Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.966 del 13/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

EDISON S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. VESALIO 22, presso lo studio dell’avvocato NATALINO IRTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati EUGENIO BRUTI LIBERATI, ed ALDO TRAVI;

– ricorrente –

contro

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANO BOSIN, rappresentata e difesa dagli avvocati ALESSANDRO GIANNELLI, e MARIA LUCIA TAMBORINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 72/2020 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 15/06/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/12/2021 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI, il quale chiede che la Corte rigetti il ricorso.

RILEVATO

che:

p. 1.1 Edison spa propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, non notificata, con la quale il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in sede di cognizione diretta R.D. n. 1775 del 1933, ex art. 143, ha respinto il ricorso da essa proposto per l’annullamento della Delib. con la quale la Regione Lombardia – Direzione Generale Ambiente ed Energia le ha negato la rimodulazione della scadenza della concessione di grande derivazione per l’impianto idroelettrico di *****, dalla società richiesta D.L. n. 145 del 2013, ex art. 1, comma 3, lett. b), conv. c.m. in L. n. 9 del 2014, ed D.M. MISE-Ambiente 6 novembre 2014, ex art. 4.

Si evince dagli atti di causa che:

la società ha gestito l’impianto in oggetto, classificato nello specifico registro degli Impianti Alimentati con Fonte Rinnovabile (IAFR) tenuto dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), in forza di concessione di grande derivazione (T.U. n. 1775 del 1933) con scadenza prevista nel maggio 2019;

a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina delle incentivazioni degli IAFR diversi dal fotovoltaico di cui al citato D.L. n. 145 del 2013, conv. c.m. in L. n. 9 del 2014 (nell’ambito delle manovre di rilancio dell’economia nazionale e di contenimento dei costi incidenti sulle tariffe elettriche) la società esercitava tramite il GSE l’opzione di rimodulazione (lett. b) cit.), comportante la riduzione dell’incentivo a fronte (sosteneva) del prolungamento per sette anni del periodo residuo di concessione, come anche precisato nel D.M. 6 novembre 2014 cit., secondo cui le Regioni e gli enti locali avrebbero dovuto adeguare alla durata dell’incentivo “come rimodulata ai sensi del presente decreto la validità temporale dei permessi rilasciati, comunque denominati, per la costruzione e l’esercizio degli impianti”;

con la nota di cui veniva chiesto l’annullamento, la Regione Lombardia negava la rimodulazione con prosecuzione del rapporto di concessione, osservando che “con la dizione permesso si ricade nell’ambito dei provvedimenti autorizzativi, cioè di quei provvedimenti amministrativi discrezionali che condizionano l’esercizio di diritti che preesistono in capo al destinatario e non invece di provvedimenti costitutivi che hanno potere di conferire ex novo posizioni giuridiche attive (diritti) in capo al concessionario, quali appunto le concessioni di derivazione di cui al T.U. n. 1775 del 1933. Nulla cambia pertanto in merito alla durata della concessione di derivazione posta alla base dell’esistenza dell’impianto idroelettrico che rimane quindi quella stabilita dagli atti dell’amministrazione concedente”.

p. 1.2 Con la sentenza impugnata il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto il ricorso, osservando che:

la disciplina delle incentivazioni di cui al D.L. n. 145 del 2013, art. 1, comma 3, lett. b), conv. c.m. in L. n. 9 del 2014, non riguarda la specifica materia delle concessioni di grande derivazione d’acqua a scopo idroelettrico quanto, più in generale, l’ambito della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e degli incentivi;

la previsione risultante del D.L. n. 145 del 2013, citata lett. b) e del citato D.M. 6 novembre 2014, art. 4, non determina un prolungamento, ovvero la proroga automatica e di “pieno diritto” della durata delle concessioni idroelettriche di grande derivazione già in essere, quanto soltanto la prosecuzione temporanea (per ragioni tecniche di continuità nell’approvvigionamento di energia elettrica) nell’esercizio degli impianti, con obbligo di versare un canone aggiuntivo secondo quanto stabilito dalla L.R. Lombardia n. 26 del 2003, art. 53 bis;

per quanto la nuova disciplina delle incentivazioni (c.d. “spalma-incentivi”) utilizzi una locuzione assai ampia (“permessi rilasciati, comunque denominati (…)”, la rimodulazione con prolungamento temporale non si applica agli atti di concessione, anche perché la stessa disciplina si riferisce poi ai permessi attinenti alla “costruzione ed esercizio degli impianti”, vale a dire ad atti specifici e diversi dalle concessioni di grande derivazione (D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12 e D.Lgs. n. 28 del 2011);

