Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.809 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36466/2019 proposto da:

A.M.K., elettivamente domiciliato in Falconara Marittima, piazza Mazzini 9, presso lo studio dell’avv. Nicoletta Pelinga, che lo rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 16/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/11/2021 dal Cons. Dott. Lina RUBINO.

RILEVATO

che:

1. A.M.K., cittadino del Ghana, propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso il decreto n. 12314/2019 del Tribunale di Ancona, pubblicato in data 16 ottobre 2019.

2. Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. Il ricorrente riferisce nel ricorso la sua vicenda personale: dichiara che il padre morì nel ***** durante le elezioni politiche in Ghana perché si volle opporre ai brogli elettorali da parte di un’esponente del gruppo del partito *****, tale A.K., che gli avrebbe per questo sparato; dopo la morte del padre, stante l’inerzia della polizia, lui ed altri suoi parenti organizzavano una protesta, durante la quale la casa di A.K. era data alle fiamme. Riferisce poi che questo soggetto ed altri, insieme ad alcuni poliziotti, venivano a cercarlo a casa nei giorni successivi all’incendio perché lo sospettavano di aver appiccato il fuoco alla casa di A.K., personaggio in vista a livello locale; per timore di quelli che lo ricercavano e di essere imprigionato scappava insieme alla moglie attraverso la Libia.

5. La sua domanda, volta al riconoscimento, in via gradata, di tutte le forme di protezione internazionale, veniva rigettata in sede amministrativa e poi giurisdizionale. Racconta di avere attraversato il Togo, il Benin, il Niger e di essere rimasto in Libia per quattro anni e 11 mesi; riferisce in Libia la moglie venne spinta giù dalle scale da alcuni ladri penetrati all’interno della sua abitazione, cadendo a pancia in giù mentre era incinta e che di lì a poco morì. Dopo la morte della moglie lui scappò dalla Libia per recarsi in Italia.

6. Con il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa considerazione e analisi della situazione generale esistente in Libia come paese di transito in cui il richiedente aveva a lungo sostato, in violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

7. Con il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato: denuncia la violazione dell’onere probatorio attenuato e il mancato rispetto della convenzione di Ginevra che impone di accertare se il richiedente possa essere oggetto anche solo potenziale di una persecuzione.

8. Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della normativa concernente il riconoscimento della protezione sussidiaria, stante la conclamata incapacità da parte delle autorità statuali sia del Ghana sia della Libia di garantire ai propri cittadini i primari diritti fondamentali della persona.

9. Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6, in relazione al diritto alla protezione umanitaria. Ribadisce che i motivi umanitari costituiscono un catalogo aperto che includere non solo le condizioni di vulnerabilità, peraltro configurabili nel caso di specie, ma anche la mancanza delle condizioni minime per condurre una esistenza dignitosa concetto esteso di vulnerabilità imposto dall’art. 10 Cost..

RITENUTO

che:

9. Il ricorso è complessivamente inammissibile.

La censura contenuta nel primo motivo, con la quale si lamenta una sottovalutazione delle vicende subite nel paese dove non solo transitò ma sostò alcuni anni, la Libia, non può essere presa in considerazione atteso che non riferisce alcuna circostanza della sua vita in Libia, che risultasse delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e fosse stata in quella sede evidenziata come ipotesi di persecuzione a suo danno: il pur tragico episodio della morte della moglie viene dallo stesso ricorrente ricondotto esclusivamente al comportamento di alcuni ladri durante un furto nel loro appartamento.

Quanto al secondo motivo di ricorso, la pretesa erroneità del giudizio di non credibilità del ricorrente non attinge minimamente ad un sia pur minimo livello di specificità delle singole contestazioni, limitandosi la difesa del ricorrente a contestare il giudizio di credibilità del richiedente asilo sovrapponendo le proprie, soggettive valutazioni del racconto reso in sede di audizione in commissione territoriale, senza indicare in quale violazione di legge e quale errore di diritto sarebbe incorso il giudice di merito che ha motivatamente formulato il proprio giudizio di non credibilità ritenendo che il ricorrente non avesse circostanziato la vicenda come pure avrebbe potuto fare, coinvolgendo la stessa alcuni suoi parenti.

Altrettanto inammissibile è il terzo motivo, laddove si lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria sotto i profili di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), omettendo di considerare che la valutazione dei relativi presupposti è impedita in limine dal giudizio di non credibilità del richiedente asilo.

Con il quarto motivo infine si rivendica la concessione della protezione umanitaria senza alcuna specifica motivazione e allegazione degli elementi utili al pur invocato giudizio di comparazione, la cui assenza in decreto è soltanto declamata, limitandosi la difesa ad elencare principi di diritto (pur astrattamente condivisibili) così come affermati in alcune pronunce di questa Corte, senza alcuna ulteriore specificazione riferibile al caso concreto.

Si aggiunga che il ricorrente non contesta la specifica affermazione contenuta nel decreto impugnato; secondo la quale, con riferimento alla integrazione nel contesto socio economico nazionale, nulla sarebbe stato allegato.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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