LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14626 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:
Avicola Molisana s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Nebbia per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Panama, n. 74, presso lo studio dell’avv. Gianni Emilio Iacobelli;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise, n. 48/2/13, depositata in data 6 novembre 2013;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza dal Consigliere Giancarlo Triscari;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale, rigettati i restanti motivi, ed il rigetto del ricorso incidentale;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale, rigettati i restanti motivi, ed il rigetto del ricorso incidentale;
udito per la ricorrente l’Avv. Giuseppe Nebbia e per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato generale dello Stato Alfonso Peluso.
FATTI DI CAUSA
Dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Avicola Molisana s.r.l., esercente l’attività di allevamento di pollame destinato ad industrie agroalimentari, un avviso di accertamento con il quale aveva rettificato la dichiarazione Iva per l’anno 2005, avendo contestato la non sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime speciale dell’Iva per i produttori agricoli di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 1, con conseguente recupero dell’Iva illegittimamente detratta; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso; avverso la decisione del giudice di primo grado la società aveva proposto appello.
La Commissione tributaria regionale del Molise ha riformato la sentenza di primo grado per la sola parte relativa alle spese di lite, rigettando per il resto i motivi di appello della contribuente, in particolare ha ritenuto che: ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 1, era necessario che il produttore agricolo esercitasse direttamente ed effettivamente le attività di allevamento; nella fattispecie, la società ricorrente, priva di strutture (anche logistiche) proprie, non svolgeva l’attività di allevamento di animali, posto che tale attività veniva svolta dai soccidari ai quali la contribuente si limitava a fornire mangimi, medicinali e assistenza tecnica e sanitaria per tutta la durata dell’allevamento, riservando per sé la direzione; erano infondati gli ulteriori motivi di appello proposti, ad eccezione di quello relativo alla condanna alle spese, sicché, con esclusivo riferimento a tale ultimo profilo, ha ritenuto di dovere pronunciare la compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, stante la obiettiva complessità della vicenda e la non univocità di soluzioni interpretative.
La società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a un unico motivo.
Con ordinanza del 12 febbraio 2021 questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo per la trattazione della causa alla pubblica udienza.
RAGIONE DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso principale la società Avicola Molisana s.r.l. censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, e dell’art. 2135 c.c., nonché dell’art. 2170 cod. civ., nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 132, c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.
In particolare, parte ricorrente evidenzia la erroneità della pronuncia censurata per avere ritenuto che l’agevolazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 1, non poteva essere riconosciuta alla ricorrente essendo risultato dagli atti di causa che la stessa non procedeva direttamente alla cura degli animali mediante una propria organizzazione, strumenti e personale, ma partecipava solo ed esclusivamente sulla base di formali rapporti contrattuali con terzi. Sotto tale profilo, parte ricorrente prospetta l’erroneità della decisione: per avere distinto, ai fini dell’applicabilità dell’agevolazione, a seconda che il soccidante (qual è nella fattispecie la ricorrente) operi con fattori della produzione la cui disponibilità derivi da proprietà e contratti di assunzione rispetto all’ipotesi di utilizzo oneroso di beni e servizi di terzi in forza di contratti obbligatori, come di fatto avvenuto nella fattispecie; nonché, per non avere, di conseguenza, quindi considerato che, mediante il contratto di soccida e tenuto conto dell’attività in concreto svolta (selezione e preparazione del mangime effettuata su propria commissione da società specializzata, messa a disposizione di tecnici, veterinari, medici, biologi, operai specializzati e trasportatori), veniva dalla stessa svolta un’attività agricola di allevamento, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, atteso il pieno coinvolgimento della medesima nell’attività di allevamento del bestiame nel rispetto del ciclo biologico.
Inoltre, parte ricorrente censura, altresì, la sentenza per avere erroneamente ritenuto che costituiva fatto non contestato che la ricorrente era sprovvista di un’autonoma struttura aziendale, avendo, invece, la medesima analiticamente riportato nei propri atti di avere svolto attività di allevamento mediante una propria struttura organizzativa, dotata di uomini e mezzi, sicché il passaggio motivazionale violerebbe gli artt. 115 e 116 c.p.c., e sarebbe, comunque, contraddittorio ed apparente, con violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 132 c.p.c..