l’interpretazione restrittiva si imporrebbe anche sul piano costituzionale (sent. C. Cost. 205 del 2011) ed Eurounitario (con conseguente non necessità di disapplicazione diretta della norma interna in contrasto con quest’ultimo diritto), quanto a necessaria temporaneità delle concessioni energetiche ed apertura alla concorrenza tramite procedure di selezione pubbliche e trasparenti, obiettivi incompatibili con l’affermato prolungamento pieno jure delle concessioni di grande derivazione scadute o in scadenza.

1.3 Con l’unico motivo di ricorso la società deduce – ex art. 111 Cost., comma 7, ed art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3 – violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui al D.L. n. 145 del 2013, art. 1, comma 3, lett. b), conv. c.m. in L. n. 9 del 2014 e D.M. 6 novembre 2014, art. 4.

L’interpretazione restrittiva adottata in sentenza sarebbe affetta da error in judicando, non avendo il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche considerato che:

la disciplina c.d. “spalma-incentivi” si riferisce a tutti gli impianti alimentati da fonti rinnovabili ammessi alla fruizione di incentivi, quali appunto quelli idroelettrici;

l’ampiezza letterale della formula normativa (“permessi…comunque denominati”) è tale da riferirsi anche alle concessioni di grande derivazione, costituenti l’unico titolo amministrativo previsto dalla legge per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto idroelettrico (T.U. n. 1775 del 1933, art. 2, lett. c) e artt. 6 e segg.);

ad evitare che si crei sfasatura tra durata dell’incentivo e durata della concessione, il disposto normativo va interpretato nel senso che le Regioni sono tenute, a fronte di istanza di rimodulazione, a prorogare il termine di scadenza delle concessioni, così da permettere la piena fruizione del regime di incentivazione in misura ridotta;

l’accettazione della riduzione degli incentivi (a fronte della diversa opzione, di cui del D.L. n. 145 del 2013, medesimo art. 1, comma 3, lett. a), di mantenimento dei maggiori incentivi esistenti fino a scadenza naturale, ma con esclusione di ogni ulteriore incentivo nel decennio successivo a quest’ultima) trova infatti corrispondenza nel prolungamento per sette anni delle concessioni, e ciò non in forza dell’emanazione di nuovi atti costitutivi del diritto, ma sulla base di meri atti di adeguamento e riequilibrio delle concessioni esistenti, secondo quanto previsto anche per altri settori (quali quello del contratti pubblici), apparendo altrimenti “assurdo che gli incentivi siano percepiti da soggetti decaduti dalla titolarità delle concessioni e ridotti a semplici gestori “tecnici” degli impianti” (ric. pag. 10), come affermato dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche;

– la soluzione sostenuta dalla società non contravviene al diritto Eurounitario, anche perché il prolungamento non comporta il venir meno del carattere pur sempre temporaneo delle concessioni idroelettriche.

p. 1.4 La Regione Lombardia ha depositato controricorso, osservando che:

le concessioni di grande derivazione esulano dalla, pur ampia, locuzione dei “permessi”, trattandosi di atti amministrativi costitutivi del diritto di utilizzare la risorsa pubblica tramite un impianto di produzione energetica, mentre i “permessi” (come le autorizzazioni, le abilitazioni, le licenze e simili) si limitano a rimuovere un divieto o un limite ad un’attività lecita;

il D.l. n. 145 del 2013 ed il D.M. 6 novembre 2014, si riferiscono ai permessi di “costruzione ed esercizio” degli impianti, non riguardando gli atti di utilizzo della risorsa idrica pubblica;

in base alla Dir. 96/92/CEE (art. 3, comma 1) ogni ulteriore procrastinamento delle concessioni di grande derivazione concreterebbe violazione del libero mercato dell’energia, suscettibile di procedura di infrazione.

