Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.841 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SARRACINO Antonella Filomena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 28103/2016 proposto da:

D.S.E., (CF. *****), rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce al ricorso per cassazione, dall’avv.to Alessandro De Paulis del foro di L’Aquila, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Asiago, n. 8, presso lo studio dell’avv.to Guido Alfonsi.

– ricorrente –

contro

COMUNITA’ MONTANA DELLA LAGA – ZONA M, in persona del suo legale rappresentante p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 741/2016 della Corte di Appello di L’Aquila depositata il 14/7/2016, R.G. n. 13/2016;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21.12.2021 dal Dott. Antonella Filomena Sarracino.

RILEVATO

che:

La Corte di Appello di L’Aquila, per quanto ancora rileva, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dalla parte ricorrente volta ad accertare che il rapporto di lavoro intercorso tra la stessa e la Comunità Montana della Laga, formalmente qualificato come contratto di co.co.co con svolgimento di compiti di assistenza degli anziani, di cura dell’ambiente domestico e di accompagnamento degli stessi presso le strutture sanitarie per visite, fosse in realtà un rapporto di lavoro subordinato.

Osservava la Corte di appello che non era stata raggiunta la prova dell’eterodirezione e dell’assoggettamento al potere direttivo e di controllo dell’ente, deponendo – piuttosto – le prove storiche acquisite nel senso dell’autonomia del rapporto di lavoro, così come asserito dal giudice di prime cure che aveva ritenuto la lavoratrice “autonoma nella organizzazione e nello svolgimento della prestazione affidata, pur nel rispetto dell’esigenza dell’utenza, nella copertura del monte ore prestabilito e nei limiti delle mansioni alla stessa affidate e rientranti nella propria competenza”.

Sempre secondo il giudice di appello, dalla partecipazione della ricorrente alle riunioni con le assistenti sociali della Comunità montana, riferita dai testi M. e P., non poteva trarsi alcun elemento che deponesse nel senso della subordinazione; peraltro, il teste P. aveva precisato che dette riunioni erano finalizzate ad individuare le richieste settimanali dell’utenza ed all’organizzazione generale del servizio, di modo che esse rappresentavano una mera attività di coordinamento dell’attività.

Del pari non poteva ritenersi indice sintomatico della subordinazione la richiesta di informazioni che la Comunità Montana della Laga effettuava a coloro che beneficiavano della prestazione (circostanza riferita dal teste M.) poiché essa era finalizzata solo a verificare il soddisfacimento dell’utenza.

Inoltre, soggiungeva la Corte territoriale, i testi P., F. e Me. avevano univocamente ribadito che, nel rispetto del monte ore contrattualmente previsto e della finalità di garantire il servizio agli utenti, la lavoratrice era assolutamente libera di organizzare la propria attività, individuando in autonomia giorni ed orario di lavoro; né, aggiungeva il giudice di appello, potevano ritenersi sintomatiche della subordinazione le dichiarazioni rese dal teste R., che aveva riferito che la lavoratrice veniva inviata dall’assistente sociale dell’ente a prestare assistenza alle figlie disabili nelle ore in cui ve ne fosse stata necessità, poiché quest’aspetto rientra nell’organizzazione della prestazione che l’ente e la lavoratrice dovevano offrire.

Infine, i testimoni P., M. e F. avevano negato che la ricorrente dovesse giustificare le assenze, riferendo la teste M. che la lavoratrice si limitava a comunicarle.

Avverso tale sentenza la lavoratrice propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.

La Comunità Montana della Laga è rimasta intimata.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

1. Con unico motivo di ricorso si lamenta omessa ed erronea valutazione delle prove in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendosi la violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere il giudice d’appello erroneamente ricostruito i fatti storici attraverso un’illogica lettura delle dichiarazioni testimoniali, di cui si chiede una rivalutazione in sede di legittimità che giunga alla conclusione che la Comunità organizzava il servizio raccogliendo le domande degli utenti e impartendo direttive anche alla ricorrente, essendo l’attività di programmazione compiuta a monte.

Sempre la ricorrente contesta l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’operatrice sarebbe stata libera di gestire i giorni e gli orari di lavoro, assunto che non avrebbe trovato riscontro nelle dichiarazioni dei testi F. e P. e che non sarebbe stata evincibile dall’inattendibile deposizione del teste Me..

1.1. Il ricorso è inammissibile perché, ad onta della denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c., e anche a prescindere dal canale di accesso indicato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in realtà sollecita soltanto una rivisitazione nel merito del materiale istruttorio, il che non è consentito in sede di legittimità.

Invero, può denunciarsi una violazione dell’art. 116 c.p.c., solo quando la pronunzia si sia basata su prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio fuori dai limiti consentiti o quando il giudice abbia disatteso prove legali o – al contrario – abbia considerato come prove legali prove che tali non sono.

Nulla di tutto ciò è stato lamentato dalla ricorrente, cui peraltro – non gioverebbe neppure il qualificare l’unico motivo di ricorso come sostanzialmente volto a denunciare un omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti: un motivo del genere, oltre a risultare irritualmente dedotto (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14), sarebbe ad ogni modo precluso dall’art. 348-ter c.p.c., u.c., (applicabile ratione temporis, atteso che l’appello risulta proposto in data 11.1.2016), norma che non consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ipotesi di c.d. “doppia conforme di merito”, a meno che il ricorrente non alleghi e dimostri (il che non è avvenuto nel caso in oggetto) che le pronunce di primo e secondo grado, pur coincidenti quanto a dispositivo, si siano però basate su rationes decidendi fra loro diverse.

All’inammissibilità del ricorso non segue la soccombenza nelle spese, non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quarter, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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