Il motivo è fondato.
Lo stesso si incentra sulla prospettazione difensiva secondo cui la qualifica di soccidante rivestita dalla società nell’ambito di determinati rapporti negoziali non sia ostativa al riconoscimento dello svolgimento di una attività agricola per la quale possa trovare applicazione il regime speciale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34. Va osservato, preliminarmente, che nella sentenza censurata non è posto in discussione il fatto che la società avesse operato in qualità di soccidante nell’ambito di rapporti obbligatori finalizzati all’attività di allevamento del bestiame: invero, quel che la pronuncia censurata ha posto a fondamento della decisione è la circostanza che lo svolgimento dell’attività agricola, in particolare di allevamento del bestiame, ai fini dell’applicabilità della previsione di cui all’art. 34, cit., non poteva dirsi sussistente laddove la contribuente avesse operato in qualità di soccidante, senza esercitare, di conseguenza, direttamente ed effettivamente, l’attività di allevamento, in quanto la stessa era affidata al soccidario, limitandosi a fornire mangimi, medicinali e assistenza tecnica e sanitaria e riservando a sé la direzione dell’allevamento.
La questione, pertanto, da definire, è se sia riconducibile all’ambito di applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, l’ipotesi, quale quella di specie, in cui la contribuente aveva operato in qualità di soccidante, utilizzando attrezzature e personale in forza di contratti obbligatori e senza, quindi, la disponibilità dei fattori della produzione derivi dalla titolarità del diritto di proprietà e da contratti di assunzione.
In generale, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, prevede, al comma 1, che: “Per le cessioni di prodotti agricoli e ittici compresi nella prima parte dell’allegata tabella A) effettuate dai produttori agricoli, la detrazione prevista nell’art. 19 è forfettizzata in misura pari all’importo risultante dall’applicazione, all’ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti, con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro per le politiche agricole. L’imposta si applica con le aliquote proprie dei singoli prodotti, salva l’applicazione delle aliquote corrispondenti alle percentuali di compensazione per i passaggi di prodotti ai soggetti di cui al comma 2, lett. c), che applicano il regime speciale e per le cessioni effettuate dai soggetti di cui al comma 6, primo e secondo periodo”.
La previsione normativa in esame disciplina un regime speciale dell’Iva in caso di cessioni di prodotti agricoli ed ittici (compresi nella prima parte della tabella A) effettuate dai produttori agricoli, posto che, a differenza del c.d. regime normale di detrazione dell’Iva, per il quale, in forza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, dall’Iva relativa alle operazioni effettuate si detrae l’Iva effettivamente assolta o dovuta dal contribuente o ad esso addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio di una impresa, arte o professione, la detrazione è invece forfettizzata nella misura specificamente indicata dal sopra citato art. 34.
In sostanza, con il regime speciale di detrazione in esame, il produttore agricolo non detrae dall’Iva sulle vendite dei prodotti agricoli quella effettivamente pagata per l’acquisto di beni e servizi ma quella derivante dall’applicazione della percentuale di compensazione astrattamente e mediamente prevista per legge in base al tipo di attività o prodotto agricolo venduto.
Con riferimento al profilo soggettivo di applicabilità del regime speciale in esame, e cioè, per quel che rileva in questa sede, alla individuazione dei soggetti destinatari del suddetto regime, la previsione normativa, come detto, si applica in caso di cessione di prodotti agricoli ed ittici effettuate dai produttori agricoli e, in questo ambito, dell’art. 34, cit., il successivo comma 2, precisa che: “Si considerano produttori agricoli: a) i soggetti che esercitano le attività indicate nell’art. 2135 c.c. e quelli che esercitano attività di pesca in acque dolci, di piscicoltura, di mitilicoltura, di ostricoltura e di coltura di altri molluschi e crostacei, nonché di allevamento di rane”.