p. 1.5 Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, rilevando:

la piana riferibilità del regime opzionale D.L. n. 145 del 2013 cit., ex art. 1, comma 3, lett. b), al periodo di incentivazione, e non a quello di durata della concessione;

la piana riferibilità del D.M. 6 novembre 2014 cit., art. 4, ai permessi di costruzione o esercizio degli impianti, e non alle concessioni di grande derivazione delle acque a scopo idroelettrico;

la necessità, in ogni caso, di un’interpretazione sistematica delle norme di riferimento, alla luce dei principi costituzionali (sent. C. Cost. 205/11 cit.) ed Eurounitari di temporaneità e concorrenzialità nello sfruttamento economico delle risorse energetiche;

la funzionalità della L.R. Lombardia n. 26 del 2003 cit., art. 53 bis (norma i cui dubbi di legittimità costituzionale sono già stati ritenuti manifestamente infondati, in analoghe fattispecie, da Cass. SSUU n. 15990/20 e 8036/18) ad apprestare un regime temporaneo e tecnico di sfruttamento nel periodo intercorrente tra la cessazione della concessione e l’espletamento delle gare di riassegnazione.

Edison spa e Regione Lombardia hanno depositato memoria.

p. 2. Il motivo di ricorso è infondato perché il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche non ha violato la normativa indicata.

La specifica previsione di riferimento è costituita dal D.L. n. 145 del 2013, cit. art. 1, conv. c.m. in L. n. 9 del 2014, avente ad oggetto, tra il resto, gli interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia” per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas.

Nell’ambito delle misure legislative di riduzione dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, questa norma stabilisce, al comma 3, che: “Al fine di contenere l’onere annuo sui prezzi e sulle tariffe elettriche degli incentivi alle energie rinnovabili e massimizzare l’apporto produttivo nel medio-lungo termine dagli esistenti impianti, i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili titolari di impianti che beneficiano di incentivi sotto la forma di certificati verdi, tariffe omnicomprensive ovvero tariffe premio possono, per i medesimi impianti, in misura alternativa:

a) continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo. In tal caso, per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, incluso ritiro dedicato e scambio sul posto, a carico dei prezzi o delle tariffe dell’energia elettrica;

b) optare per una rimodulazione dell’incentivo spettante, volta a valorizzare l’intera vita utile dell’impianto. In tal caso, a decorrere dal primo giorno del mese successivo al termine di cui al comma 5, il produttore accede a un incentivo ridotto di una percentuale specifica per ciascuna tipologia di impianto, definita con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con parere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, da applicarsi per un periodo rinnovato di incentivazione pari al periodo residuo dell’incentivazione spettante alla medesima data incrementato di 7 anni (…)”.

L’opzione che viene qui in considerazione (lett. b)) pone in correlazione la decurtazione del regime incentivante in atto (in misura da stabilirsi con D.M. MISE-Ambiente anche in ragione del tipo di impianto) con la protrazione del periodo residuo di incentivazione incrementato di sette anni.

Anche l’opzione alternativa di cui alla lett. a) – che conviene qui considerare per ragioni di coordinamento sistematico nell’applicazione del riformulato assetto globale degli incentivi – pone una nitida correlazione tra il mantenimento della piena incentivazione in essere e la cessazione di ogni ulteriore diritto di incentivazione per dieci anni a decorrere dallo spirare del periodo di diritto al regime incentivante in corso.

Se ciò non bastasse, anche del medesimo art. 1, comma 4, in esame ricollega vari parametri attuativi della rimodulazione (con riguardo proprio all’opzione b) qui dedotta) al residuo periodo di fruizione del diritto al regime incentivante: “La riduzione di cui al comma 3, lett. b), viene differenziata in ragione del residuo periodo di incentivazione, del tipo di fonte rinnovabile e dell’istituto incentivante, ed è determinata tenendo conto dei costi indotti dall’operazione di rimodulazione degli incentivi, incluso un premio adeguatamente maggiorato per gli impianti per i quali non sono previsti, per il periodo successivo a quello di diritto al regime incentivante, incentivi diversi dallo scambio sul posto e dal ritiro dedicato per interventi realizzati sullo stesso sito. Il decreto di cui al comma 3, lett. b), deve prevedere il periodo residuo di incentivazione, entro il quale non si applica la penalizzazione di cui al comma 3, lett. a).

Allo scopo di salvaguardare gli investimenti in corso, tale periodo residuo non può comunque scadere prima del 31 dicembre 2014 e può essere differenziato per ciascuna fonte, per tenere conto della diversa complessità degli interventi medesimi”.

La lettera della legge è dunque del tutto chiara ed univoca nel riferirsi ripetutamente, esclusivamente ed a vario fine – al “periodo residuo di incentivazione” ovvero al “periodo residuo di diritto al regime incentivante”.

