Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.81 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 4121/2020 proposto da:

Z.K., rappresentato e difeso dall’avv. ROCCO LOMBARDO, elettivamente domiciliato in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A, presso lo studio dell’Avv. Alessio Petretti, giusta procura speciale alle liti in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Avv. L.A., quale tutore e difensore in proprio del minore Z.A..

– controricorrente –

e nei confronti di:

Procura generale presso la Corte d’appello di *****;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di ***** n. *****, pubblicata il *****;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 luglio 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del *****, la Corte di appello di *****, in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, ha rigettato l’appello proposto da Z.K. avverso la sentenza n. ***** emessa il ***** dal Tribunale per i minorenni di *****, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore Z.A., nato a *****, figlio di Z.K. e B.G., quest’ultima deceduta; aveva sospeso la responsabilità genitoriale del padre e disposto il collocamento del minore presso la famiglia ove si trovava, sospendendo i rapporti tra il minore e ogni parente.

2. Questa Corte, con ordinanza del *****, aveva cassato, con rinvio al giudice di primo grado, la sentenza della Corte di appello di ***** del *****, che aveva rigettato l’appello proposto da Z.K. avverso la sentenza del Tribunale per i minorenni di ***** n. *****, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità di Z.A., disponendo l’interruzione dei rapporti padre-figlio e la sospensione della sua responsabilità genitoriale, perché la sentenza di primo grado era stata emessa prima dello scadere dei termini concessi ai difensori per il deposito delle memorie conclusive.

3. La Corte di appello di ***** ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo esaustivo il materiale istruttorio acquisito e la sussistenza dello stato di abbandono materiale e morale del minore, fin dalla nascita del figlio e sino ad oggi, periodo in cui mai il padre aveva chiesto notizie del figlio agli operatori; che il padre non aveva risolto il suo problema di tossicodipendenza, né risultava avere intrapreso un percorso riabilitativo; lo stesso, inoltre, non si era mai rivolto, come prescritto, ai Servizi Sociali, ed aveva manifestato la sua natura aggressiva anche verso i figli minori della compagna M.P.N..

4. Z.K., avverso la detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. L’avv. L.A., nella qualità di tutore del minore, ha depositato controricorso.

6. La Procura Generale presso la Corte d’appello di ***** non ha svolto difese.

7. La controricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere motivato solo apparentemente in ordine allo stato di abbandono del minore.

2. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione di norme di legge con riferimento alla L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 all’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e all’art. 29 Costituzione italiana.

2.1 I motivi che vanno trattati unitariamente perché riguardanti entrambi lo stato di adottabilità del minore, sono inammissibili, in quanto le censure formulate, sebbene denuncino – formalmente – una assenza di motivazione ed una violazione di legge, involgano esclusivamente questioni di merito. In proposito, questa Corte ha affermato il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).

2.2 Va premesso che la L. n. 184 del 1983, art. 1 attribuisce carattere prioritario all’esigenza del minore di vivere nella famiglia di origine, esigenza ribadita con forza ancor maggiore attraverso le successive modifiche apportate alla predetta norma.

Ed infatti, mentre il testo originario dell’art. 1, con il quale si apriva il titolo I, “Dell’affidamento dei minori”, della citata L. n. 184 del 1983, si limitava ad affermare il diritto del minore “di essere educato nell’ambito della propria famiglia”, la riformulazione della stessa disposizione ne ha arricchito il testo, introducendo, tra i “Principi generali” (così mutata la rubrica del titolo I, della L. n. 184 del 1983, per effetto della L. n. 149 del 2001), anche quello relativo al “diritto di crescere” nella famiglia naturale, nonché quello, enunciato nell’art. 1, comma 2 aggiunto dalla stessa L. n. 149, secondo il quale “mai la condizione di indigenza dei genitori naturali può portare alla dichiarazione di adottabilità del minore”, essendo affidato alle organizzazioni statali competenti, ed in particolare dei servizi sociali, in caso di difficoltà della famiglia d’origine, il compito di rimuovere le cause che possono precludere una crescita serena.

Una esigenza, quella appena evidenziata, della quale è consentito il sacrificio solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali, da parte dei genitori e degli stretti congiunti, a prescindere dalla imputabilità a costoro di detta situazione, tale da pregiudicare in modo grave e non transeunte lo sviluppo e l’equilibrio psico – fisico del minore stesso (Cass., 14 maggio 2005, n. 10126).

Il prioritario diritto del figlio di vivere con i suoi genitori e nell’ambito della propria famiglia, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità dello stesso, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo questo diritto essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono, la cui dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, come “extrema ratio” a causa della irreversibile incapacità dei genitori e dei parenti di allevarlo e curarlo per la loro totale inadeguatezza (Cass., 25 gennaio 2021, 1476; Cass., 30 giugno 2016, n. 13435; Cass. 24 novembre 2015, n. 23979).

L’adozione del minore, alla quale la dichiarazione dello stato di abbandono è prodromica, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisce, dunque, una misura eccezionale cui è possibile ricorrere, non già per consentirgli di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici (e della sua famiglia di origine), ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, ivi compreso l’affidamento familiare di carattere temporaneo, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio (Cass., 14 aprile 2016, n. 7391).

Ed ancora posto che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una “soluzione estrema”, il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass., 27 marzo 2018, n. 7559).