La definizione del produttore agricolo, dunque, è compiuta mediante specifico rinvio alla previsione di cui all’art. 2135 c.c., secondo cui: “E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
E’ rilevante osservare come la suddetta disciplina interna di cui all’art. 34, cit., è di derivazione comunitaria, posto che trova il suo riferimento nella previsione contenuta nell’art. 25, Direttiva 77/388/Cee, di contenuto sostanzialmente analogo a quello dell’art. 296 della successiva Direttiva 112/2006/Ce, secondo cui: “Gli Stati membri hanno la facoltà di applicare ai produttori agricoli per i quali l’assoggettamento al regime normale dell’imposta sul valore aggiunto o, eventualmente, al regime semplificato di cui all’art. 24 creasse difficoltà, un regime forfettario inteso a compensare l’onere dell’imposta sul valore aggiunto pagata sugli acquisti di beni e servizi degli agricoltori forfettari, conformemente al presente articolo. 2. Ai sensi del presente articolo, si considera: “produttore agricolo”, il soggetto passivo che svolge la sua attività nell’ambito di un’azienda definita qui di seguito; “azienda agricola, silvicola o ittica”, le aziende così considerate da ogni Stato membro nell’ambito delle attività di produzione enumerate nell’allegato A”.
In sostanza, la previsione normativa di matrice unionale individua, quale destinatario della disciplina relativa al regime speciale in esame, il soggetto che svolge l’attività di produzione (produttore agricolo) mediante una attività di impresa agricola (attività nell’ambito di una azienda agricola secondo il legislatore interno).
E’ dunque la finalizzazione all’attività di produzione di prodotti agricoli dell’impresa agricola che costituisce il profilo centrale della applicabilità, a livello di normativa unionale, del regime speciale in esame.
Ciò è conforme alla stessa ratio della disciplina in esame, in più occasioni indicata dalla Corte di giustizia, che ha posto in evidenza che, oltre alla finalità di semplificazione, dato che gli agricoltori forfettari possono essere dispensati dall’osservanza di un certo numero di obblighi inerenti ai regimi normale o semplificato dell’Iva, sussiste anche l’obiettivo di compensazione dell’Iva pagata a monte, al fine di evitare che questa contribuisca alla formazione del prezzo dei prodotti agricoli sotto forma di “IVA occulta” (v., in tal senso, Corte di giustizia 26 maggio 2005, Stadt Sundern, C-43/04, punto 28; Corte di giustizia 8 marzo 2012, Commissione/Portogallo, C-524/10, punto 50).
Sotto tale profilo, ai fini della individuazione del destinatario del regime speciale in esame, la normativa unionale accentua il profilo finalistico dell’attività per la quale la stessa trova considerazione, cioè la produzione di prodotti agricoli in quanto destinati alla vendita nel mercato.
D’altro lato, il legislatore unionale non ha posto alcuna prescrizione circa le modalità di esercizio dell’impresa agricola ai fini della fruizione del regime in esame.
Di queste indicazioni contenute nella normativa unionale si è fatta applicazione, a livello di normativa interna, con la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, individuando, quale soggetto destinatario della norma in esame, il produttore agricolo e, in particolare, i soggetti che esercitano le attività indicate nell’art. 2135 c.c..
E’ rilevante osservare che la previsione di cui all’art. 2135 c.c., è stata oggetto di modifica a seguito dell’intervento normativo di cui al D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 1, comma 1.
Il precedente testo dell’art. 2135 c.c., qualificava l’imprenditore agricolo facendo specifico riferimento all’esercizio di “un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse”.
L’intervento modificativo ha esteso, in primo luogo, la stessa nozione di attività di allevamento del bestiame, inserendo nella stessa anche qualunque attività diretta alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale: sicché, dalla necessità che l’imprenditore svolgesse direttamente l’attività di allevamento di bestiame, si è spostata l’attenzione all’intera fase di produzione, essendo sufficiente, ai fini della qualifica di imprenditore agricolo, anche l’intervento ad una fase dell’attività di produzione, purché attinente alla cura e sviluppo del ciclo biologico o ad una fase necessaria dello stesso.
