Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.827 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5560-2020 proposto da:

D.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO N. 22, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO CIERVO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA MANDRO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA SEZ. DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3313/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/08/2019 R.G.N. 2460/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/11/2021 dal Consigliere Dott.ssa PONTERIO CARLA.

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da D.Y. (alias D.Y.), cittadino del Mali, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese il 3.5.2015 a causa delle minacce di morte e degli atti di violenza privata subiti per il rifiuto della propria madre, rimasta vedova, di sposare il fratello del marito. Dopo la morte del padre avvenuta nel 2005, egli, insieme alla madre, si era trasferito a Bamako. Nel 2015, per motivi economici, entrambi erano tornati a Bechini per chiedere allo zio di poter lavorare nel panificio paterno. A causa delle minacce provenienti dallo zio e per l’instabilità del Paese, aveva deciso di fuggire dal Mali e, dopo un transito in Libia, era arrivato in Italia.

3. La Corte d’appello, conformemente al Tribunale, ha ritenuto credibile il racconto del richiedente ma assenti i presupposti per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), sia per il carattere privato della vicenda narrata, legata alle minacce dello zio paterno, e sia perché comunque, come emergeva dal Data pubblicazione 12/01/2022 verbale di audizione, il richiedente era fuggito dal Mali non per le minacce dello zio (potendo anche tornare a vivere con la madre a Bamako), ma per motivi di carattere economico. Anche il riferimento ad attacchi terroristici era stato fatto dal predetto in modo generico, senza riportare alcuna esperienza personale. La Corte territoriale ha escluso anche che ricossero i requisiti per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in ragione dei dati emergenti dalle fonti internazionali, secondo cui i conflitti non interessavano la regione di provenienza del richiedente. Ha parimenti negato la protezione umanitaria giudicando non sufficiente l’allegazione sul grado di integrazione sociale acquisita in Italia, in difetto di prova della compromissione, in caso di rimpatrio, del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost., nel caso di specie esclusa in base all’accertamento svolto per la protezione sussidiaria. Inoltre, sul rilievo che la misura umanitaria invocata ha natura transitoria ed è quindi applicabile in vista di una prevedibile soluzione.

4. Avverso tale sentenza il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi ed ha, preliminarmente, eccepito l’illegittimità costituzionale della L. n. 98 del 2013, artt. 62 – 72, di conversione del D.L. n. 69 del 2013 riguardante l’istituzione dei giudici ausiliari presso le Corti d’appello.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

6. In via preliminare, il ricorrente ha dedotto l’illegittimità costituzionale della L. n. 98 del 2013, artt. 62 – 72, conversione del D.L. n. 69 del 2013 sull’istituzione del giudici ausiliari presso le Corti d’appello, in relazione all’art. 102 Cost., comma 1, e art. 106 Cost., commi 1 e 2, per essere Data pubblicazione 12/01/2022 stata la sentenza pronunciata da un collegio composto anche da un giudice ausiliario, ed ha richiamato gli argomenti esposti nelle due ordinanze interlocutorie della Corte di Cassazione (n. 32032/19 e 32033/19) che hanno ritenuto non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della L. n. 98 del 2013.

7. La Corte Cost., con sentenza n. 41 del 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in L. 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, art. 32 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della L. 28 aprile 2016, n. 57). La Corte Cost. ha quindi riconosciuto alla normativa in esame una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106 Cost., primo e comma 2. In tale periodo rimane legittima la costituzione dei collegi delle Corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario. La sollecitazione di parte ricorrente sulla questione di legittimità costituzionale non può quindi trovare accoglimento.

8. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione del diritto ad essere giudicato dal giudice Data pubblicazione 12/01/2022 naturale precostituito per legge e per difetto di costituzione del giudice; violazione degli artt. 25 e 102 Cost. dell’art. 158 c.p.c. e del R.D. 30 gennaio 1941, n. 13, art. 10, per essere parte del collegio giudicante, come consigliere estensore, un magistrato del tribunale di Padova, applicato presso la Corte d’appello in forza di provvedimenti organizzativi (progetto per la definizione del contenzioso in materia di immigrazione) non approvati dal Consiglio Superiore della Magistratura.

