LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18976/2016 R.G. proposto da:
R.V., rappresentato e difeso dall’Avv. Pasquale Russo, del foro di Salerno, con domicilio eletto in Roma, piazzale delle Medaglie d’Oro n. 72, presso lo studio dell’Avv. Claudio Ciufo;
– ricorrente –
contro
T.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Acerbo, del foro di Salerno con procura speciale a margine del controricorso e con domicilio in Roma, piazza Cavour n. 1, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 44 depositata il 22 gennaio 2016.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:
– il Tribunale di Vallo della Lucania, avanti al quale veniva riassunto il giudizio originariamente introdotto da T.S. nei confronti R.V. per ottenere il regolamento di confini dei rispettivi fondi confinanti nonché il rilascio della porzione di terreno di sua proprietà con conseguente ripristino dello stato dei luoghi, pronunciando sulle domande riconvenzionali del convenuto formulate ai sensi degli artt. 938 e 936 c.c., oltre che ex art. 1337 c.c., con sentenza n. 1425/2011, rilevata l’infondatezza della questione concernente l’integrazione del contraddittorio nei confronti della moglie del R. quale comproprietaria del fondo, rigettava tutte le domande, non applicabile l’art. 938 c.c., a alle costruzioni diverse da un edificio;
– sul gravame interposto da R.V., la Corte di appello di Salerno, nella resistenza dell’appellato,, con sentenza n. 44/2016, rigettava l’impugnazione e, per l’effetto, confermava il provvedimento impugnato.
Per quanto ancora di rilievo in questa sede, il giudice del gravame rilevava che la domanda proposta ex art. 938 c.c., non richiedeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti della comproprietaria evidenziando che l’eventuale accoglimento della domanda avrebbe potuto giovare a tutti i comproprietari, e che l’eventuale declaratoria di nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio avrebbe determinato l’espletamento di un’attività processuale non solo estremamente lunga e dispendiosa ma anche inutile, considerata l’infondatezza della domanda per avere come oggetto un muro realizzato sul confine e non la costruzione di un edificio;
– per la cassazione del provvedimento della Corte di appello di Salerno ricorre R.V. sulla base di un unico motivo cui resiste con controricorso T.S..
Atteso che:
– con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 938 e 1100 c.c., anche con riferimento agli artt. 101 e 102 c.p.c..
Il motivo è sviluppato sotto un duplice profilo: in primo luogo il ricorrente sostiene che il giudice del gravame avrebbe dovuto integrare il contraddittorio nei confronti dell’altra comproprietaria della porzione del fondo oggetto di causa in quanto avrebbe dovuto tenere conto del possibile conflitto tra questa e il ricorrente, o comunque delle possibili posizioni contrastanti. Precisa il ricorrente che, essendosi dichiarato proprietario del fondo e dell’opera sullo stesso costruita, avrebbe di fatto vantato questa qualità esclusiva anche nei confronti dell’altro comproprietario, il quale se avesse partecipato al giudizio avrebbe potuto difendersi ovvero far valere i propri diritti.
Il ricorrente censura, inoltre, la pronuncia impugnata nella parte in cui il giudice del gravame ha escluso la violazione del contraddittorio valutando la fondatezza della domanda proposta. Nel merito, ai fini dell’azione di cui all’art. 938 c.c., il ricorrente sostiene che il giudice non avrebbe tenuto conto dello stato dei luoghi e dei fatti, ossia della presenza nella zona in contestazione di opere pertinenziali e funzionali al fabbricato del R. (quali il garage, il cancello d’ingresso, le condutture, i serbatoi), costituenti nel loro insieme una struttura muraria complessa e una componente essenziale dell’edificio del R., situazione che avrebbe dovuto condurre all’accoglimento della domanda.
Il motivo – e con esso il ricorso – è inammissibile per plurime ragioni.
In via preliminare, quanto alla censura concernente l’integrazione del contraddittorio, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all’amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale spetta, a norma dell’art. 180 c.c., ad entrambi i coniugi e, quindi, ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione di carattere reale o con effetti reali diretta alla tutela della proprietà o del godimento della cosa comune, senza che sia indispensabile la partecipazione al giudizio dell’altro coniuge, non vertendosi in una ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 4856 del 2009).
Del resto, il principio più volte affermato da questa Corte in ordine all’actio confessoria o negatoria servitutis, trova applicazione anche nella fattispecie in esame, là dove stabilisce che nel caso in cui il fondo appartenga pro indiviso a più proprietari, l’azione comporta un litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari solo quando non si risolva in un mero accertamento e sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune, mediante demolizione di manufatti o di costruzioni comuni (cfr. Cass. n. 6622 del 2016).
Ne consegue che nel caso di specie, essendo l’azione formulata ai sensi dell’art. 938 c.c., diretta all’accertamento dell’occupazione in buona fede di fondo attiguo, non si configura un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
La Corte di appello di Salerno ha, quindi, correttamente affermato che la domanda ex art. 938 c.c., poteva essere proposta anche solo da uno dei comproprietari, non richiedendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altra comproprietaria, atteso peraltro che l’eventuale accoglimento dell’istanza avrebbe potuto giovare a tutti gli altri partecipanti, implicando l’inclusione della suddetta porzione del suolo fra le cose comuni.
Il ricorrente, poi, cita sentenze che non attengono alla posizione dallo stesso vanta. Al più vi era un litisconsorzio facoltativo e quindi ben poteva essere lo stesso a chiamare in causa la coniuge se ne riteneva opportuna la partecipazione al giudizio (ex artt. 106 e 269 c.p.c.).
Quanto alla censura di merito, relativa alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 938 c.c., è parimenti inammissibile, in quanto verte su una questione di fatto.
Difatti, la Corte di Salerno ha chiarito che la domanda ex art. 938 c.c., come formulata fin dal primo atto di costituzione e ripetuta nell’atto di riassunzione, aveva ad oggetto “solo ed esclusivamente” il muro in cemento armato realizzato sul confine, pertanto la normativa evocata non poteva trovare applicazione nel caso di specie.
Invero, secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’art. 938 c.c. – che in caso di occupazione di porzione del fondo contiguo con una costruzione – prevede l’attribuzione della proprietà al costruttore dell’opera realizzata e del suolo (cosiddetta accessione invertita), si riferisce esclusivamente alla costruzione di un edificio, cioè di una struttura muraria complessa idonea alla permanenza nel suo interno di persone e di cose, non potendo, quindi, essere invocato con riguardo a opere diverse, quali un muro di contenimento o di divisione (Cass. n. 22997 del 2019, tra le tante). Peraltro, la Corte ha escluso non solo la sussistenza dell’elemento oggettivo, rilevando che la domanda del R. concerneva esclusivamente il muro di confine, ma anche la ricorrenza dell’elemento soggettivo, rilevando che il ricorrente era ben consapevole di costruire su un suolo di proprietà aliena, avendo lo stesso affermato che erano in corso delle trattative per l’acquisto della striscia di terreno di proprietà del T., ragion per cui l’appellante non poteva ritenersi in buona fede.
Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese genera i e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 3 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022
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