Per quanto qui più rileva, anche la dilazione posta a contropartita dell’accettazione del regime diminuito di incentivi (opzione b)) è espressamente correlata all’incremento del “periodo residuo dell’incentivazione spettante alla medesima data”.

Mai la legge fa menzione (né al fine del prolungamento né ad altro scopo) del periodo residuo di concessione di derivazione idrica ovvero della restante durata assentita di sfruttamento dell’impianto. Non vi è dubbio – e non potrebbe essere diversamente – che la rimodulazione si riferisca ai “produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili titolari di impianti che beneficiano di incentivi (…)” (comma 3), ma ciò non toglie che l’oggetto testuale e specifico di riferimento ed intervento sia costituito dagli incentivi economici a scopo tariffario e non dall’esercizio delle derivazioni ovvero dalla gestione degli impianti in concessione. Il che appare del tutto in linea – nell’armonizzare la lettera con la ratio della legge – con il fatto che quella in esame è appunto disciplina modificativa dei regimi incentivanti in essere in funzione del contenimento dei costi incidenti sulle tariffe elettriche, aspetto diverso dalla durata delle concessioni.

Durata nel cui ambito possono incidentalmente succedersi ed alternarsi diversi periodi e diversi regimi di incentivazione.

Non vale obiettare, con Edison, che il riferimento della dilazione alla concessione sarebbe in certo senso necessitata dalla esigenza pratica di far coincidere temporalmente la fruizione del regime di incentivazione optato con l’esercizio dell’impianto.

Va infatti considerato che di questa necessitata correlazione non vi è traccia alcuna nella disposizione in esame e che, del resto, la stessa previsione legale di un regime opzionale è finalizzata a porre le società di gestione in condizione di valutare il regime rimodulato più conveniente, anche e proprio in ragione della durata residua delle singole concessioni in loro titolarità.

Dunque, a porsi in conflitto con la previsione legislativa è l’interpretazione antiletterale offerta nella censura in esame e non la decisione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche; e questo conflitto appare tanto più evidente là dove con questa interpretazione si vorrebbe affermare la proroga settennale tout court di tutte indistintamente le concessioni di derivazione detenute dalle società ammesse al regime incentivante, finanche di quelle che risultassero già scadute alla data di entrata in vigore del D.L. n. 145 del 2013.

Va poi osservato come il Tribunale Superiore si faccia comunque carico anche di questa “ragione pratica”, senza con ciò forzare la lettera della norma; ciò accade nel richiamo alla possibilità prevista dall’ordinamento regionale, in presenza di eventuale iato tra durata della incentivazione e durata (inferiore) della concessione, di protrarre comunque lo sfruttamento dell’impianto, su corresponsione di un canone aggiuntivo, per il periodo necessario alla predisposizione delle gare e delle incombenze di riassegnazione delle concessioni scadute.

Si tratta di una protrazione alla quale la società ricorrente ritiene di non doversi sottoporre, ma su un assunto – quello del prolungamento ex lege del titolo concessorio – come detto non condivisibile.

Nel dettare disposizioni in materia di grandi derivazioni ad uso idroelettrico, la L.R. Lombardia n. 26 del 2003 cit., art. 53 bis, stabilisce che (commi 4 e 5): “La Giunta regionale, al fine di garantire la continuità della produzione elettrica e in considerazione dei tempi necessari per effettuare la ricognizione delle opere di cui al comma 2 e per espletare le procedure di gara, può consentire, per le sole concessioni in scadenza, la prosecuzione temporanea, da parte del concessionario uscente, dell’esercizio degli impianti di grande derivazione ad uso idroelettrico per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di attribuzione di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12. 5. La prosecuzione temporanea di cui al comma 4 è subordinata al rispetto delle condizioni tecniche ed economiche definite dalla Giunta regionale con propria deliberazione. Nel periodo di prosecuzione temporanea, il concessionario uscente è tenuto a versare alla Regione, secondo le modalità e gli importi stabiliti con la predetta deliberazione di Giunta regionale un canone aggiuntivo rispetto ai canoni e sovracanoni e alla cessione gratuita di energia già stabiliti. (…)”.