La nuova figura di imprenditore agricolo, pertanto, ha comportato il superamento del precedente rapporto terreno-produzione, essendo rilevante l’intervento in una fase della attività di produzione, sia in quanto necessaria sia in quanto relativa alla cura e sviluppo di un ciclo biologico.
Sotto tale prospettiva, quel che assume rilevanza, dunque, è il fatto che la normativa comunitaria, di cui l’art. 34, cit., è attuazione, non preclude l’applicazione di tale regime nei confronti di quei soggetti che esercitano l’impresa agricola in forma associata.
L’art. 34, cit., invero, rinvia puramente e semplicemente alla previsione di cui all’art. 2135 c.c., per l’individuazione dei produttori agricoli ai fini dell’applicazione del regime speciale, ponendo, sotto tale profilo, una chiara assimilazione fra la nozione civilistica di imprenditore agricolo e quella fiscalmente rilevante agli effetti dell’applicazione del suddetto regime speciale.
La questione, dunque, si sposta al diverso e correlato profilo relativo al fatto se possa essere ricondotta alla disciplina in esame anche la fattispecie in esame in cui la società contribuente aveva svolto l’attività agricola a mezzo di contratti di soccida, assumendo la qualifica di soccidante.
Va quindi osservato che, ai sensi degli artt. 2170 e 2178 c.c., con il contratto di soccida due soggetti (il soccidante ed il soccidario) si associano per l’allevamento e lo sfruttamento del bestiame e per l’esercizio di attività connesse, al fine di ripartirsi l’accrescimento degli animali, gli utili e gli altri prodotti che ne derivano.
L’art. 2171 c.c., poi, disciplina la c.d. soccida semplice, in cui al soccidante compete il conferimento del bestiame, nonché la direzione dell’impresa, che deve essere svolta secondo le tecniche del buon allevatore (art. 2173 c.c.), mentre il soccidario, è obbligato a conferire il lavoro necessario per la custodia e l’allevamento del bestiame apportato nonché alla lavorazione dei prodotti ritratti dall’allevamento secondo le direttive del soccidante. Il contratto di soccida si configura quale contratto agrario di tipo associativo per l’esercizio dell’attività di allevamento sicché, ai sensi dell’art. 2135 c.c., lo stesso dà luogo ad una imprese agricola associata, di cui sono contitolari, sebbene con obbligazioni e funzioni diverse, sia il soccidante che il soccidario: entrambi, tuttavia, concorrono allo svolgimento comune dell’impresa in funzione della medesima finalità che è quella di allevare il bestiame per la successiva ripartizione degli utili e dei prodotti.
In sostanza, la circostanza che l’attività di allevamento viene svolta mediante il contratto di soccida semplice comporta che la stessa è da considerarsi una attività agricola, come si desume sia dalla sedes materiae (essendo il contratto di soccida inserito tra i contratti tipici agrari) che dalla espressa formulazione dell’art. 2170 c.c., secondo cui nella soccida il soccidante ed il soccidario “si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame”, che, infine, dall’interpretazione sistematica, atteso che al soccidante è riconosciuta la direzione dell’impresa, quindi partecipa del rischio di impresa, al pari del soccidario.
In questo contesto, differentemente da quanto sostenuto nella sentenza censurata, l’attività del soccidante non può essere configurata in termini di mero commercio di prodotti agricoli, posto che la vendita degli animali costituisce l’effetto finale di una attività a monte svolta dai soggetti associati nell’esercizio di una attività agricola in cui ciascuno svolge parte delle funzioni essenziali per la produzione, senza che possa ritenersi che il soccidante si limiti ad acquistare e rivendere gli animali, posto che, in tal caso, non sussisterebbe il rischio dell’attività di impresa, ancorato, invece, sulla circostanza che l’attività del soccidante (conferimento degli animali, direzione dell’attività) è basata sulla utile produzione degli animali allevati, che ha modo di realizzarsi anche in forza dell’assolvimento da parte del soccidante degli obblighi su di esso gravanti.
