LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11782/2020 R.G., proposto da:
R.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Palumbo, con studio in Napoli, e dall’Avv. Antonio Esposito, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
– ricorrente –
contro
l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 18 dicembre 2019 n. 10978/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 19 ottobre 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
RILEVATO
che:
R.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 18 dicembre 2019 n. 10978/11/2018, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per l’IRPEF relativa all’anno d’imposta 2011, in dipendenza di un precedente accertamento induttivo nei confronti della “LUCKY CAR S.a.s. di R.A. & C.”, con sede in Casavatore (NA), di cui egli era socio per una quota in misura pari al 40%, ha rigettato l’appello proposto dal medesimo nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli il 23 ottobre 2017 n. 14797/19/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che il ricorso originario del contribuente fosse inammissibile per decorso del termine di proposizione, stante l’inestensibilità al socio della sospensione dei termini per effetto dell’istanza di accertamento con adesione da parte della società. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta redatta dal relatore designato è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
Con unico motivo, si denuncia violazione del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6, commi 2 e 3, in combinato disposto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 1, nonché falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 1, violazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost., difformità dai principi desumibili dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 4, comma 2, e art. 12, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che il socio non potesse beneficiare della sospensione del termine per l’impugnazione dell’avviso di accertamento nei suoi confronti per effetto della proposizione dell’istanza di accertamento con adesione da parte della società, stante la stretta dipendenza tra i presupposti impositivi.
Ritenuto che:
1. Il motivo è infondato.
1.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui l’accertamento tributario nei confronti della società sia sottoposto al vaglio giurisdizionale, unico scopo della procedura è accertare quale sia il tributo esattamente dovuto, e l’esito del giudizio può farsi valere nel diverso processo che sia stato promosso in relazione all’incremento del reddito del socio dipendente da quello accertato nei confronti della società. Nell’ipotesi dell’accertamento con adesione, diversamente, la finalità della procedura è raggiungere la definizione di una pretesa dell’amministrazione finanziaria che possa essere condivisa da parte del contribuente, evitandosi il ricorso all’impugnativa giurisdizionale, servendosi anche di strumenti equitativi che importano una riduzione degli importi che sarebbero altrimenti dovuti, ad esempio in materia di sanzioni, ed in tal caso l’ordinamento non ha previsto l’automatica estensione degli effetti dell’accertamento con adesione concordato dalla società in favore dei suoi soci, con riferimento agli accertamenti conseguenziali emessi nei loro confronti (Cass., Sez. 5, 25 settembre 2020, n. 20200).
Per cui, in tema di accertamento con adesione, non sussiste il litisconsorzio necessario con i soci, in relazione ai giudizi da essi instaurati avverso gli atti di accertamento loro notificati, in quanto assenti o non aderenti al procedimento amministrativo iniziato e definito dalla società di persone, posto che l’esigenza di unitarietà dell’accertamento viene meno con l’intervenuta definizione da parte della società in sede amministrativa che, ai sensi del D.P.R. 28 settembre 1973, n. 600, art. 41-bis, costituisce titolo per l’accertamento nei confronti delle persone fisiche, con la conseguenza che ciascun socio può opporre solo ragioni di impugnazione specifiche e, quindi, di esclusivo carattere personale (Cass., Sez. 5, 8 maggio 2019, n. 12137; Cass., Sez. 5, 22 settembre 2020, nn. 19774 e 19776; Cass., Sez. 5, 12 marzo 2021, n. 6999).
Pertanto, nulla avrebbe impedito al socio di domandare anch’egli l’accertamento con adesione a titolo personale, ed anche di proporre l’impugnazione in giudizio dell’accertamento conseguenziale emesso nei suoi confronti, ma egli non vi ha provveduto.
1.2 Nella specie, il giudice di appello ha deciso in stretta conformità al principio enunciato, ritenendo che la proposizione dell’istanza di accertamento con adesione da parte della società non comportasse la sospensione anche per il socio del termine per l’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, per cui il ricorso originario non poteva che considerarsi inammissibile per la proposizione oltre la scadenza del termine D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 21, comma 1.
2. Valutandosi l’infondatezza del motivo dedotto, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
3. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di Euro 2.300,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 19 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022