LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8685/12 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– Ricorrente –
contro
O.D., rappresentato e difeso dall’avv.to Rossella Zofrea, e dall’avv.to Stefano Barzon, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Rossella Zofrea, in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 134, giusta procura in calce al controricorso.
– Controricorrente –
avverso la sentenza n. 151/22/11 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 10 novembre 2011, non notificata.
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella nella camera di consiglio del 06/12/2021;
viste le conclusioni del sostituto procuratore generale, Fulvio Troncone, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, con. conv. con mod. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, di inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle entrate, Ufficio di Treviso, notificò ad O.D., socio al 95% della società Borgo Cattanei s.r.l., avviso di accertamento, per gli anni d’imposta 2004 e 2005, con i quali, in seguito ad una verifica riguardante una serie di cessioni immobiliari effettuate dalla società Borgo Cattanei s.r.l., accertò, con metodo analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, un maggior reddito imponibile ai fini IRPEF.
2. Avverso detto avviso di accertamento il contribuente propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Treviso (di seguito, CTP) che, con la sentenza n. 99/02/10, respinse il ricorso.
3. La sentenza della CTP veniva impugnata dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto (di seguito, CTR) che con sentenza n. 151/22/11 accolse l’appello del contribuente annullando l’avviso di accertamento. In particolare, la CTR sul presupposto della statuizione di accoglimento del ricorso proposto dalla società Borgo Cattanei s.r.l., nei cui confronti erano pure stati notificati avvisi di accertamento con riprese fini Iva, Ires ed Irap, per ricavi di impresa non dichiarati, riteneva che, così come per la società, l’accertamento fiscale emesso nel confronti del socio era fondato sulla scorta di una serie di presunzioni che non avevano i requisiti della gravità, precisione e concordanza (“Nel caso in esame l’accertamento è stato eseguito sulla scorta di una serie di presunzioni che, tuttavia, non possono essere qualificate “gravi, precise e concordanti”, In particolare, l’attività edificatoria non risulta essere stata antieconomica avendo consentito di produrre utile superiore al 10% nonostante l’evento negativo costituito dal fallimento dell’impresa edile appaltatrice; è infatti evidente come dal punto di vista economico aziendale, e quindi anche fiscale, sia inammissibile la considerazione di un risultato economico parziale poiché per qualsiasi attività imprenditoriale deve essere considerato il risultato economico complessivo finale. I valori dichiarati nei rogiti notarili di compravendita, benché inferiori a quelli risultanti dal valore teorico medio, erano comunque superiori a quelli minimi al di sopra dei quali è inibito l’accertamento di maggior valore ed è stata acquisita una perizia giurata da cui risulta la corrispondenza tra i valori dichiarati e quelli reali, trattandosi di immobili situati all’estrema periferia di un piccolo comune. La provenienza dei finanziamenti è irrilevante ai fini della determinazione dell’asserito maggior valore degli immobili, potendo al più giustificare accertamenti sui redditi dei finanziatori; quanto infine all’importo dei mutui contratti dagli acquirenti, costituisce fatto notorio in quanto ampiamente reclamizzato dagli istituti bancari come negli anni considerati venissero offerti finanziamenti per l’acquisto di prime case per importi ben superiori al prezzo di acquisto in quanto gli istituti tenevano conto, da un lato, delle possibilità finanziarie dei debitori, dall’altro, della continua e consistente rivalutazione del valore degli immobili protrattasi per diversi anni”).
4. Avverso tale decisione, l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
5. Il contribuente ha resistito con controricorso ed ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione insufficiente laddove, con argomentazioni apodittiche, i secondi giudici hanno escluso la valenza indiziaria degli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento fiscale senza spiegare attraverso quale calcolo hanno ritenuto che il risultato economico finale portasse ad un utile superiore al 10%, né quali fossero le risultanze della perizia giurata richiamata in motivazione.
1.1. Col secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dei principi in materia di prove logiche desumibili da “fatti notori”, laddove, secondo la CTR, costituirebbe fatto notorio la circostanza che negli anni in contestazione gli istituti bancari offrissero finanziamenti per l’acquisto di prime case per importi ben superiori al prezzo di acquisto in quanto gli istituti tenevano conto sia delle possibilità del ceto debitorio, sia della progressiva e continua rivalutazione del valore degli immobili; peraltro, il riferimento ad elemento temporale assolutamente contingente (anni 2004 e 2005), avrebbe dovuto portare ad escludere l’assunta notorietà dei fatti.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. L’orientamento monofilattico di questa Corte ha chiarito che: “La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione” (così, Sez. 5, 04/08/2017, n. 19547).
2.2. Ne consegue, dunque, che il vizio di insufficiente motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo antecedente alla modifica disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012 – e quindi applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata antecedentemente alla data dell’11 settembre 2012 – può dirsi integrato solo quando, dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell’iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata (cfr., ex multis, Sez. 1, 24/05/2018, n. 12967).
3. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, la censura risulta inammissibile proprio perché la ricorrente Amministrazione non ha indicato alcun “fatto”, dedotto e non adeguatamente valutato nella sentenza impugnata, idoneo a giustificare una decisione diversa da quella assunta, limitandosi a denunciare in blocco la valutazione compiuta dal giudice e a proporne una diversa. Anche le censure mosse contro la perizia giurata – in quanto richiamata in sentenza senza dar conto dell’accertamento tecnico in base al quale tale perizia avrebbe escluso l’antieconornicità della gestione – a ben guardare, si risolvono in una critica generica, senza minimamente sconfessare, attraverso la deduzione di elementi di fatto non presi in considerazione dai giudici di appello, la conclusione di questi ultimi per la quale l’attività edificatoria non risulta essere stata antieconomica avendo prodotto ricavi, negli anni in contestazione, nella misura superiore al 10%.
