Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.957 del 13/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16520-2016 proposto da:

V.C., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati PASQUALE PELLEGRINO;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati EMILIA FAVATA, LUCIANA ROMEO che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 439/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/04/2016 R.G.N. 1161/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA’;

visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 439 del 2016, accogliendo l’impugnazione proposta dall’INAIL e riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da V.C. e tesa ad ottenere l’accertamento del danno biologico subito dallo stesso, mentre era alla guida di un motociclo nell’espletamento delle mansioni di portalettere, ed il conseguimento del relativo indennizzo nella misura del 12%, anche per inabilità temporanea assoluta. Ad avviso della Corte d’appello, dalla documentazione sanitaria e dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio nominato in appello, ivi compreso il referto del pronto soccorso con il quale era stata formulata una prognosi di guarigione di 15 giorni, era emerso che non vi era stato alcun danno permanente alla spalla destra; in particolare, l’assicurato aveva subito solo una patologia infiammatoria e non era residuato alcun danno permanente neanche al rachide cervicale. Pertanto, l’unica menomazione indennizzabile era quella al ginocchio sinistro, pari al 4% secondo le tabelle di cui al D.M. 12 luglio 2000, mentre la inabilità temporanea era già stata interamente riconosciuta ed indennizzata dall’Istituto.

Avverso tale sentenza ricorre V.C. sulla base di un motivo. L’INAIL resiste con controricorso.

Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, conv. in L. n. 176 del 2020, chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)) e che si ravvisa nel fatto che la sentenza non avrebbe spiegato le ragioni per le quali aveva concordato con le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio così attribuendo un danno al di sotto della soglia indennizzabile. Il consulente aveva sostenuto la mancanza di documentazione sanitaria comprovante la lesione alla spalla destra mentre tale documentazione era presente già nel fascicolo di primo grado ed era costituita dal referto del 3 gennaio 2006 di pronto soccorso dell’Ospedale San Paolo di Milano e dalla risonanza magnetica del *****. Inoltre, rileva il ricorrente, le conclusioni rese circa la riconducibilità a patologia infiammatoria comune della menomazione comparsa successivamente all’infortunio, erano prive di fondamento e non avevano tenuto conto delle considerazioni e contestazioni mosse dal medesimo ricorrente con le osservazioni del 19 maggio 2014, inviate al c.t.u..

Il motivo è inammissibile.

Va osservato che attraverso l’introduzione del vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il ricorrente è tenuto ad identificare uno specifico errore logico della sentenza e precisamente l’errore determinato dall’aver ricostruito ed apprezzato i fatti rilevanti per la formulazione del giudizio senza considerare tra i medesimi uno o più, sia primario che secondario, che siano decisivi per la formulazione complessiva del giudizio stesso (vd. Cass. 13/10/2020, n. 22056; Cassazione civile, sez. III, 26/07/2017, n. 18391; Cassazione civile, sez. I, 21/11/2016, n. 23637).

Dunque, il ricorrente per cassazione non può limitarsi a dolersi del vizio motivazionale per omesso esame di fatto decisivo per il solo fatto che il giudice del merito abbia recepito aderendo in toto alle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d’ufficio, senza affrontare e confutare le specifiche critiche rivolte all’elaborato peritale dal difensore o dal consulente tecnico di parte, ma deve individuare ed evidenziare uno o più precisi fatti storici, sottoposti alla dialettica del contraddittorio dalla difesa, legale o tecnica, di natura decisiva, tale cioè da ribaltare o modificare significativamente l’esito della lite, che il giudice del merito abbia omesso di considerare.

Pertanto, non è sufficiente la formulazione di una critica, in sé e per sé, alla consulenza tecnica recepita dal giudice che rileva ai fini della deduzione di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e del novellato mezzo di ricorso per vizio motivazionale, ma il fatto storico, decisivo ut supra, che sia stato oggetto di discussione e sia stato fatto valere dalla parte interessata attraverso le critiche rivolte all’elaborato del perito.

Resta, dunque, estranea all’ambito coperto dal vizio in questione la censura concernente deficienze argomentative della decisione in punto di recepimento delle conclusioni della CTU, esigendo, piuttosto, l’indicazione delle circostanze secondo le quali quel recepimento, sulla base delle modalità con cui si è svolto, si sia tradotto nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti.

Tali caratteri non si rinvengono nell’esposizione della censura dedotta dal ricorrente che confonde il fatto storico decisivo, apprezzabile come dato certo acquisito al processo ed idoneo a sovvertire l’esito del giudizio, richiesto dall’art. 360 cit., comma 1, n. 5), con la valutazione della documentazione sanitaria utilizzata dal consulente e fatta propria dal giudice.

Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi oltre ed Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022

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