LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18819-2020 proposto da:
V.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. POLIZIANO, 27, presso lo studio dell’avvocato GIAN PAOLO TOMEI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNO BASSOTTI;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4066/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello proposto da V.F. nei confronti di Poste Italiane Spa avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni inflitta alla lavoratrice con provvedimento del *****;
2. per quanto qui interessa, la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla V. anche in primo grado ed ha ritenuto sussistente l’addebito contestato alla lavoratrice ed adeguata e proporzionata la sanzione conservativa inflitta, anche alla stregua della contrattazione collettiva applicabile;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con 2 motivi; ha resistito con controricorso la società;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;
parte ricorrente ha comunicato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. il primo motivo denuncia la violazione delle norme sulla competenza, in particolare dell’art. 413 c.p.c., per non avere la Corte territoriale applicato i “commi 5 e 6” di detta disposizione che prevedono “il foro esclusivo e non concorrente per i dipendenti pubblici”;
il motivo è privo di fondamento;
a mente dell’art. 413 c.p.c., comma 5, è competente per territorio esclusivamente il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto nei soli casi di “controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”; nella specie il rapporto di lavoro dei dipendenti di Poste Italiane Spa è stato da tempo privatizzato, sicché la V. pacificamente non è un “dipendente pubblico”, e la società per azioni non può certamente considerarsi una “pubblica amministrazione”, ai sensi della disposizione processuale richiamata, per il solo fatto di essere partecipata dallo Stato;
2. con il secondo motivo si denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1204 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Correttezza e diligenza nell’adempimento in concreto della prestazione lavorativa da parte della ricorrente. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; si contesta diffusamente il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta legittimità della sanzione conservativa inflitta e si lamenta che la stessa avrebbe “disatteso prove documentali e/o recepito senza apprezzamento critico elementi di prova soggetti a valutazione”;
la censura è inammissibile perché propone una rivalutazione di merito sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, per di più in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ex art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5 (cfr. Cass. n. 23021 del 2014; Cass. n. 30646 del 2019);
ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
3. conclusivamente il ricorso va respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 2.850,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022
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