9. Il motivo è infondato, come già affermato da questa S.C. nelle ordinanze nn. 10964 del 2021; n. 6931 del 2021.

10. Il Presidente della Corte veneziana ha elaborato un progetto per lo smaltimento del contenzioso in materia di protezione internazionale, che prevedeva l’applicazione di numerosi giudici del distretto per un breve lasso di tempo, ciascuno nell’ambito di collegi straordinari composti da un magistrato della sezione, da un magistrato applicato e un giudice ausiliario. Detto progetto è stato, successivamente, sottoposto al vaglio del Consiglio Superiore della Magistratura, che con la Delib. n. 1073/AS/2019 non lo ha approvato, ritenendolo da un lato contrastante con il principio della specializzazione del giudice previsto in materia di immigrazione, e dall’altro contrario al divieto di applicazione di un giudice per una sola udienza, di cui alla circolare 20 giugno 2018, art. 90, poiché nell’ambito del periodo previsto dal progetto (una settimana) era prevista la celebrazione di una sola udienza per ciascun collegio. Il ricorrente assume dunque che l’inserimento dell’impugnazione nel progetto di cui si discute avrebbe fatto sì che la causa fosse decisa attraverso un modello organizzativo non ispirato ai criteri di cui alla richiamata circolare, e comunque non coerente con il criterio di specializzazione che presiede la trattazione del contenzioso in materia di protezione internazionale. Va Data pubblicazione 12/01/2022 tuttavia considerato che il magistrato applicato non può essere considerato una persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata, in presenza di un provvedimento di applicazione da parte del Presidente della Corte d’appello ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 110. La contestazione relativa alle modalità con cui l’applicazione è stata disposta non consente poi di ipotizzare alcuna nullità della decisione assunta con la partecipazione del magistrato applicato, poiché l’art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forma non possa essere pronunciata in assenza di una espressa comminatoria di legge. Posto che nessuna norma contempla una nullità di atti ricollegata alle modalità con cui il Presidente della Corte d’Appello si avvale del potere di disporre l’applicazione al suo ufficio di magistrati del distretto, la censura va disattesa. Ne’ rileva il fatto che il progetto non sia stato, poi, approvato dal Consiglio Superiore della Magistratura, posta la sua natura esecutiva e la conseguente irretroattività della pronuncia del predetto organo di autogoverno.

11. Con il secondo motivo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla pronuncia sulla domanda di concessione della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). Si assume che i giudici di appello abbiano omesso di considerare che il ricorrente aveva subito gravi soprusi da parte dello zio paterno nonché la documentata impossibilità per lo stesso di ricevere protezione dalle forze di polizia in ragione dell’inefficienza e dell’alto grado di corruzione della stessa.

12. La censura come formulata non può trovare accoglimento, atteso che la Corte di merito ha esaminato la condotta dello zio paterno, ma ha interpretato le dichiarazioni del ricorrente come rivelatrici del fatto che la spinta all’emigrazione non fosse da ricercare nella condotta del familiare bensì in motivazioni di carattere economico.

13. Con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione, falsa ed erronea interpretazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e della direttiva 2011/95/UE, per avere la Corte d’appello escluso i presupposti della protezione sussidiaria di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), con riferimento alla sola regione di provenienza del richiedente, la regione di Kaye, anziché all’intero territorio nazionale e, comunque, giungendo a conclusioni errate, in quanto dalle fonti internazionali emerge che tutto il Mali è attraversato da una spirale di violenza generalizzata.

