LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17653/2012 R.G. proposto da:
Techinint I.A. srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Raffaello Capunzo e Claudia lacopucci, con domicilio eletto in Roma, via Parigi n. 11;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 425/38/11, depositata il 17 ottobre 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Manzon Enrico.
RILEVATO
che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 183/26/2010 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso di Techinint I.A. srl contro l’avviso di accertamento IVA 2003.
La CTR osservava in particolare che il gravame agenziale era tempestivo, quindi ammissibile ed era altresì fondato, poiché, contrariamente a quanto affermato erroneamente dai primi giudici, l’atto impositivo impugnato era stato emesso nel rispetto del termine decadenziale del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, dovendosi a tal fine considerare come dies a quo quello della presentazione della dichiarazione IVA per l’anno d’imposta 2003, presentata nel 2004 e non quello diverso di insorgenza dei crediti IVA chiesti a rimborso con la dichiarazione medesima.
Avverso tale decisione ha processo ricorso per cassazione la società contribuente deducendo due motivi, poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO
che:
In via preliminare va rilevata a tardività della memoria depositata dalla società contribuente (deposito telematico 19 novembre 2021).
Con il secondo motivo, che va esaminato prioritariamente trattandosi di preliminare processuale astrattamente dirimente/assorbente, -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4- la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, e correlativa omessa pronuncia anche sull’art. 123, disp. att. c.p.c., poiché la CTR, essendo stata la notifica del gravame agenziale effettuata dal messo notificatore, non ne ha sancito l’inammissibilità a causa del mancato avviso alla segreteria della CTP che aveva emesso la sentenza appellata, dovendosi applicare analogicamente la previsione della evocata disposizione attuativa del codice di rito civile.
La censura è infondata.
Va ribadito che “In tema di contenzioso tributario, ai fini della regolare proposizione dell’appello, la notifica tramite il messo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 4, equivale integralmente a quella effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario, sicché, in caso di omesso deposito della copia dell’appello presso la segreteria della commissione tributaria provinciale, non opera la comminatoria d’inammissibilità di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, che si riferisce alle semplici raccomandate previste dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3, trovando applicazione la regola di cui all’art. 123, comma 1, disp. att. c.p.c., in virtù della quale l’ufficiale giudiziario, e quindi anche il messo notificatore, è onerato di dare immediato avviso scritto dell’avvenuta notificazione dell’appello al cancelliere del giudice che ha reso la sentenza impugnata” (Sez. 5, Sentenza n. 14273 del 13/07/2016, Rv. 640538 – 01; cfr. Sez. 1, Sentenza n. 23866 del 23/11/2015, Rv. 637846 01).
Da tale principio di diritto ne deriva, per un verso che l’obbligo di deposito dell’appello presso la segreteria della CTP che ha emesso la sentenza appellata (previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, nel testo applicabile temporalmente) non sussisteva nel caso di specie, appunto perché la notifica del gravame agenziale è avvenuta con l’impiego del messo notificatore, che per tale specifica funzione è pienamente equiparabile all’ufficiale giudiziario; per altro verso che l’adempimento di cui all’art. 123, disp. att. c.p.c. non è sanzionato con alcuna previsione di inammissibilità in sfavore della parte appellante, essendo il medesimo del tutto fuori delle possibilità di verifica attiva/sostitutiva della stessa.
Con il primo motivo -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 57, 19, poiché la CTR ha ritenuto la tempestività dell’avviso di accertamento impugnato.
La censura è infondata.
Risulta in fatto:
– che trattasi di credito IVA, asseritamente maturato nel 1997, successivamente “riportato a nuovò fino a quando, con la dichiarazione IVA 2004 per l’anno d’impasta 2003, se ne è chiesto il rimborso;
– che con avviso di accertamento notificato il 22 dicembre 2008 l’agenzia fiscale ha contestato la sussistenza di tale credito procedendo al “recupero” dello stesso ossia negandone il rimborso (in questo senso sostanziale va inteso atto impositivo de quo).
Trova allora piana applicazione il principio di diritto recentemente affermato da questa Corte, del tutto condivisibile ed al quale si intende senz’altro dare seguita, secondo il quale “In tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’IVA, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottastima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento” (Sez. U -, Sentenza n. 21766 del 29/07/2021, Rv. 662228 – 01).
Quindi, nel caso di specie, è necessario fare riferimento per valutare la tempestività del provvedimento impugnato non al momento di insorgenza del credito in oggetto (peraltro anch’esso contestata), quanto invece al momento in cui il credito medesimo è stato chiesto a rimborso, derivandone che il provvedimento stesso è dunque tempestivo, in quanto, secondo la previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 1, (nel testo applicabile temporalmente), notificato entro il quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione con la quale il rimborso è stato richiesto.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000 oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022