LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12561/2020 R.G., proposto da:
l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
– ricorrente –
contro
C.L.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefania Martin, con studio in Padova, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Nicola Pagnotta, con studio in Roma, giusta procura in allegato al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
– controricorrente –
Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 26 settembre 2019 n. 763/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16 novembre 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 26 settembre 2019 n. 763/02/2019, che, in controversia su impugnazione di cartella di pagamento per IRPEF ed IVA relative agli anni 2005 e 2006, in relazione a redditi di impresa non dichiarati in dipendenza della qualità di socio accomandante nella “***** S.a.s. di D.G.R. C.”, con sede in ***** (PD), il cui fallimento era stato dichiarato con sentenza depositata dal Tribunale di Padova il 2 luglio 2013, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti di C.L.M. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Padova il 12 aprile 2016 n. 659/03/2016, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che il socio accomandante non fosse stato coinvolto in alcun modo nella gestione sociale e non avesse mai ricevuto la notifica degli atti impositivi emessi nei confronti della società in accomandita semplice. C.L.M. si è costituito con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta redatta dal relatore designato è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. Il controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2304,2313,2315 e 2320 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver escluso che il socio accomandante fosse esente da debito derivante dalla cartella di pagamento.
2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver deciso l’appello con motivazione assolutamente carente con riguardo alla contestata ingerenza del socio accomandante nella gestione della società in accomandita semplice e, per conseguenza, all’assunzione della responsabilità illimitata per le obbligazioni tributarie ex art. 2320 c.c..
Ritenuto Che:
1. Il primo motivo è fondato.
1.1 Al socio di una società di persone (responsabile solidalmente e illimitatamente dei debiti tributari della società, o, nel caso del socio accomandante di una società in accomandita semplice, come nella specie, limitatamente alla quota conferita, ai sensi dell’art. 2313 c.c.: Cass., Sez. 5, 8 maggio 2003, n. 7016) non è necessario notificare l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, essendo sufficiente la notifica della cartella di pagamento (o dell’avviso di mora), fermo restando, però, che il suo diritto di difesa è garantito dalla possibilità di contestare la pretesa originaria, impugnando insieme all’atto notificato anche quelli presupposti, la cui notificazione sia stata omessa o risulti irregolare (Cass., Sez. 5, 9 maggio 2007, n. 10584; Cass., Sez. 5, 1 ottobre 2014, n. 20704; Cass., Sez. 5, 5 dicembre 2014, n. 25765; Cass., Sez. 5, 22 dicembre 2014, n. 27189; Cass., Sez. 5, 17 aprile 2015, n. 7836; Cass., Sez. 5, 9 agosto 2016, n. 16713; Cass., Sez. 6-5, 16 gennaio 2018, n. 800; Cass., Sez. Un., 16 dicembre 2020, n. 28709).
1.2 Nella specie, il giudice di appello non si è uniformato al principio enunciato, avendo aprioristicamente invertito l’onere della prova a carico dell’amministrazione finanziaria, che non avrebbe dimostrato, rispetto al contribuente, l’assunzione della qualità di socio accomandante, né il coinvolgimento nella direzione e nella gestione dell’impresa sociale.
2. Il secondo motivo e’, invece, infondato.
2.1 Per costante giurisprudenza, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (tra le tante: (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627).
2.2 Nella specie, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia insufficiente o incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’adeguata esposizione delle ragioni sottese al rigetto dell’appello dell’amministrazione finanziaria (al di là di ogni considerazione sul piano della loro fondatezza in diritto), con particolare riguardo alla carente prova della compartecipazione del contribuente alla gestione della società in accomandita semplice. Per cui, è evidente che il decisum ha raggiunto la soglia del minimo costituzionale.
2.3 Ne’ si può sostenere – secondo la prospettazione difensiva del controricorrente – che la conferma in parte qua della sentenza impugnata basterebbe a giustificare, assurgendo ad autonoma ratio decidendi, l’annullamento della cartella di pagamento.
Difatti, la censura investe (sotto il profilo della motivazione apparente) il mancato riconoscimento della responsabilità illimitata del socio accomandante per l’asserita violazione del divieto di immistione negli affari sociali ex art. 2320 c.c., che viene a configurare un quid pluris rispetto alla fisiologica assunzione della responsabilità limitata al conferimento ex art. 2313 c.c.. Per cui, la conservazione della cartella di pagamento trova fondamento nella mera qualità di socio accomandante del contribuente, a prescindere dall’estensione della sua responsabilità per i debiti sociali.
3. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del primo motivo e l’infondatezza del secondo motivo, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e rigetta il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022
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