14. Anche questo motivo è infondato poiché la Corte di merito ha svolto una accurata indagine rispetto alla zona di provenienza del richiedente, utilizzando fonti internazionali attendibili e aggiornate, ed ha escluso la ricorrenza in relazione a tale zona dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Al riguardo, questa Corte ha chiarito come lo straniero non possa ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, o la protezione sussidiaria, per il solo fatto che vi siano nel suo paese di origine aree o regioni insicure, qualora la regione o area da cui egli provenga sia immune da rischi di persecuzione (Cass. n. 29621 del 2020; n. 18540 del 2019; n. 13088 del 2019; n. 28433 del 2018).

15. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per mancanza di motivazione di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, in merito alla domanda di protezione umanitaria del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, e art. 19, commi 1 e 11 ed ex art. 10 Cost., comma 3. Si sostiene che la Data pubblicazione 12/01/2022 Corte d’appello non abbia considerato la situazione soggettiva del ricorrente nel Paese d’origine ed abbia reso una motivazione contraddittoria e non comprensibile sul grado di inserimento sociale del predetto in Italia, da un lato lasciando intendere che il ricorrente non avesse dimostrato il raggiungimento di una situazione stabile nel contesto sociale del paese di accoglienza e dall’altro affermando che l’inserimento lavorativo sarebbe inidoneo ai fini della protezione umanitaria che, di per sé, ha natura transitoria.

16. Il motivo è fondato atteso che la motivazione adottata dai giudici di appello non appare conforme ai principi enunciati in sede di legittimità (v. Cass. n. 4455 del 2018; Cass. S.U. n. 29459 del 2019; v. anche Cass. n. 20124 del 2021; n. 3580 del 2021) e recentemente ribaditi dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 24413 del 2021.

17. Quest’ultima pronuncia ha tratteggiato il fondamento della protezione umanitaria richiamando la tutela offerta dall’art. 8 Cedu alla vita privata, intesa come l’insieme di relazioni che il richiedente si è costruito in Italia (relazioni familiari, ma anche affettive e sociali e naturalmente relazioni lavorative) e il disposto degli artt. 2 e 3 Cost., là dove quest’ultima tutela la persona “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e predica la “pari dignità sociale” di ogni persona (anche straniera, come chiarito dalla Corte costituzionale fin dagli anni ‘60, cfr., fra le tante, C. Cost. n. 120 del 1967); ha chiarito che “alla luce di tali disposizioni costituzionali…va individuato il senso e la tecnica della comparazione da effettuare tra ciò che il richiedente lascia in Italia e ciò che egli troverà nel suo Paese di origine, dovendo cioè valutarsi, nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri – legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel Paese di origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita”.

18. Ha precisato che la valutazione comparativa, in base alla normativa del T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 113 del 2018, “dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia…”.

19. La medesima sentenza nell’individuare, tra gli indici socialmente rilevanti del livello di integrazione effettiva del richiedente nel nostro Paese, la titolarità di un rapporto di lavoro, ha fatto esplicito riferimento ai rapporti a tempo determinato, secondo la ragione pratica della maggiore diffusione di tale forma di accesso al mercato del lavoro.

20. Da tali premesse, di principi e di metodo, discende che il giudizio di valutazione comparativa demandato al giudice, di fronte ad una domanda di protezione umanitaria, esige una analisi ricostruttiva complessa della condizione di vulnerabilità esistente nel Paese di provenienza e di ciò che il richiedente ha realizzato, nel tempo di permanenza in Italia, creando relazioni di vita privata, di carattere sociale e lavorativo, secondo quello che il concreto meccanismo del mercato del lavoro, così come delle locazioni abitative e dei rapporti sociali, consente di ottenere in un determinato momento storico.

21. La decisione impugnata si discosta sensibilmente dai principi appena richiamati in quanto svaluta apoditticamente il profilo dell’integrazione lavorativa, così vanificandone il rilievo ai fini di un corretto giudizio di comparazione, peraltro in nome anche della natura transitoria di tale forma di protezione, che non trova riscontro normativo ed anzi contraddice la finalità stessa dell’istituto, come ricostruita dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità.

22. Per le considerazioni svolte la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto (il quarto), con rinvio della causa alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che, nel procedere ad un nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto a rinvia alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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