3.1. Contrariamente all’assunto della ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata dà atto di come la CTR, nell’esercizio delle facoltà relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova spettanti al giudice di merito, abbia adeguatamente giustificato il proprio convincimento sulla valutazione del quadro indiziario complessivo, escludendone l’efficacia indiziaria forte, ritenendo, in primo luogo, l’insussistenza dell’antieconomicità dell’attività edificatoria avendo rilevato una profittabilità dell’operazione immobiliare superiore al 10%, evidentemente tenendo conto della perizia asseverata redatta dall’Arch. C.V. alla quale, come menzionato alla pg. 11 del controricorso, è stata allegata copia di alcuni atti di compravendita di immobili situati nella medesima zona. In secondo luogo, argomentando sulla rilevanza del risultato economico finale e complessivo e non già su quello parziale, così come sull’irrilevanza, ai fini della determinazione del maggior valore, della provenienza dei finanziamenti. Infine, ha compiuto, motivandolo, un giudizio di valutazione sul valore delle cessioni immobiliari, arrivando, così, ad escludere la tesi di occultazione dei ricavi ipotizzata dall’Agenzia delle entrate, sia perché riguardanti immobili situati nell’estrema periferia di un piccolo comune, sia perché l’accensione dei mutui da parte degli acquirenti per importi superiori all’acquisto risultava in linea con le politiche bancarie del periodo.
4. Anche il secondo mezzo è inammissibile.
4.1. E’ principio pacifico che la definizione di “notorietà” desumibile dall’art. 115 c.p.c., comma 2, si imponga come criterio legale di giustificazione del giudizio di fatto, in quanto è destinata ad individuare le premesse di fatto che possono assumersi per vere anche in mancanza di prova (v. Sez. 1, 15/03/2016, n. 5089). Ciò comporta che, nel giudizio di cassazione, il riconoscimento o il disconoscimento di un fatto come notorio può essere censurato solo per vizio di motivazione dipendente dall’erronea determinazione dei criteri di notorietà, mentre sfugge al sindacato di legittimità l’erroneo giudizio sulla notorietà che non sia desumibile dalla motivazione, non dipendendo dall’utilizzazione di criteri impropri (v. Sez. 1. 10/09/2015 n. 17906).
4.2. Il secondo motivo di ricorso (così rubricato: “violazione dell’art. 115 c.p.c. e dei principi in materia di fatti notori, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”) sollecita, dunque, una valutazione delle prove raccolte in causa già esaminate dalla corte territoriale, censura che e’, tuttavia, apprezzabile nei limiti del vizio di motivazione di cui alli art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, in quanto tale, deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza e non già dal riesame degli atti (cfr., altresì, Sez. 1, 20/06/2006, n. 14267; Sez. 2, 30/11/2016, n. 24434).
4.3. Ciò posto, l’affermazione dell’impugnata sentenza, secondo cui costituisce fatto notorio che, negli anni 2004 e 2005, venivano offerti finanziamenti per l’acquisto di prime case per importi ben superiori al prezzo di acquisto in quanto gli istituti tenevano conto sia delle possibilità del ceto debitorio, sia della progressiva e continua rivalutazione del valore degli immobili, mentre non contraddice la precedente valutazione dell’ulteriore materiale indiziario risultante dagli atti, è poi sostanzialmente confermata nel ricorso, dove pur criticandosi l’applicazione della regola iuris non si espone alcun fatto contrario al “notorio” posto a base della decisione.
4.4. Ed invero, considerato che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v., ex plurimis, Sez. L., 27/04/2005, n. 8718; Sez. 6-5, 07/01/2014, n. 91; Sez. 5, 28/11/2014, n. 25332) mentre compete a questa Corte la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, è evidente dal complesso tenore delle motivazioni, che il giudice di appello, ha preso in esame l’intero quadro indiziario, arrivando ad una valutazione complessiva, adeguatamente motivata, circa l’infondatezza della pretesa erariale. Ciò comporta che le considerazioni, oggetto di censura, e vertenti sull’inesistenza del notorio, appaiono superflue nell’economia della decisione, sicché l’illogicità censurata non verterebbe in ogni caso sul punto decisivo, e non integrerebbe il vizio dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 4.5. D’altro canto, la copiosa giurisprudenza richiamata in ricorso, attiene alla regola iuris che vige per l’art. 115 c.p.c. (secondo cui il fatto notorio, che deroga al principio dispositivo e a quello del contraddittorio, è ammissibile solo se si tratti di fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile – ex pluribus, cfr. Sez. 3, 15/03/2018, n. 6387 – e non quale evento o situazione oggetto di mera cognizione del singolo giudice, posto che non sono utilizzabili le nozioni rientranti nella scienza personale del giudice – Sez. 2, 12/09/2003, n. 13426), e non al vizio di motivazione insufficiente, quale denunciato. In ogni caso, non può farsi a meno di considerare che la prassi bancaria indicata dai giudici di appello rappresenta effettivamente un fatto acquisito alla conoscenza della collettività che ha caratterizzato il primo decennio di questo secolo a causa della crisi finanziaria, già in essere negli anni in contestazione (2004 e 2005) e che ha raggiunto il suo apice dal 2008 in poi.
5. Va dato atto, infine, che questa Corte, con ordinanza n. 33944 del 25/06/2019, pronunciandosi nel ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della società Borgo Cattanei Immobiliare s.r.l. (R.G. n. 8624/12), ha rigettato il ricorso erariale, confermando la sentenza della CTR del Veneto n. 152/22/2011 di annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti società.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite del presente giudizio sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022