LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1780-2020 proposto da:
OLMET SRL, in persona del suo amministratore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RAFFAELE CAVERNI, 16, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIANSANTE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANNI IERARDI;
– ricorrente –
contro
A. TRIBUTI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE, 28, presso lo studio dell’avvocato PIETRO DI BENEDETTO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3366/16/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO, depositata il 31/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE CATALDI.
RILEVATO
che:
1. Olmet s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello della A. Tributi s.r.l., concessionaria del Comune di Tivoli per l’accertamento e la riscossione della TIA, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso della medesima Olmet s.r.l. contro l’ingiunzione di pagamento relativa alla TIA di cui all’anno d’imposta 2012.
La CTR ha riformato la sentenza di primo grado, dichiarando inammissibile il ricorso introduttivo della contribuente, atteso che non aveva per oggetto vizi propri dell’ingiunzione impugnata, ma pretesi vizi dell’atto impositivo presupposto (“avviso di accertamento (pagamento)”, notificato alla contribuente e da quest’ultima non impugnato.
La concessionaria si è costituita con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, “l’omesso esame del decisivo contenuto del ricorso proposto avanti alla Commissione tributaria provinciale, in realtà correlato a tutte le questioni poi dibattute nel giudizio di appello”.
2. Con il secondo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52 – difetto di legittimazione A. Tributi s.r.l. ad emettere l’ingiunzione”.
3. Con il terzo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19”.
4. Con il quarto motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507/9331/12/1992, n. 546, art. 62, comma 3”.
5. Deve preliminarmente rilevarsi che, come eccepito dalla controricorrente, tutti i motivi di ricorso proposti sono inammissibili, in quanto non contengono le censure specifiche e tassative di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, rispetto alla sentenza impugnata, dalla cui considerazione critica prescindono del tutto, ma si limitano a riproporre e riaffermare – attraverso la riproduzione sia integrale che di stralci delle difese della stessa parte nel merito- le ragioni dedotte nei gradi precedenti dalla ricorrente, dal contrasto con le quali deriverebbero “l’assoluta ingiustificatezza ed erroneità” della decisione d’appello (motivo I e IV), ” il vizio originario dell’apodittico e del tutto ingiustificato provvedimento, oggetto di controversia” (motivo II), la “necessità giuridica dell’annullamento della sentenza impugnata” (motivo III).
Invero, come questa Corte ha già chiarito, “La proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un “non motivo”. L’esercizio del diritto di impugnazione, infatti, può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15517 del 21/07/2020; conforme Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17125 del 03/08/2007).
Nel caso di specie la ricorrente, nel corpo dei diversi motivi, non ha elaborato criticamente il contenuto della sentenza d’appello, ma ha costruito le censure secondo un sillogismo in base al quale, premesse e ripetute le difese della contribuente nei gradi di merito, la decisione di secondo grado che non le ha accolte sarebbe, necessariamente e palesemente, errata. Prescindendo pertanto del tutto dall’analisi del decisum impugnato (e quindi anche dall’effettiva portata, esplicita od implicita, del medesimo e dalla ratio decidendi che lo sorregga) i motivi sono inammissibili, non potendo rimettersi l’individuazione del loro effettivo contenuto ad un inammissibile intervento selettivo e di ricostruzione del ricorso da parte di questa Corte, non conciliabile con la natura di critica vincolata e tassativa del giudizio di legittimità e con il principio dispositivo.
Ulteriore profilo di inammissibilità deriva poi dalla circostanza che i medesimi motivi, attraverso la riproposizione delle difese di cui ai gradi precedenti, attingono contemporaneamente, in maniera inestricabile, profili di diritto e di fatto, nonostante la CTR, dichiarando esclusivamente l’inammissibilità dell’impugnazione dell’intimazione per vizi non pertinenti quest’ultima (ma, in ipotesi, relativi all’atto presupposto), abbia ritenuto inammissibile il ricorso introduttivo della contribuente appellata. Tanto vale, in particolare, per il primo motivo, proposto contemporaneamente ed inscindibilmente, con conseguente contraddizione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, sia del n. 4, che del n. 5, peraltro configurando come oggetto della censura di omesso esame non un fatto in senso storico-naturalistico (come è invece necessario: cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019), ma tout court le questioni e le argomentazioni di cui all’intero ricorso introduttivo della contribuente.
