LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8591-2020 proposto da:
E.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI n. 31, presso lo studio dell’Avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 3207/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/07/2019 R.G.N. 2949/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/12/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
CHE 1. La Corte di appello di Venezia con sentenza n. 3207/2019, ha respinto il ricorso proposto da E.E., cittadino della Nigeria (zona di *****), avverso il provvedimento con il quale il locale Tribunale ha respinto il ricorso del richiedente avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di rigetto della sua domanda volta in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
2. la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il racconto del richiedente – fuggito dal proprio Paese perché minacciato di morte da una persona, quale candidato alla carica di sindaco con cui collaborava, ma che egli aveva contestato nella sua attività (la vendita dello stesso terreno a più acquirenti) e verso il quale aveva dei debiti, a seguito di uno scontro armato nel quale erano rimasti uccisi il padre, il fratello e l’autista – non è credibile in quanto confuso, approssimativo, inverosimile e completamente non verificabile;
b) le circostanze riportate non consentono di concedere lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, tanto più che nella zona di ***** della Nigeria (da cui proviene il richiedente e dove ha sempre vissuto) non vi sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato come emerge dalle fonti informative (rapporto ***** novembre 2018);
c) infine, non può concedersi la protezione umanitaria perché non sono state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute, emergendo esclusivamente una ragione personale di natura economica e diritto penale comune;
3. il ricorso di E.E. chiede la cassazione della suddetta sentenza per nove motivi;
partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
1. con i primi tre motivi (tutti raggruppati sotto la rubrica “dedotta non credibilità della vicenda personale”) si denuncia mera apparenza della motivazione, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.L. n. 416 del 1989, art. 1, comma 5, essendo mancato l’esercizio dell’obbligo di cooperazione del giudice di merito, avendo, la Corte territoriale, trascurato la circostanza della bassissima scolarizzazione del ricorrente e il suo analfabetismo e della ferita riportata durante lo scontro armato;
2. con il quarto, quinto e sesto motivo (tutti raggruppati sotto la rubrica “mancata valutazione della situazione interna del Delta del Niger quale presupposto per il riconoscimento della protezione sussidiaria”) si deduce erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 35 bis, nonché omesso esame di un fatto decisivo nonché mera apparenza della motivazione e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dovendosi ritenere che, proprio dalle fonti internazionali accreditate indicate dalla Corte territoriale (rapporto ***** novembre 2018) emergano conflitti di lunga durata in Nigeria, compreso quello che insanguina il Delta del Niger con riguardo a questioni petrolifere;
3. con il settimo, l’ottavo e il nono motivo (tutti raggruppati sotto la rubrica “mancata valutazione della patologia tubercolotica e della situazione interna del Delta del Niger quali presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”) si denunzia omesso esame di un fatto decisivo, erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 35-bis, n. 9, nonché mera apparenza della motivazione, avendo, la Corte territoriale, trascurato la patologia tubercolare latente e come tale necessitante non solo della necessaria profilassi (ormai completata) ma anche di controlli sanitari periodici nonché la rilevanza della situazione interna del Delta del Niger (ampiamente documentata dalle stesse COI citate dal giudice di merito);
4. i motivi dal primo al terzo sono inammissibili;
4.1. va rilevato che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente, che è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione secondo la griglia predeterminata dei criteri offerti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poiché incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 19716 del 2018);
4.2. peraltro, il giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine;
4.3. nella specie – pur volendo superare i profili di inammissibilità relativi all’esposizione promiscua di censure contenute sia nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) che nel n. 5), tali da non consentire di scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio (sulla inammissibilità di tale modalità di confezione del ricorso quando le doglianze operano una commistione fra profili di merito e questioni giuridiche, cfr. da ultimo Cass. n. 33399 del 2019) – il ricorrente, lungi dall’introdurre una censura motivazionale conforme all’attuale canone dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in termini di omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, denuncia, fra l’altro in gran parte in modo non pertinente (utilizzando argomentazioni generiche e stereotipate), una insussistente violazione di legge per sollecitare inammissibilmente questa Corte ad una rivalutazione del materiale probatorio difforme da quella effettuata dal Giudice di merito, ampiamente motivata e svolta secondo un apprezzamento complessivo e unitario di tutti i fatti rispettoso della procedimentalizzazione legale dettata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sia con riguardo ai riscontri di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni concernenti la vicenda personale del richiedente sia con riguardo alle fonti internazionali, specifiche ed aggiornate, consultate ai fini della ricostruzione della situazione del Paese di provenienza;
5. il quarto, quinto e sesto motivo sono inammissibili:
5.1. questa Corte ha affermato che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero, e neppure può impedire l’accertamento officioso, relativo all’esistenza ed al grado di deprivazione dei diritti umani nella medesima area, in ordine all’ipotesi di protezione umanitaria fondata sulla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto nel nostro paese ed il risultato della predetta indagine officiosa (cfr. da ultimo Cass. n. 16122 del 2020);
5.2. in particolare, questa Corte ha affermato che nel caso in cui il giudice di merito abbia reso note le fonti consultate mediante l’indicazione del loro contenuto, della data di risalenza e dell’ente promanante, il ricorrente che voglia censurarne l’inadeguatezza in relazione alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad allegare nel ricorso le fonti alternative ritenute idonee a prospettare un diverso esito del giudizio; diversamente, nel caso in cui il richiamo alle fonti sia assente, generico o deficitario nelle sue parti essenziali, è sufficiente la censura consistente nella deduzione della carenza degli elementi identificativi (Cass. n. 7105 del 2021);
5.3. la Corte territoriale, pur non ritenendo credibile, alla luce dei criteri offerti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ha indagato la situazione della zona di origine del richiedente, escludendo la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata alla luce di fonti internazionali autorevoli ed aggiornate espressamente indicate (e non smentite né aggiornate dal ricorrente);
6. il settimo, ottavo, nono motivo di ricorso sono inammissibili;
6.1. la vulnerabilità del richiedente, rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, può anche essere conseguenza di una seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute che peraltro deve essere adeguatamente allegata e dimostrata (cfr. ex plurimis Cass. n. 2558 del 2020);
6.2. questa Corte ha altresì affermato che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, deve essere letto in conformità al disposto della Dir. n. 2013/32/UE, art. 46, par. 3, nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE: il giudice, pertanto, è tenuto ad esaminare, ed accertare in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, anche fatti nuovi non allegati, ma esistenti al momento della decisione, che siano rilevanti ai fini della concessione della protezione, purché sopravvenuti e non prevedibili al momento della presentazione del ricorso contro il provvedimento di diniego (Cass. n. 20568 del 2021);
6.2. la doglianza relativa alla “patologia tubercolare latente” appare peraltro del tutto generica e conseguentemente priva del requisito di grave e seria esposizione al rischio di lesione del diritto alla salute, anche perché definita, dal ricorrente, oggetto di profilassi ormai completata; inoltre, è questione nuova e, perciò, inammissibile, non essendo stata la questione trattata nella decisione impugnata né avendo indicato parte ricorrente la sussistenza al momento della decisione della Corte territoriale e la sopravvenienza e la non prevedibilità della patologia rispetto all’impugnazione in appello;
7. il ricorso deve, pertanto, dichiararsi inammissibile; nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022