LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19569/2020 R.G., proposto da:
la “SOLARE CRESTA SANTA CHIARA S.r.l.”, con sede in ***** (VV), in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Eugenio della Valle, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura speciale a mezzo di rogito redatto dal Notaio D.P.d.S.J. (Spagna) il *****, libro indicador n. *****, n. *****, munito di apostilla il *****, in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
– ricorrente –
contro
l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
– controricorrente –
Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria il 7 novembre 2019 n. 4082/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16 novembre 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
RILEVATO
che:
La “SOLARE CRESTA SANTA CHIARA S.r.l.” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria il 7 novembre 2019 n. 4082/04/2019, che, in controversia su impugnazione di diniego di rimborso per l’IVA relativa all’anno 2011, in dipendenza dell’acquisto di beni ammortizzabili, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia il 26 settembre 2016 n. 1273/01/2016, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure sul presupposto dell’impossibilità di una corretta valutazione sulla strumentalità e sull’ammortizzabilità dei beni acquistati dalla contribuente. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO
che:
Con unico motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, per essere stato erroneamente rigettato dal giudice del gravame l’appello dell’amministrazione finanziaria con motivazione meramente apparente.
Ritenuto che:
1. Il motivo è infondato.
1.1 Invero, per costante insegnamento di questa Corte, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627).
1.2 Nella specie, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia insufficiente o incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’adeguata esposizione delle ragioni sottese al rigetto dell’appello della contribuente (al di là di ogni considerazione sul piano della loro fondatezza in diritto), con particolare riguardo alla verifica della natura strumentale ed ammortizzabile dei beni acquistati dalla contribuente, per i quali l’amministrazione finanziaria ha denegato il rimborso dell’IVA assolta.
Invero, secondo la sentenza impugnata, in base alle risultanze istruttorie, “non è possibile effettuare alcuna valutazione in ordine alla strumentalità dei predetti beni e ancora, alla natura, ammortizzabile o meno, degli stessi”. A suo dire, “ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. d, il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’IVA, all’atto della presentazione della dichiarazione, limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, ricavabile dalle disposizioni previste in materia di imposte sui redditi e precisamente dagli artt. 102 e 103 TUIR. I beni di cui è ammessa la deducibilità, secondo quanto previsto dall’art. 2424-bis c.c., comma 1, devono essere iscritti tra le immobilizzazioni ovvero all’attivo dello stato patrimoniale, del requisito della strumentalità in quanto destinati ad essere utilizzati nell’attività dell’impresa, ed infatti si ha diritto al rimborso, come previsto dal decreto IVA, art. 30, comma 3, lett. c, se i beni, oltre ad essere provvisti del requisito della strumentalità in quanto destinati ad essere utilizzati nell’attività dell’impresa, debbono rientrare in quanto ammortizzabili tra i beni costituenti immobilizzazioni materiali ed immateriali da identificarsi con beni di uso durevole la cui vita non si esaurisce nell’arco di un esercizio contabile e dei quali l’imprenditore possa disporre in quanto abbia acquistato la proprietà”.
Su tali premesse, quindi, “del tutto corretta appare la statuizione del giudice di I grado che, in base alla sola documentazione prodotta dalla parte, ovvero un ‘insieme di fatture dalle quali non è dato comprendere nemmeno quale sia il bene acquistato, mentre la parte avrebbe dovuto dimostrare anche la strumentalità e l’ammortizzabilità, ha ritenuto non provata la spettanza del credito chiesto a rimborso”.
Per cui, è evidente che la illustrata motivazione del decisum raggiunge la soglia del minimo costituzionale con riguardo alle ragioni del denegato rimborso.
1.3 Ne’ si può ravvisare, nel caso di specie, una motivazione per relationem che si risolva in un’acritica adesione alla decisione di prime cure, senza che emerga una effettiva valutazione dell’infondatezza dei motivi del gravame, posto che il giudice di appello – pur richiamando e condividendo le conclusioni del giudice di primo grado – ha fornito un’autonoma ed esaustiva motivazione sul fondamento della propria decisione.
1.4 Per il resto, poi, la doglianza si esaurisce nella inammissibile pretesa di una rivalutazione degli elementi istruttori (in particolare, della documentazione prodotta dalla contribuente) dei quali il giudice di appello aveva apprezzato l’insufficienza ai fini della prova della rimborsabilità del credito relativo all’IVA assolta sugli acquisti di taluni beni.
2. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi l’infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere rigettato.
3. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di Euro 7.800,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022