Indiretta conferma della assunzione della qualità di imprenditore agricolo sia del soccidante che del soccidario è la circostanza che il D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, art. 1 bis, comma 6, ha previsto che, in mancanza di un accordo esplicito tra soccidante e soccidario, i diritti PAC, che spettano al produttore agricolo, ossia a colui che svolge attività agricola, ai sensi dell’art. 2, reg. CE 1782/2003) vanno attribuiti, in eguale misura, ad entrambi i soggetti.
Quel che rileva, invero, è il fatto che, per effetto dello svolgimento di una impresa agricola in forma associata, il soccidante ed il soccidario condividono il comune rischio di impresa assunto con la stipula del contratto, sicché gli stessi sono contitolari dell’impresa di allevamento e, quindi, sono entrambi imprenditori agricoli: il dato normativo, invero, attribuisce ad entrambi lo status di contitolari dell’impresa posto che, come detto, per il tramite del contratto di soccida, l’impresa è svolta congiuntamente dal soccidante e dal soccidario, sia pure con obbligazioni diverse.
Ne consegue che, essendo entrambi imprenditori agricoli, sulla cessione dei prodotti di cui alla tabella A, parte I, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, derivanti dal comune esercizio dell’impresa di allevamento, sia il soccidante che il soccidario possono avvalersi del regime speciale di detrazione dell’Iva di cui all’art. 34, cit..
La previsione normativa unionale, come quella di cui all’art. 34, cit., del resto, non escludono che l’attività di produzione agricola possa essere svolta anche in forma societaria né in forma associata, posto che la finalità delle previsioni normative in esame è quella di riconoscere l’applicabilità del regime forfettario di detrazione dell’Iva nei confronti di chi svolge, anche in forma associata, l’attività di produzione agricola e, in particolare, di allevamento del bestiame. Va segnalato, per completezza, che nella giurisprudenza di questa Corte con la pronuncia 2 marzo 2007, n. 4913 (così come con la pronuncia 13 aprile 2007, n. 11597), si è ritenuto che, proprio con riferimento all’ipotesi di affidamento in soccida dell’attività di allevamento di bestiame, non può trovare applicazione il regime speciale Iva di cui all’art. 34, cit..
Tuttavia, è stata la peculiarità della vicenda esaminata da quelle pronunce che ha indotto questa Corte ad escludere che potesse trovare applicazione in favore del contribuente la previsione di cui all’art. 34, cit., posto che, in quel caso, si era accertato in fatto che il contribuente, privo di attrezzature e del personale necessario per esercitare l’attività di allevamento, si era limitato ad acquistare il bestiame e ad affidare lo stesso sia per l’allevamento che per la vendita al terzo/soccidario.
In quel caso, dunque, si era valorizzata l’assoluta mancanza di partecipazione del contribuente all’attività di allevamento, ponendo la fattispecie in una prospettiva di mero ruolo di intermediario del contribuente che si limitava ad acquistare gli animali senza alcuna partecipazione al rischio di impresa.
La pronuncia censurata non è dunque conforme ai principi sopra indicati relativi agli esatti ambiti di applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, sicché la stessa è viziata per violazione di legge.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso principale comporta l’assorbimento: del secondo motivo di ricorso principale, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58, per non avere ritenuto sussistente, nel caso di specie, il legittimo affidamento della contribuente e per avere erroneamente ritenuto che parte ricorrente non aveva richiesto al giudice di primo grado di pronunciare sulla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10; del terzo motivo di ricorso principale, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, per non avere ritenuto sussistenti sia l’esimente della obiettiva incertezza normativa sia l’errore sul fatto.
E’ altresì assorbito l’unico motivo di ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso principale, assorbiti i restanti motivi di ricorso principale ed il motivo di ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza censurata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento del ricorso originario della contribuente.
Ai fini delle spese, sussistono giusti motivi per la integrale compensazione delle stesse per i giudizi di merito nonché per il presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbiti i restanti motivi di ricorso principale ed il ricorso incidentale, e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente; compensa le spese di lite relative ai giudizi di merito ed al presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 15 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022