Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.826 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26128-2020 proposto da:

M.F., rappresentato e difeso dall’avv. LUCIANA DELLI FRAINE;

– ricorrente –

contro

AVEPA (AGENZIA VENETA PER I PAGAMENTI IN AGRICOLTURA);

– intimata –

avverso la sentenza n. 6310/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 07/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2021 dal Consigliere Dott. TEDESCO GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Per quanto interessa in questa sede il punto di partenza della presente vertenza è costituito dalla sentenza del giudice di pace di Verona (n. 170 dei 2013), con la quale è stata annullata l’ordinanza ingiunzione n. ***** del 2010, che aveva contestato a M.F. la violazione del D.L. n. 370 del 1987, art. 4 in materia di potenziale viticolo. In particolare, sulla scorta del verbale n. 16 del 1 giugno 1999, fu contestato l’impianto abusivo di vigneto e se ne ordinava l’estirpazione.

E’ stata poi emessa ulteriore ordinanza ingiunzione (n. ***** del 30 maggio 2013) in relazione al medesimo impianto.

La Corte d’appello di Venezia, confermando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto che l’ulteriore ordinanza contestava un diverso illecito, non l’impianto abusivo, ma la persistenza del medesimo, che non era stato rimosso.

La Corte di cassazione, investita del ricorso proposto contro la sentenza d’appello, l’ha rigettato.

La Suprema Corte ha riconosciuto il carattere permanente della violazione anche con riferimento alla sanzione, ritenendo di conseguenza che l’annullamento del primo provvedimento non impedisse di irrogare una seconda sanzione per i medesimi impianti viticoli realizzati negli anni 1988/1999; ha inoltre evidenziato che la sentenza del giudice di pace, di annullamento della prima ordinanza, non aveva riconosciuto il carattere istantaneo dell’illecito.

Con unico motivo di ricorso M.F., in proprio e quale legale rappresentante della coobbligata Immobiliare San Giuliano s.r.l., chiede la revocazione della sentenza emessa in sede di legittimità.

Si sostiene che essa sia conseguenza di una fuorviante lettura della sentenza del giudice di pace, il cui contenuto era stato inteso non nella sua portata oggettiva, ma avuto riguardo al reale significato delle norme destinate a trovare applicazione nella fattispecie, che non giustificavano la pronuncia emessa. Si sostiene ancora che a tale supposto errore del giudice di pace, l’amministrazione avrebbe dovuto rimediare in sede di impugnazione della sentenza emessa, non emettendo un nuovo provvedimento sanzionatorio per i medesimi fatti, stante la preclusione derivante dal giudicato.

Così identificato il significato della censura mossa in questa sede, è del tutto evidente che essa investe l’interpretazione della sentenza del giudice di pace da parte della Suprema corte, che non costituisce a priori oggetto di errore revocatorio.

Viene in considerazione il seguente principio: “Il giudicato, sia esso interno od esterno, costituendo la “regola del caso concreto” partecipa della qualità dei comandi giuridici, di guisa che, come la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche, così l’erronea presupposizione della sua inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regula juris, rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, inidoneo, come tale, a integrare gli estremi dell’errore revocatorio contemplato dall’art. 395, n. 4, essendo, in sostanza, assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca, invece, la sua diretta disciplina, e, quindi, ad una falsa applicazione di norma di diritto” (Cass., S.U.. n. 21639/2004; n. 10930/2017; n. 28138/2919).

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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