LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12004-2020 proposto da:
C.R., C.A., P.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 132, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CIGLIANO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4561/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 23/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO CROLLA.
RITENUTO
che:
1. C.R., C.A. e P.F., soci della società 3C Computer Italia srl, impugnavano, con distinti ricorsi, gli avvisi di accertamento con il quale l’Ufficio, dopo aver rideterminato, per l’anno 2006, il maggior reddito della società in via induttiva, imputava gli utili non dichiarati, stante la ristretta base sociale, ai soci in proporzione alle rispettive quote.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva e la Commissione Tributaria Regionale del Lazio dichiarava inammissibile il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate; la Corte di Cassazione con ordinanza n. 29015/2017 annullava l’impugnata sentenza con rinvio; la CTR dichiarava l’estinzione del processo in quanto tardivamente riassunto.
3. Avverso la decisione i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla scorta di un unico motivo. L’Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso.
4. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di impugnazione i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, del D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; si sostiene che la CTR abbia errato nell’applicare per la riassunzione del processo anziché il termine di un anno quello di sei mesi.
2. Il motivo è infondato.
2.1 Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, così come modificato dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. b), stabilisce che “quando la Corte di cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili”.
2.2 La norma transitoria di cui al D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 12, comma 1, prevede espressamente che la disposizione che ha dimidiato il termine per la riassunzione da un anno a sei mesi entra in vigore a far data dal 1 gennaio 2016 e, quindi, trova applicazione immediata con riferimento a tutte le sentenza della Cassazione pubblicate a partire dal l gennaio 2016.
2.3 Non può, quindi, essere condiviso l’assunto di parte ricorrente secondo il quale la nuova disciplina dell’abbreviazione dei termini debba applicarsi solamente ai procedimenti introdotti a far data dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 256 del 2015; in mancanza di espressa previsione sul punto deve applicarsi il principio ” tempus regit actum”.
2.4 Nel caso di specie è accertato che la sentenza di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione è stata pubblicata in data 5.12.2017, sicché è divenuto operante il termine di sei mesi per la riassunzione della causa; l’atto di riassunzione risulta pacificamente notificato in data 3/1/2019; ben oltre il termine semestrale perentorio.
3. Nel consegue il rigetto del ricorso.
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 1.400,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge e spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022