Si tratta di disposizione (basata sull’ordinamento statale D.Lgs. n. 79 del 1999, ex art. 1, comma 1 sexies, attuativo della Dir. 96/92/CE sul mercato interno dell’energia elettrica) i cui dubbi di legittimità ex art. 117 Cost., commi 2 e 3, sono già stati ritenuti manifestamente infondati da questa Corte di legittimità (Cass. SSUU n. 15990/20; Cass. SSUU n. 8036/18), e comportante anch’essa un fattore di continuità e protrazione d’esercizio che la legge sottopone alla valutazione del concessionario nell’esercizio dell’opzione.

Come pure ritenuto nella sentenza impugnata, la convergenza di questi elementi non viene sovvertita da quanto stabilito dal D.M. attuativo MISE-Ambiente 6 novembre 2014, secondo cui (art. 4): “1. Ai fini della verifica di coerenza tra la nuova durata del periodo di incentivazione ed eventuali prescrizioni di ordine temporale contenute nei titoli abilitativi rilasciati per la costruzione e l’esercizio degli impianti, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il GSE comunica alle regioni e agli enti locali che hanno rilasciato i predetti titoli l’elenco dei soggetti che hanno esercitato l’opzione di rimodulazione e gli estremi dei relativi titoli abilitativi. Le regioni e gli enti locali, ciascuno per la parte di competenza, adeguano alla durata dell’incentivo, come rimodulata ai sensi del presente decreto, la validità temporale dei permessi rilasciati, comunque denominati, per la costruzione e l’esercizio degli impianti ricadenti nel campo di applicazione del presente articolo”.

Sul piano sistematico è fin troppo evidente che è questa previsione a dover essere interpretata in base alla norma primaria di cui è derivazione attuativa e non il contrario; norma primaria alla cui ermeneutica basta il criterio letterale fondamentale di cui all’art. 12 preleggi.

E questo criterio induce a negare che il prolungamento delle concessioni di grande derivazione – univocamente escluso, come detto, dal D.L. n. 145 del 2013, art. 1, comma 3 – possa essere in qualche modo recuperato nel richiamo, pur oggettivamente ampio, alla validità temporale dei “permessi…comunque denominati” così come contenuto nel D.M..

Da un lato, l’istituto costitutivo ed attributivo della concessione non rientra (non nel nome ed ancor meno nella sostanza) tra i “permessi” e le “autorizzazioni” volte alla rimozione di un limite d’esercizio e svolgimento dell’attività da parte del privato; dall’altro, la concessione di cui si chiede qui il prolungamento ha specifico riguardo – così da non rientrare, neppure per questo verso, nella previsione in esame – alla grande derivazione idrica e non alla costruzione o all’esercizio dell’impianto per i quali il D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, prevede il rilascio di un’unica autorizzazione all’esito di un unico procedimento.

Osserva Edison in memoria: “(…) se dunque, per gli impianti idroelettrici l’unico termine di esercizio è indicato nella concessione, e non nell’autorizzazione unica, è necessariamente la concessione il provvedimento la cui validità temporale è oggetto di proroga in forza del D.M. 6 novembre 2014”. Affermazione, questa, che muove anch’essa dall’assioma della “necessità” di proroga, pur a fronte di una disposizione legislativa che, al contrario e per le già indicate ragioni, mostra invece di voler tenere ben distinto il termine di concessione da quello di incentivazione e che, per altro verso, non ha demandato alla fonte regolamentare di questi termini rimodulare, parificandoli e rendendoli necessariamente coerenti (quanto soltanto di disciplinare le modalità di esercizio dell’opzione e di stabilire le percentuali di riduzione degli incentivi in ragione della tipologia di impianto e di incentivo spettante).

Va da ultimo considerato, se ancora si ravvisino residui margini di dubbio, che il convincimento del Tribunale Superiore appare corretto anche quando – all’esito di una interpretazione conforme – esclude che la disciplina interna della rimodulazione degli incentivi possa comunque valere a conseguire un risultato pratico, la proroga delle concessioni, certamente contrastato dall’ordinamento Eurounitario anche nello specifico settore delle derivazioni ad uso idroelettrico, secondo i principi di temporaneità e concorrenzialità già introdotti dalla Direttiva 96/92/CEE cit. (C. Cost. sent. 205/2011; Cass. SSUU n. 22235/16; Cass. SSUU n. 4192/16).

p. 3. Ne segue pertanto il rigetto del ricorso; le spese di lite, liquidate come in dispositivo, vengono poste a carico di Edison spa in ragione di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.870,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge;

v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, riunitasi il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022

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