, non vi è modo di apprendere, dalla mera lettura del ricorso, quale sia la storia personale del ricorrente, perché ha abbandonato il suo paese di origine, perché ritenga di essere esposto ad un pericolo in caso di ritorno in patria, quale sia stato il suo percorso di integrazione in Italia. Ne’ c’e’ una critica diretta e men che generica del provvedimento impugnato, con il quale il ricorrente in effetti non si confronta affatto.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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