Inoltre il secondo ed il quarto motivo sono inammissibili anche perché non attingono la ratio decidendi della sentenza impugnata che, ritenendo che la mancata impugnazione dell’atto presupposto precludesse l’impugnazione della conseguente ingiunzione di pagamento per vizi propri di quest’ultimo, ha considerato implicitamente, ma necessariamente, assorbite dall’inammissibilità del ricorso introduttivo le questioni sostanziali relative alla legittimazione della concessionaria ad accertare il tributo ed alla tariffa applicabile nel caso di specie.
Infatti nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23558 del 05/11/2014), fatto salvo il loro eventuale esame nel giudizio di rinvio che segua alla cassazione con rinvio per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente. Inoltre, non risulta adempiuto, con riferimento all’atto impositivo presupposto, l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass., 15/01/2019, n. 777; Cass., 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726).
Infatti, come questa Corte ha in più occasioni avuto modo di chiarire “detta disposizione, oltre a richiedere l’indicazione degli atti e dei documenti, nonché dei contratti o accordi collettivi, posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale tali fatti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (…).
In breve, il ricorrente per cassazione, nel fondare uno o più motivi di ricorso su determinati atti o documenti, deve porre la Corte di cassazione in condizione di individuare ciascun atto o documento, senza effettuare soverchie ricerche.” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1235 del 2019, in motivazione, anche con specifico riferimento, corredato di richiami giurisprudenziali, all’ipotesi del documento che sia stato prodotto, nei gradi di merito, da parte diversa dal ricorrente per cassazione).
Nel caso di specie, nel corpo del quarto motivo, non viene riprodotto l’atto presupposto e non viene indicata la collocazione processuale con riferimento alla produzione nei giudizi di merito (limitandosi la ricorrente a richiamare l’indice del ricorso con riferimento all’allegata comparsa di risposta d’appello trascritta nel corpo del motivo), sebbene, nell’impostazione delle difese di merito della stessa contribuente trascritte nel motivo, la conoscenza di tale atto sarebbe fondamentale per qualificarlo come “avviso d’accertamento” o “avviso di pagamento”.
Peraltro lo stesso quarto motivo è comunque ulteriormente inammissibile anche perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che dalla denominazione dell’atto determinativo della pretesa erariale in questione non fa discendere conseguenze rilevanti ai fini dell’ammissibilità del ricorso introduttivo avverso l’ingiunzione di pagamento, che anzi nega anche accedendo alla denominazione dell’atto presupposto come avviso di pagamento (” avviso – di accertamento o pagamento come nel caso in esame”), ma riconoscendone la sostanza di atto impositivo di accertamento o di liquidazione che, come tale, una volta notificato alla contribuente, avrebbe potuto e dovuto essere impugnato direttamente e tempestivamente per vizi propri.
Inoltre, ferma restando la rilevata inammissibilità, va sottolineato ad abundantiam che la soluzione adottata dalla CTR sul punto è anche conforme ai principi già espressi da questa Corte in fattispecie analoghe: ” Al riguardo, questa Corte ha precisato che, in tema di contenzioso tributario, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto; al riguardo, non assume alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o delle forme da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente (Cass. S.U. 16293/07). Consegue che il ricorso avverso la cartella esattoriale, emessa successivamente in relazione all’avviso non opposto, risulta essere inammissibile ai sensi del citato art. 19, almeno che non impugnata per vizi propri.
La correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile, per questi ultimi, un efficace esercizio del diritto di difesa (Cass. S.U. 16412/07).
La cartella esattoriale di pagamento, quando faccia seguito ad un avviso di accertamento divenuto definitivo, si esaurisce in un’intimazione di pagamento della somma dovuta in base all’avviso e non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo. Il riflesso processuale di tale impostazione logico- giuridica si può riassumere nel principio di sindacabilità limitata della cartella di pagamento avente il soprarichiamato requisito, l’essere cioè una automatica propagazione degli effetti accertativi di un atto impositivo diventato definitivo per omessa impugnazione. Principio in base al quale (con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3) la cartella esattoriale può essere oggetto di impugnazione solo per vizi propri e non per eccezioni attinenti l’atto di accertamento dal quale è scaturito il debito.
Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l’impugnazione della cartella, una volta che l’avviso sia divenuto definito perché non impugnato ovvero con sentenza irrevocabile, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione della cartella predetta.” (Cass. n. 2944 del 2018, in motivazione).
In conclusione, in ragione delle plurime inammissibilità, ciascuna delle quali sufficiente alla relativa declaratoria, riscontrabili nei motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022