Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.857 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8603-2020 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI n. 30, presso lo studio dell’avvocato MICHELE PERRONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE ROMANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA PRESSO LA PREFETTURA – U.T.G. DI TORINO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 533/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 24/07/2019 R.G.N. 850/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/12/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 24/7/2019, ha respinto il ricorso proposto da M.A., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza del locale Tribunale che aveva respinto il ricorso del richiedente avverso provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, ha precisato che:

a) l’appello del richiedente chiedeva la riforma del decreto del Tribunale con riguardo esclusivo alla protezione umanitaria;

b) non poteva ritenersi la sussistenza dei requisiti per la concessione della protezione umanitaria per la principale ragione che il richiedente – evaso dal carcere ove era recluso a seguito di accoltellamento di una persona durante una lite – non aveva alcun legame familiare o sociale in Italia e doveva escludersi una situazione di vulnerabilità al suo rientro in patria considerato che il Gambia è una repubblica parlamentare di tipo presidenziale, regolamentata da legge costituzionale e dal rapporto ***** emerge che il Ministro degli Interni è il responsabile anche del settore carcerario, vi è una legge che regolamenta il sistema carcerario nonché un sistema giudiziario e, seppur le condizioni di vita dei carcerati sono difficili, recentemente (nel 2017) è stata emanata una amnistia;

3. il ricorso di M.A. domanda la cassazione della suddetta sentenza per due motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 6 e art. 19, art. 32, comma 3, della Convenzione di Ginevra del 1951, art. 33, art. 3 CEDU, avendo, la Corte territoriale, negato la protezione umanitaria trascurando la situazione critica delle carceri del Gambia;

2. con il secondo motivo si denunciano violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25, in relazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, avendo, la Corte territoriale, trascurato la diligenza e buona fede del richiedente, il potere officioso di doverosa indagine sulla situazione complessiva, anche ordinamentale, del paese di provenienza, le condizioni di vita nelle carceri;

3. il ricorso è fondato;

4. questa Corte ha affermato che nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione; il giudice del merito non può, pertanto, limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo in tale ipotesi la pronuncia, ove impugnata, incorrere nel vizio di motivazione apparente (Cass. n. 13897 del 2019, Cass. n. 9230 del 2020);

5. la Corte territoriale si è limitata ad accennare ad un rapporto *****, senza peraltro indicazione della data di pubblicazione, riportando informazioni di carattere non adeguatamente approfondite sul sistema carcerario vigente in Gambia e anche sul rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri del proprio Paese; ne consegue che anche laddove il richiedente abbia commesso fuori del territorio nazionale un reato grave (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b, e art. 16, comma 1, lett. b), e, tuttavia, venga accertato il rischio, in caso di rientro nel Paese di origine, di sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, secondo i principi affermati dall’art. 3 CEDU, tale evenienza va presa in considerazione dal giudice della protezione internazionale, con l’ausilio dei poteri ufficiosi che gli competono, anche nelle fattispecie antecedenti all’entrata in vigore della L. n. 110 del 2017, che prevede che, in nessun caso, possa disporsi l’espulsione dello straniero qualora esistano fondati motivi di ritenere che esso rischi di essere sottoposto a tortura (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19).

6. invero, il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari – secondo l’insegnamento delle Sezioni unite nn. 29459 e 29460 del 2019, nonché, da ultimo, n. 24413 del 2021 – presuppone una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento sia al paese di origine sia alla situazione di integrazione raggiunta in Italia, ma situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese d’origine possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; si imponeva, pertanto, una indagine approfondita sul sistema giudiziario e carcerario del paese di provenienza, anche a fronte di un’assenza di situazioni di integrazione nel territorio italiano;

7. il rischio di sottoposizione alla pena di morte nel Paese di provenienza, o anche il rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri del proprio Paese, non può essere ignorato dal Giudice nazionale (ex plurimis: Cass. 20 settembre 2013, n. 21667, Cass. n. 1033 del 2020), in conformità con la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale l’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il Paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel paese trattamenti contrari proprio alla Convenzione, art. 3, essendo irrilevante il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiché dal carattere assoluto del principio affermato dal citato art. 3, deriva l’impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti e il motivo invocato per l’espulsione (ex multis: Corte EDU sent. 28/2/2008, ric. n. 37021 del 2006; 24 marzo 2009, ric. n. 2638 del 2007; 24/3/2009, ric. n. 38128 del 2006; 24/3/2009, ric. n. 46792 del 2006; 24/3/2009, ric. n. 11549 del 2005; 24/3/2009, ric. n. 16201 del 2007; 24/3/2009, ric. n. 37257 del 2006; 24/3/2009, ric. n. 44006 del 2006; 5/5/2009, ric. n. 12584 del 2008; 24/2/2009, ric. n. 246 del 2007; 27/3/2010, ric. n. 9961 del 2010; c. Italia, 19/6/2012, ric. n. 38435 del 2010, richiamate da Cass. 22 febbraio 2019, n. 5358);

8. in sintesi, il ricorso va accolto in quanto la Corte territoriale ha affermato d’ufficio che l’omicidio di un contendente nell’ambito di una lite rappresenta una causa ostativa al riconoscimento della richiesta protezione senza assumere informazioni precise sulla repressione del suddetto reato di diritto comune nel Gambia; la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione, che provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 22 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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