Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.820 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3038-2017 proposto da:

T.S., rappresentata e difesa dagli avvocati LUCIO FILIPPO LONGO, GIAN PAOLO SARDOS ALBERTINI;

– ricorrente –

contro

A.L.E.R. AZIENDA LOMBARDA EDILIZIA RESIDENZIALE DI MILANO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio dell’avvocato NICOLA LAURENTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISTOFORO VINCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2511/2016 della Corte d’Appello di MILANO, depositata il 20/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

T.S. ha proposto ricorso articolato in un unico motivo di ricorso avverso la sentenza n. 2511/2016 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 20 giugno 2016.

Resiste con controricorso l’Azienda Lombarda Edilizia Residenziale Milano.

1. T.S. convenne in giudizio l’Azienda Lombarda Edilizia Residenziale Milano deducendo di possedere lo status di profugo e di essere assegnataria di alloggio di edilizia residenziale pubblica e chiedendo di accertarsi il proprio diritto ad ottenere l’acquisto in proprietà dell’alloggio medesimo alle condizioni di maggior favore di cui alla L. 24 dicembre 1993, n. 560, art. 1, comma 24, e successive modificazioni (prezzo pari al 50% del costo di costruzione). Si costituì l’A.L.E.R. contestando la domanda attorea sotto il profilo della legittimazione attiva e rilevando come non sussistesse un diritto soggettivo alla cessione in proprietà dell’alloggio oggetto di domanda in capo all’attrice, in assenza del necessario presupposto generale del suo inserimento nei piani di vendita di cui all’art. 1, comma 4 menzionata legge del 1993. Con sentenza n. 4121/2012, emessa in data 5 aprile 2012, il Tribunale di Milano respinse la domanda dell’attrice. Avverso detta sentenza propose appello T.S. e si costituì l’A.L.E.R. resistendo al gravame. La Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello, affermando che la L. n. 560 del 1993 contiene nei primi commi dell’art. 1 una serie di regole generali e, quindi, disciplina nei commi finali particolari situazioni alle quali ha ricollegato determinati benefici in termini di prezzo di acquisto e di modalità di pagamento. Non si può dunque, ad avviso della Corte di appello di Milano, ipotizzare una sorta di ius singulare in favore dei profughi, sulla base dell’art. 1, comma 24 della suddetta legge, che sia tale da esentare tale categoria di soggetti dall’osservanza di tutte le condizioni previste dalla legge per poter procedere all’acquisto degli immobili a condizioni agevolate (es. locazione da oltre un quinquennio, regolare pagamento del canone, ecc.). La Corte di appello di Milano ha condiviso quanto statuito dal primo giudice nel senso che la previsione di favore per i profughi, di cui alla L. n. 560 del 1993, art. 1, comma 24, riguarda solo la possibilità per gli stessi di acquistare l’alloggio ad un prezzo di favore (50% del costo di costruzione), ma sempre che ricorrano altresì le condizioni generali di vendita, nella specie l’inserimento dell’immobile nel piano delle vendite regionali. La sentenza impugnata ha aggiunto che la circostanza che il piano regionale di vendita della Lombardia non includa anche gli alloggi in oggetto “e’ frutto di una precisa scelta compiuta dal demanio dello stato, all’epoca proprietario degli alloggi, scelta che a sua volta costituisce applicazione degli ordinari canoni di discrezionalità amministrativa in ordine al quid”.

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.

