LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8651-2020 proposto da:
W.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI N. 31, presso lo studio dell’Avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 3110/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/07/2019 R.G.N. 4496/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/12/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
che:
1. Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, W.A., nato in *****, ha impugnato dinanzi alla Corte di appello di Venezia, il provvedimento con cui il locale Tribunale ha respinto il ricorso del richiedente avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di rigetto della sua domanda volta in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
2. il richiedente ha dichiarato di avere abbracciato la fede cristiana, professata dalla moglie (con la quale aveva avuto, nel 2003, un figlio), e di essere fuggito dal proprio paese, rifugiandosi in Nigeria, nell’Edo State, a causa delle angherie e delle aggressioni, per motivi religiosi, perpetrate da uno zio; proseguite le minacce da parte dello zio, decideva di partire con la nuova compagna (dalla quale, nel 2010, aveva avuto un bambino), sempre di religione dapprima per la Libia e poi per l’Italia;
3. la Corte di appello ha respinto la domanda, con sentenza n. 3110/2019, ritenendo il richiedente non credibile, per le dichiarazioni generiche e contraddittorie, sia con riguardo all’adesione alla religione cristiana (di cui non aveva dimostrato di avere le conoscenze di base) sia con riguardo alla persecuzione dello zio (che era in carcere, impossibilitato a raggiungerlo in Nigeria); le circostanze riportate non consentivano, pertanto, di concedere lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, tanto più che in ***** non vi sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato; inoltre, non poteva concedersi la protezione umanitaria perché non erano state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute, e nessuna circostanza dannosa era stata riferita con riguardo al passaggio in Libia;
3. il ricorso di W.A. chiede la cassazione del suddetto provvedimento per un motivo;
4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione del D.Lgs. n. 28 del 1998, art. 5, comma 6, avendo il ricorrente dichiarato, durante l’audizione presso la Commissione territoriale e all’udienza del 5.7.2017, di essere arrivato in Italia con la moglie e con il figlio A.A., nato il ***** in Libia, avendo, pertanto, la Corte territoriale, trascurato la necessità di protezione del proprio nucleo familiare che vede la presenza di un minore;
2. il motivo è fondato;
3. questa Corte ha recentemente affermato (Cass. n. 32237 del 2021) che, a prescindere dalla credibilità della vicenda narrata dal richiedente asilo, la circostanza per la quale quest’ultimo viva in Italia in compagnia del coniuge e di un figlio in tenera età giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria al fine di garantire l’unità familiare, e ciò è a dirsi in un’ottica costituzionalmente orientata di assistenza dei figli minori – cui va riconosciuto il diritto ad essere educati ed accuditi all’interno del proprio nucleo familiare onde consentir loro il corretto sviluppo della propria personalità – nonché alla luce del principio sovranazionale di cui all’art. 8 CEDU, dovendo riconoscersi alla famiglia la più ampia protezione e assistenza, specie nel momento della sua formazione ed evoluzione a seguito della nascita di figli, senza che tali principi soffrano eccezioni rappresentate dalla condizione di cittadini o di stranieri, trattandosi di diritti umani fondamentali cui può derogarsi soltanto in presenza di specifiche, motivate e gravi ragioni;
4. invero, costituisce indizio di vulnerabilità soggettiva, al di là ed a prescindere dalla valutazione di credibilità del richiedente asilo, la circostanza di essere allontanato dal proprio nucleo familiare e respinto nel Paese di provenienza, costituendo tale allontanamento forzato un atto destinato ad incidere significativamente sulla psiche e sulle emozioni del soggetto che si vede privato del suo diritto di partecipare al sano ed equilibrato sviluppo della propria vita familiare, segnatamente nell’ottica dell’assistenza, dell’educazione e dell’accudimento di figli minori;
5. tale situazione di vulnerabilità, pur dedotta solo successivamente alla decisione di merito (non avendo, il ricorrente, trascritto con quale atto e in che termini la questione stessa sia stata riproposta in grado di appello), non può essere documentata in sede di legittimità (se non in violazione dell’art. 372 c.p.c.), ma potrà essere prodotta nel giudizio di rinvio (pur dovendo, a rigore, fondare una nuova ed autonoma istanza di protezione internazionale), in ossequio ai principi, più volte predicati da questa Corte anche a Sezioni Unite, di economia dei giudizi, di concentrazione delle decisioni, di non illimitezza delle risorse giurisdizionali, di illegittimità del frazionamento di domande aventi il medesimo petitum processuale;
6. la decisione impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità; il giudice del rinvio dovrà operare la necessaria valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione raggiunta nel paese di accoglienza.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 22 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022