LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5810-2020 proposto da:
D.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE SEZIONE DISTACCATA DI PERUGIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 474/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 31/07/2019 R.G.N. 937/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/11/2021 dal Consigliere Dott.ssa PONTERIO CARLA.
RILEVATO
che:
1. La Corte d’appello di Perugia, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione (che con ordinanza n. 21605/2018 aveva cassato la precedente sentenza d’appello, con cui era stata dichiarata inammissibile l’impugnazione poiché proposta oltre il termine di trenta giorni, previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3) ha respinto l’appello proposto da D.I., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.
2. La Corte d’appello, in sede di rinvio, ha escluso che la situazione narrata dal ricorrente rientrasse in una delle ipotesi di persecuzione legittimanti lo status di rifugiato, che fosse emersa una incapacità di protezione da parte delle autorità statali; che vi fossero elementi comprovanti una situazione di rischio per la vita e l’incolumità fisica derivante da sistemi di regole non scritte sub-statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso; che vi fosse il rischio per il ricorrente di essere esposto a trattamenti inumani o degradanti; che vi fossero i presupposti per la protezione umanitaria in assenza di prova della violazione di diritti fondamentali della persona in caso di rimpatrio.
3. Avverso tale sentenza il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
4. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
5. Col primo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia sul motivo di appello con cui si chiedeva la dichiarazione di nullità o l’annullamento dell’ordinanza impugnata per la mancata concessione della protezione sussidiaria, anche ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
6. Il motivo è inammissibile in quanto si denuncia l’omessa pronuncia su un motivo di appello senza provvedere a trascrivere, almeno nelle parti rilevanti, il motivo di appello che si assume non esaminato dalla Corte territoriale e senza depositare il ricorso di appello.
7. L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, che si risolve nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado e deve essere fatto valere attraverso la deduzione del relativo error in procedendo, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione; ciò comporta che nel ricorso stesso siano riportati puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa sia stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d’appello con cui le censure, asseritamente pretermesse, siano state formulate (v. Cass. n. 17049 del 2015; n. 15367 del 2014).
8. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza d’appello per omessa motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, sul rilievo che la decisione impugnata non contiene alcun riferimento ai fatti di causa e ai motivi di impugnazione e non consente di comprendere il percorso logico seguito per giungere al rigetto del ricorso con riferimento ai motivi concernenti la domanda di protezione sussidiaria e umanitaria.
9. Con il terzo motivo si addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per difetto di motivazione e di istruttoria in relazione alla domanda di protezione umanitaria.
10. Con il quarto motivo si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si rileva come la Corte in sede di rinvio abbia completamente omesso di consultare le fonti informative riguardanti la situazione politica, economica e sociale attuale del Gambia.
11. Con il quinto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251, art. 14, per mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine, quali risultano dalle fonti informative specificamente indicate, nonché violazione dell’art. 10 Cost..
12. Con il sesto motivo è denunciata, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria; omessa valutazione delle fonti informative relativamente alla situazione economico sociale del paese d’origine; omesso esame delle condizioni personali del ricorrente e mancata comparazione tra le condizioni raggiunte dal medesimo in Italia con quelle che troverebbe nel paese di origine in caso di rimpatrio.
13. I motivi dal secondo al sesto sono fondati nei limiti di seguito indicati.
14. La decisione impugnata reca una motivazione che si colloca all’evidenza al di sotto del minimo costituzionale, come delineato dalle S.U. di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014). Non solo manca qualsiasi riferimento ai fatti oggetto di causa, cioè alla vicenda narrata dal richiedente la protezione, ma i rinvii fatti alla decisione di primo grado non consentono in alcun modo di comprendere il percorso logico giuridico che ha condotto i giudici di appello a rigettare i motivi di impugnazione, con la conseguenza che l’affermazione di insussistenza di rischio di persecuzione o dei requisiti per la protezione sussidiaria o umanitaria risulta apodittica e retta da una motivazione assolutamente apparente.
15. Non solo, risulta del tutto omesso l’adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria. Al riguardo, il Collegio rileva che questa Corte ha condivisibilmente affermato il principio secondo il quale “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone, pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente.” (v. Cass. 13897/2019 ed ex multis Cass. 13449/2019, Cass. 11096/2019; Cass. 28990/2018 e Cass. 9230/2020).
16. Nello stesso modo, in punto di protezione umanitaria, la Corte territoriale sì è limitata ad affermare che non ne ricorrono i presupposti in quanto “nulla è stato provato in ordine alla violazione di diritti fondamentali della persona in caso di rimpatrio”, senza aver svolto le necessarie indagini sulla situazione nel paese di provenienza e senza avere ricostruito il livello di integrazione del ricorrente in Italia, ai fini del necessario giudizio di valutazione comparativa, come ricostruito dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 4455 del 2018; Cass. S.U. n. 29459 del 2019; Cass. S.U. n. 24413 del 2021; v. anche Cass. n. 20124 del 2021; n. 3580 del 2021).
17. Per le considerazioni svolte, accolto il ricorso nei limiti appena descritti, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022