3. L’unico motivo di ricorso di T.S. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 560 del 1993, art. 1, commi 1 e 24, della L. n. 350 del 2003, art. 4, commi 223 e 224, e della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 45. Ad avviso della ricorrente la sentenza della Corte d’appello ha posto in essere una errata interpretazione della decisione della Corte Costituzionale n. 161/20, giungendo ad affermare che la normativa speciale per i profughi non può ipotizzare una sorta di ius singulare in favore dei medesimi tale da esentare detta categoria di soggetti dall’osservanza di tutte le condizioni previste dalla L. n. 560 del 1993 per poter procedere all’acquisto degli immobili a condizioni agevolate, ed in particolare dall’inserimento dell’immobile nei piani di vendita regionali. La ricorrente afferma che la normativa e tutta la giurisprudenza che negli anni si è succeduta ha riconosciuto la natura di comparto speciale della materia di assistenza ai profughi, la quale è volta a risarcire e tutelare gli interessi di soggetti che hanno subito un durissimo disagio vedendosi costretti ad abbandonare le loro terre natie, perdendo tutti i beni, terreni e ogni altra cosa che ivi possedevano per diventare esuli/profughi. Ciò – secondo la ricorrente smentisce quanto affermato dalla Corte d’appello di Milano e impone l’esclusivo utilizzo della normativa speciale di riferimento che, indipendentemente dal finanziamento, conferisce alla legge nazionale il potere di attribuire il diritto alla vendita dell’immobile per cui è causa. La ricorrente afferma, altresì, che non può costituire causa ostativa all’alienazione il mancato inserimento degli alloggi nel piano di vendita giacché altrimenti si porrebbe in capo all’ente proprietario un diritto di veto che la legge non prevede per gli alloggi da alienare ai sensi della L. n. 560 del 1993, art. unico, comma 24 oltre a creare una discriminazione tra assegnatari “esuli” di varie regioni. Sostiene sempre la ricorrente che il potere di legiferare in materia di profughi spetti solamente alla normativa speciale statale e unicamente alla L. n. 560 del 1993, aqrt. 1, comma 24, escludendo la facoltà di utilizzare e/o estendere l’applicabilità di altre norme della suddetta legge alla materia della cessione degli alloggi dei profughi, fatto che creerebbe discriminazione tra assegnatari di diverse regioni a seconda del volere della Regione di residenza.

4. Il motivo di ricorso è infondato.

4.1. L’invocato L. 24 dicembre 1993, art. 1, comma 24, (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica) dispone che “(g)li assegnatari di alloggi realizzati ai sensi della L. 4 marzo 1952, n. 137, e successive modificazioni, indipendentemente da precedenti domande di acquisto delle abitazioni in godimento, ne possono chiedere la cessione in proprietà entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge beneficiando delle condizioni di miglior favore contenute nelle norme approvate con D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, art. 26 come sostituito dalla L. 27 aprile 1962, n. 231, art. 14”.

4.2. La L. n. 137 del 1952 costituì il primo intervento normativo a favore dei cittadini italiani rientrati dalle ex colonie africane e dalle regioni sottratte alla sovranità dello Stato italiano a seguito degli accordi di pace che posero fine al secondo conflitto mondiale. Essa prevedeva due tipi di provvidenze abitative: l’art. 17 riservava ai profughi, per un determinato numero di anni, una quota pari al 15 per cento delle assegnazioni di tutti gli alloggi che gli istituti di gestione delle case popolari avrebbero costruito dal 1 gennaio 1952 (cosiddetti alloggi “riservati”); l’art. 18 autorizzava la costruzione, a spese dello Stato, di fabbricati a carattere popolare e popolarissimo per la sistemazione dei profughi ricoverati nei centri di raccolta amministrati dal Ministero dell’interno (cosiddetti alloggi “dedicati”). Mentre nei rapporti tra gli enti di gestione e i profughi assegnatari degli alloggi “riservati”, ai sensi del citato art. 17, è assoggettato, anche ai fini della determinazione del canone, al regime giuridico stabilito in via generale per gli assegnatari ordinari, nei rapporti con i profughi assegnatari degli alloggi “dedicati”, di cui all’art. 18, la stessa L. n. 137 del 1952, art. 24 ha previsto un canone di locazione maggiorato, comprensivo dell’accollo di una quota di spese o di costi variamente quantificata dalla legislazione richiamata.

4.3. Visto, appunto, il canone più oneroso corrisposto dai profughi assegnatari degli alloggi “riservati”, si comprende perché la L. n. 560 del 1993, art. 1, comma 24 abbia poi concesso agli stessi la facoltà di acquistare gli immobili alle condizioni di particolare favore indicate dal D.P.R. n. 2 del 1959, art. 26 ossia pagando un corrispettivo pari al 50 per cento del costo di costruzione dell’alloggio.

Il medesimo art. 1, comma 24, è stato poi oggetto della interpretazione autentica L. 24 dicembre 2003, n. 350, ex art. 4, comma 223, nonché delle disposizioni integrative di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 15.