In siffatta ottica, l’accertamento dello stato di abbandono del minore non può essere rimesso ad una valutazione astratta, compiuta ex ante – alla stregua di un giudizio prognostico, fondato su indizi privi di valenza assoluta, ed in assenza di qualsivoglia riscontro obiettivo circa la scarsa idoneità della famiglia di origine a fornire in futuro al minore le cure necessarie per il suo sano sviluppo; dovendo, invece, la valutazione di cui si tratta necessariamente basarsi su di una reale, obiettiva situazione esistente in atto, nella quale soltanto vanno individuate, e rigorosamente accertate e provate, le gravi ragioni che, impedendo al nucleo familiare di origine di garantire una normale crescita, ed adeguati riferimenti educativi, al minore, ne giustifichino la sottrazione allo stesso nucleo.

2.3 Ciò posto, la Corte territoriale non si è affatto sottratta a tale compito scrutinando attentamente, all’esito dell’istruttoria compiuta, la condotta genitoriale del ricorrente e pervenendo a valutarla come “abbandonica” a partire dalla nascita del figlio e sino ad oggi, evidenziando che il padre non aveva mai chiesto notizie del figlio agli operatori e che lo stesso non risultava avere superato il suo problema di tossicodipendenza, né risultava avere intrapreso un percorso riabilitativo e, piuttosto, aveva manifestato la sua natura aggressiva anche verso i figli minori della compagna M.P.N..

I giudici di secondo grado, dopo avere precisato che il figlio era nato prematuro alla 34 settimana di gestazione e aveva già manifestato alla nascita crisi di astinenza, avendo la madre (poi deceduta) assunto, fino a poco prima del parto, cocaina, benzodiazepine e metadone, e che anche il padre faceva uso di stupefacenti, hanno evidenziato che già in primo grado il padre aveva dichiarato di vivere in Italia senza un regolare permesso di soggiorno, di non avere avuto mai un lavoro regolare e di non fare uso di sostanze, nonostante il 29 settembre 2015, il Sert di Bergamo aveva comunicato che egli era risultato positivo a oppiacei, cocaina e cannabinoidi e la stessa circostanza era emersa anche negli esami successivi; inoltre, dal 6 novembre 2015, egli non aveva più dato notizie di sé.

Anche sotto lo specifico profilo della censura sul difetto di attualità circa l’accertamento della condizione dello stato di abbandono del figlio, risultato sieropositivo e HCV positivo, la Corte d’appello ha precisato che, al di là della circostanza che il padre era risultato coinvolto in reati commessi fino al *****, al di là dei reati perseguiti, egli non si era limitato all’uso di droga per sé, ma ne aveva procurato anche alla compagna e nelle feste tra amici e che rilevava anche il divieto di coabitazione disposto dal Tribunale per i minorenni di ***** con i figli della convivente M., in cui si dava atto che lo Z. talvolta utilizzava metodi educativi rigidi nei confronti dei figli e della compagna dei quali si occupava mentre la M. era al lavoro; emergeva, altresì, che quest’ultima, nel procedimento a tutela dei minori aveva dichiarato di avere interrotto la relazione con lo Z. anche per i suoi comportamenti rigidi ed aggressivi con i figli e che aveva avuto paura ad interrompere i rapporti con il ricorrente per il timore di possibili comportamenti violenti rivolti contro i suoi bambini.

I giudici di secondo grado, inoltre, hanno evidenziato che il ricorrente, pur sapendo che erano in corso gli accertamenti per la dichiarazione di adottabilità del figlio, con atteggiamento irresponsabile, aveva continuato ad assumere cocaina e non si era presentato con continuità per i relativi accertamenti e che su sette esami effettuati, solo due erano risultati negativi, tanto è vero che il Sert aveva formulato la diagnosi di “Disturbo da cocaina di grado moderato”; lo stesso, peraltro, non aveva mai mostrato alcuna consapevolezza delle sue serie problematiche comportamentali, né alcuna reale preoccupazione per il figlio, non avendo mai collaborato con gli operatori sociali.

Il ricorrente, inoltre, non ha minimamente censurato l’iter argomentativo svolto dalla Corte, laddove non aveva contestato i diversi cambi di dimora, né che egli non si era mai presentato ai servizi Sociali, in tal modo non consentendo lo svolgimento di una indagine aggiornata, e che lo stesso si presentava senza una fissa dimora e non era in grado di offrire al figlio minore uno spazio adeguato per il suo equilibrato e armonico sviluppo.

La Corte di appello ha, quindi, affermato che le numerose possibilità di riscatto date allo Z. avevano dimostrato che le sue difficoltà avevano una natura cronica, mentre il bambino aveva oramai quattro anni e necessitava di stabilità e di vedere definitiva al più presto la propria posizione giuridica, questo in un tempo funzionalmente compatibile con le esigenze del bambino, alla luce dell’evidenziata impossibilità di un recupero genitoriale da parte del padre.

E’ stata, quindi, definita, a pag. 14, come non transitoria la situazione di abbandono del minore, che aveva avuto inizio fin da prima della nascita, consentendo che la madre non effettuasse alcun controllo e che continuasse ad assumere sostanze e che era proseguita anche dopo, non avendo il padre mai mostrato alcun reale interessamento per le condizioni di vita e di salute del figlio, anche alla luce della sua incapacità e inadeguatezza ad assicurare quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della personalità del minore (pag. 14 della sentenza impugnata).

Per altro verso, a pag. 7, è stata valutata positivamente la relazione con gli affidatari, presso cui il bambino era stato collocato all’età di due mesi, e che il bambino, cagionevole di salute, si era negativizzato per l’HIV, anche se doveva continuare ad eseguire dei controlli e che lo stesso si presentava come un bambino vivace.

Il motivato accertamento in fatto così effettuato dal Giudice del merito esclude sia il vizio di motivazione, sia la violazione di legge denunciata e appare, quindi, insindacabile in sede di legittimità.

3. Il ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, disponendosi che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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