Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.932 del 13/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLÈ Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 898-2016 proposto da:

A.C.M., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO NASO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5628/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/07/2015 R.G.N. 5743/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

RITENUTO

che:

la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città di rigetto della domanda dispiegata dai lavoratori meglio indicati in epigrafe, finalizzata alla rivendicazione del loro diritto, quali dipendenti del Ministero degli Affari Esteri (di seguito, MAE), a percepire, durante i periodi di servizio all’estero svolti da ciascuno di essi, l’indennità integrativa speciale (di seguito IIS) la quale, per tali periodi, era stata invece decurtata dal trattamento economico corrisposto;

i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, avverso tale pronuncia, resistito da controricorso del MAE ed entrambe le parti hanno infine depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

il primo motivo di ricorso, richiamando l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 138 del 2011, art. 1-bis, convertito nella L. n. 148 del 2011, e del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 170, rimarcando come l’art. 1-bis cit., costituisse la modifica di una legge – il D.P.R. n. 18 del 1967, art. 170, che disciplinava solo l’indennità di servizio estero e non anche gli stipendi di cui l’indennità integrativa speciale era da considerare parte integrante e sottolineando appunto come ITIS avesse assunto natura pienamente retributiva, anche nel contesto della contrattazione collettiva, sicché essa restava salvaguardata dall’art. 170 cit., il cui divieto riguardava il cumulo delle sole indennità non retributive correlate al servizio estero, dovendosi pertanto escludere efficacia retroattiva alla norma di pretesa interpretazione autentica di cui all’art. 1-bis, cit.;

in prosieguo il ricorso sostiene che, ove la norma fosse da intendere nel senso ritenuto dalla Corte territoriale, ovverosia come reale interpretazione autentica, essa sarebbe stata da ritenere illegittima, sia per contrasto diretto con gli artt. 101,102 e 104 Cost., sia per contrasto con l’art. 117 Cost., mediato dalle regole della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo;

questa S.C. ha già deciso ricorso analogo al presente, anche quanto a formulazione dei motivi, con pronuncia (Cass. 5 maggio 2021, n. 11759, sulla scia già di Cass. 17 dicembre 2019, n. 33395) che è stata massimata nel senso che “il trattamento economico spettante al personale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per il periodo di servizio all’estero non include l’indennità integrativa speciale, secondo quanto disposto dal D.L. n. 138 del 2011, art. 1 bis, conv. con modif. dalla L. n. 148 del 2011, norma di interpretazione autentica del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 170, come tale priva di carattere innovativo”;

in tale pronuncia, qui condivisa e cui si fa rinvio anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, si è evidenziato come l’interpretazione dei contratti collettivi di comparto, se condotta tenendo conto delle disposizioni contrattuali succedutesi nel tempo e del quadro normativo di riferimento, tra cui la L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 37, e L. n. 324 del 1959, art. 1, comma 2, lett. d), già conduceva a ritenere infondata la pretesa degli attuali ricorrenti e ad escludere la asserita inoperatività del c.c.n.l. 2002-2003, art. 20, comma 3, a decorrere dal 10 gennaio 2004;

le suddette considerazioni hanno portato poi ad escludere, nel ricordato precedente, la possibilità di mettere in dubbio il profilo della ragionevolezza della disposizione interpretativa di cui si discute (v. Corte Cost. n. 234 del 2007; n. 274 del 2006; n. 135 del 2006; n. 409 del 2005; n. 291 del 2003), ovvero quello della lesione dell’affidamento dei destinatari, considerato che già il testo interpretato rendeva plausibile una lettura diversa da quella che i destinatari stessi avevano ritenuto di privilegiare (v. Corte Cost. n. 229 del 1999; si veda anche sentenza n. 26 del 2003);

se ne è così affermata la reale natura interpretativa della norma, che ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà di giudicare, poiché si è limitata a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l’esercizio di tale potestà deve attenersi (v. ex plurimis, Corte Cost. n. 274 del 2006; n. 282 del 2005; n. 15 del 2005; n. 240 del 2007), definendo e delimitando la fattispecie normativa proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico (v. Corte Cost. n. 209 del 2010), così da non vulnerare le attribuzioni del potere giudiziario e non incorrere in alcuna violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone al legislatore di conformarsi ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali e così a quello inerente al principio di preminenza del diritto ed a quello del processo equo, consacrati nell’art. 6 CEDU, mentre, anche in considerazione delle interpretazioni rese plausibili dalla norma interpretata, difetta ogni elemento per potere desumere che sia stata diretta ad incidere sui giudizi in corso, per determinarne gli esiti (Corte Cost. n. 15 del 1995; n. 397 del 1994);

pertanto – si è concluso nel precedente omologo sopra richiamato e qui condiviso – che, essendosi la norma limitata ad enucleare una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo, alla quale si sarebbe comunque pervenuti per le ragioni evidenziate (…), non può dubitarsi della finalità dell’intervento normativo di rimuovere una situazione di oggettiva incertezza, contribuendo così a realizzare principi d’indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale, quali sono la certezza del diritto e l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, il che evidentemente esclude qualsivoglia profilo di illegittimità costituzionale;

alla reiezione del ricorso, rispetto al quale vi stata insistenza, con le difese finali, pur dopo gli arresti in senso contrario sopra citati, segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del grado, determinate anche in ragione del numero delle parti coinvolte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022

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