LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6431-2020 proposto da:
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato ELISABETA NARDONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE LA SPINA;
– ricorrente –
contro
A.SE SPOLETO SPA – AZIENDA SERVIZI SPOLETO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLA PIRAMIDE CESTIA, 1/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA GIOVANELLI, rappresentato e difeso dagli avvocati DANTE DURANTI, LUCIANO BROZZETTI;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 22/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
che:
11 con ordinanza n. 21622 del 2019, questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da G.G. nei confronti di A.SE. Spoleto S.p.A. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia n. 109/2016 che, respingendo preliminarmente l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositivo e della motivazione, aveva confermato la pronuncia di prime cure che aveva rigettato la domanda del lavoratore, volta all’accertamento “di una dequalificazione professionale e di condotte mobbizzanti”;
2. avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per revocazione il G., cui ha resistito l’Azienda Servizi Spoleto – A.SE. Srl (già S.p.A.);
3.. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;
entrambe le parti hanno comunicato memorie.
CONSIDERATO
che:
1. l’istante chiede la revocazione dell’ordinanza impugnata “per errore di fatto ex art. 391 bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4)”, avuto riguardo alla declaratoria di inammissibilità del primo motivo dell’originario ricorso per cassazione, mediante il quale si faceva valere l’erroneità della sentenza della Corte territoriale laddove aveva respinto “l’eccezione di nullità della sentenza del Tribunale di Spoleto, proposta ex art. 429 c.p.c., per omessa lettura, all’esito della discussione all’udienza del 26/3/2015, del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione se contestuali”;
si lamenta che la Corte di Cassazione non avrebbe tenuto conto di alcuno dei fatti processuali dedotti dal ricorrente nel primo motivo di ricorso, “imboccando una strada sua propria avulsa da quei fatti”; si sostiene che la Corte avrebbe esordito affermando che si sarebbe trattato di “censura rivolta avverso la sentenza di primo grado, quando, invece, la censura era rivolta verso la sentenza della Corte di appello di Perugia”; si eccepisce che l’ordinanza avrebbe affermato che “la sentenza è resa pubblica mediante il deposito risultante dall’annotazione apposta dal cancelliere in calce”, “cosa assolutamente estranea al motivo di ricorso”; che il termine annuale di decadenza per l’impugnazione decorre dalla data del deposito in cancelleria e non dalla comunicazione dell’avvenuto deposito da parte della cancelleria, “cosa anche questa del tutto estranea al motivo”; avrebbe ritenuto, infine, “una mancanza di allegazione, quando, invece, era stato prodotto in copia autentica l’intero fascicolo d’ufficio”; si conclude pertanto per l’accoglimento della revocazione e successivamente, in via rescissoria, per l’accoglimento del primo motivo del ricorso proposto dal G., con cassazione della sentenza della Corte di Appello di Perugia;
2. il Collegio giudica il ricorso per revocazione inammissibile;
2.1. opportuno premettere i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’ipotesi di revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4;
invero tale ipotesi sussiste solo se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita;
pacificamente per questa Corte tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 561 del 2000; Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413 del 1016);
pertanto, in generale, l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (tra molte v. Cass. n. 14656 del 2017);
in particolare, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 22569 del 2013; Cass. n. 4605 del 2013; Cass. n. 16003 del 2011) fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga l’interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità; inoltre non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale -quand’anche risulti errata – di revocazione (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013);
2.2. tali principi, costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, vengono del tutto trascurati o male intesi dalla parte ricorrente che con essi non si confronta adeguatamente, per cui l’invocata revocazione non merita accoglimento;
innanzitutto neanche si individua un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa che abbia le caratteristiche dell’errore revocatorio secondo la giurisprudenza di questa Corte, ovvero non si identifica il fatto supposto su cui la decisione è fondata e la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure il fatto inesistente la cui verità e’, invece, positivamente stabilita;
piuttosto si muovono una serie di critiche all’ordinanza impugnata che, secondo l’assunto dell’istante, si sarebbe pronunciata su fatti processuali diversi da quelli evidenziati nel primo motivo dell’originario ricorso per cassazione, ma tanto si traduce in una doglianza circa l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio che sostanzia un’attività valutativa, che non ha nulla a che vedere, secondo la giurisprudenza richiamata, con l’errore revocatorio; in realtà, come risulta dall’ordinanza impugnata, il Collegio che l’ha pronunciata ha sicuramente percepito che il primo motivo in considerazione denunciava la pretesa erroneità della sentenza della Corte distrettuale che aveva respinto “l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per asserita omessa lettura del dispositivo e della sentenza”, mentre tale circostanza, secondo l’assunto di parte ricorrente, emergeva da documenti, ma questa Corte ha tuttavia ritenuto che il motivo, per come formulato, presentasse plurimi profili di inammissibilità, esercitando una serie di valutazioni che certamente non possono essere sindacati in questa sede, atteso che il ricorso per revocazione non costituisce strumento d’impugnazione o revisione delle valutazioni giuridiche della Corte di legittimità (ancora, da ultimo, Cass. n. 8939 del 2021);
3. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte soccombente’ al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022