4.4. Questa Corte ha avuto già più volte occasione di chiarire che la scelta legislativa di riconoscere le condizioni di miglior favore della cessione in proprietà ex art. 1, comma 24, esclusivamente ai profughi assegnatari di alloggi costruiti ai sensi della L. n. 137, artt. 18 e segg. e non anche ai profughi assegnatari di alloggi loro riservati ai sensi dell’art. 17 della stessa L. n. 137, non contrasti con alcun principio costituzionale, posto che essa ha la sua giustificazione nel diverso contenuto – specie quanto alla misura del canone – della disciplina dei rispettivi contratti di locazione relativi alle due categorie di profughi, né potendo la mancata estensione del beneficio ai profughi di cui al citato art. 17 dar luogo ad alcun trattamento deteriore a loro carico o alla lesione di una loro aspettativa giuridica (Cass. Sez. 1, 13/12/1999, n. 13949; Cass. Sez. 2, 07/04/2017, n. 9119; Cass. Sez. 1, 07/09/2020, n. 18609).

4.5. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 161 del 2013, nel dichiarare l’illegittimità di una legge regionale che estendeva l’applicazione a tutti i cittadini italiani ed ai loro familiari a carico, in possesso della qualifica di profugo, di un regime privilegiato di acquisto degli alloggi di edilizia residenziale pubblica loro assegnati, ha evidenziato come l’art. 3 Cost. imponga di comparare la disciplina di privilegio nell’acquisto degli alloggi da parte dei profughi con le ragioni degli altri assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, i quali sono titolari del medesimo diritto all’abitazione, al quale la giurisprudenza costituzionale riconosce carattere inviolabile. La sentenza n. 161 del 2013 ha altresì evidenziato che la L. n. 560 del 1993, art. 1, comma 24, accorda la divisata agevolazione nell’acquisto degli alloggi popolari agli assegnatari dei fabbricati di cui alla L. n. 137 del 1952, art. 18 “non in quanto profughi, bensì in quanto conduttori gravati da un canone di locazione più oneroso di quello ordinario, perché comprensivo sia di una quota delle spese di manutenzione straordinaria, sia di una quota annua del costo di costruzione”.

4.6. Nel caso in esame, le esposizioni dei fatti contenute sia nella sentenza impugnata che negli atti difensivi delle parti danno per accertato che l’alloggio per cui è causa sia soggetto al regime di alienazione di cui alla L. n. 560 del 1993.

Ora, l’alienazione ai sensi della L. n. 560 del 1993 è consentita soltanto alle specifiche condizioni e con dia pubblicazione 12/01/2022 particolari procedure previste nella medesima legge. In particolare, ai fini dell’alienazione degli alloggi ai sensi della suddetta legge era necessario che questi fossero inseriti in appositi “piani di vendita” predisposti dalle regioni nei tempi e nelle forme dettati dalla stessa L. n. 560, art. 1, comma 4. Il necessario inserimento dell’immobile nei piani regionali di cui all’art. 1, comma 4 (ovvero il decorso del relativo termine di predisposizione, ferma la necessaria proposta di alienazione dell’ente proprietario) costituisce, pertanto, presupposto indefettibile per poter accedere alla procedura speciale di cessione prevista dalla L. n. 560 del 1993. La stessa formulazione del piano di vendita da parte della regione, su proposta dell’ente proprietario, ai sensi della L. n. 560 del 1993, art. 1, comma 4, dava luogo ad un atto meramente prodromico alla vendita, in quanto la concreta attuazione del piano presupponeva l’effettiva messa in vendita, affidata a ponderate e graduali scelte dell’ente proprietario: ciò ha portato a concludere che l’inclusione nel piano di vendita non implicasse alcuna proposta di alienazione e che la stessa determinabilità del corrispettivo non autorizzasse ex se la presentazione della domanda di acquisto dell’assegnatario, risultando, questa, subordinata ai necessari provvedimenti attuativi emessi dall’ente proprietario (cfr. Cass. Sez. 2, 27/11/2018, n. 30721).

4.7. Il potere spettante alla Pubblica Amministrazione nella fase prenegoziale del procedimento di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, in forza della L. n. 560 del 1993, è a base altresì del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, come ora individuato dall’art. 133 c.p.a., comma 1, lett. b, (Cass. Sez. Un. 13/04/2017, n. 9575).

4.8. Non vi è dunque fondamento normativo, né vi sarebbe ragione, per estendere il regime di privilegio all’acquisto degli alloggi di edilizia residenziale pubblica in favore dei cittadini in possesso della qualifica di profugo, derogando alla disciplina generale altresì in punto di necessario inserimento dell’immobile nei “piani di vendita” predisposti dalle regioni.

5. Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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