LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 426/2017 proposto da:
M. COSTRUZIONI S.R.L., in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE, 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCIANO SALOMONI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARNO, 6, presso lo studio dell’avvocato GLORIA GEMMA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BABINO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1989/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/09/2021 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
PREMESSO Che:
1. Nel 2011 M. Costruzioni s.r.l. e Solaredil s.r.l. convenivano in giudizio T.A., proponendo domanda di accertamento del loro diritto a recedere dal preliminare per inadempimento del convenuto, promittente venditore. La domanda degli attori è stata respinta ed è invece stata accolta la domanda del convenuto di ritenzione della caparra. Gli attori hanno impugnato la pronuncia n. 218/2013 del Tribunale di Como sostenendo che il Tribunale aveva errato nel non dare rilievo alla mancata definizione del confine tra l’immobile oggetto del contratto preliminare e quello confinante, di proprietà di un terzo non in causa, mancata definizione del confine che avrebbe precluso l’approvazione del loro progetto di ristrutturazione dell’immobile promesso in vendita.
2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza 24 maggio 2016, n. 1989, ha rigettato l’impugnazione in quanto ha ritenuto che era indubbia l’incertezza del confine, ma che tuttavia questa riguardava in misura minima la superficie dell’immobile promesso in vendita; che nel contratto preliminare la superficie dell’immobile era indicata con il termine “circa” ripetuto quattro volte e si trattava di vendita a corpo e non a misura; che la mancata autorizzazione al progetto di ristrutturazione, posta dagli appellanti in relazione all’incertezza sul confine, era invece dipesa dalla circostanza che il progetto di ristrutturazione comportava modifiche al sedime.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello la società M. Costruzioni s.r.l. ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso T.A..
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
Che:
I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
1. Il primo motivo denuncia “erroneità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio” art. 360 c.p.c., n. 5": la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto non rilevante ai fini della stipulazione del contratto definitivo l’incertezza del confine, quando invece l’individuazione esatta dei confini è indefettibile presupposto per ogni adempimento relativo a un’area immobiliare.
Il motivo è infondato. La ricorrente in rubrica denuncia l’omesso esame di un fatto storico, ma in realtà contesta l’apprezzamento dato dal giudice d’appello alla mancata certezza della linea di confine, mancata certezza che pertanto è stata esaminata dal giudice d’appello (v. p. 2 della sentenza impugnata ove si afferma che “non vi sono dubbi sul fatto che l’ufficio tecnico del comune di Turate abbia individuato una incertezza della linea di confine”).
2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo sono tra loro strettamente connessi e pertanto sono trattati unitamente.
a) Il secondo motivo lamenta “erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”: la Corte d’appello, nell’affermare l’irrilevanza dell’incertezza “per circa 44 centimetri” della linea di confine, non ha considerato la natura condizionata del contratto preliminare alla concessione del permesso di costruire o all’autorizzazione della dichiarazione di inizio attività relativa alla ristrutturazione.
b) Il terzo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 c.c. e della L. n. 457 del 1979, art. 28 (art. 360 c.p.c., n. 3)”: il mancato verificarsi della condizione prevista nel preliminare va ricondotta all’inadempimento del venditore, dipendendo dal proprietario la definizione dei confini che attiene all’assetto stesso dell’area; il comportamento di T., che pur invitato dalla ricorrente ha omesso di effettuare la corretta delimitazione dei confini, costituisce pertanto inadempimento dell’obbligazione contrattuale, con conseguente legittimità del diritto a recedere dal preliminare per le promissarie acquirenti e conseguente applicazione dell’art. 1385 c.c., comma 2.
c) Il quarto motivo lamenta “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 11 e 12, L.R. Lombardia n. 12 del 2005, art. 35, L. n. 45 del 1978, art. 28 (art. 360 c.p.c., n. 3)” in quanto erroneamente la pronuncia impugnata fa dipendere la mancata approvazione del piano di recupero e del rilascio del titolo edilizio dal comportamento delle promissarie acquirenti, senza considerare che la delimitazione dei confini costituisce il presupposto per ogni tipologia di intervento edilizio.
I motivi sono fondati. La Corte d’appello ha focalizzato la sua attenzione sulla superficie dell’immobile promesso in vendita, sottolineando che l’incertezza di “circa 44 centimetri” incideva in maniera minima sulla superficie dell’immobile, anche perché la superficie medesima era indicata con il termine “circa” e il bene oggetto del preliminare era venduto a corpo e non a misura, cosicché l’incidenza dell’incertezza di 44 centimetri era irrilevante e non era giustificato il rifiuto delle promissarie acquirenti di sottoscrivere il contratto definitivo. In tal modo la Corte d’appello non ha adeguatamente considerato che l’accordo preliminare e il contratto preliminare assoggettavano la stipulazione del contratto definitivo alla “emanazione del permesso di costruire o alla autorizzazione della denuncia di inizio attività previo piano di recupero, relativa al progetto di ristrutturazione” e che il Comune non ha approvato il piano di recupero con contestuale permesso di costruire, in quanto ha rilevato “incongruenze significative” mancando “la corretta definizione del confine e della posizione del fabbricato”, avendo rilevato che il confine del piano di recupero dell’immobile in oggetto era differente rispetto a quello rappresentato in un’altra pratica edilizia relativa all’area confinante (v. p. 5 del ricorso). Con la conseguenza che non è stato concesso il permesso di costruire e non è stato autorizzato il piano di recupero e la condizione posta nel preliminare non si è pertanto verificata.
La Corte d’appello ha poi esaminato il profilo della responsabilità del mancato verificarsi della condizione, escludendo al riguardo l’inadempimento del promittente venditore. Al riguardo il Collegio, se condivide la conclusione della Corte relativa alla mancata responsabilità del promittente venditore rispetto al mancato verificarsi della condizione, non condivide però la motivazione offerta dal giudice di merito, motivazione che l’ha portato a confermare la pronuncia di primo grado di accoglimento della domanda di T. di ritenzione della caparra. Ad avviso della Corte d’appello il piano di recupero sarebbe stato approvato ove il piano stesso avesse previsto la demolizione con fedele ricostruzione del fabbricato, senza traslazione del sedime, cosicché – ha concluso la Corte – se i promissari acquirenti avessero presentato un progetto di ristrutturazione rispettando l’esistente sedime, non sarebbe sorto il problema della linea di confine; la mancata autorizzazione del progetto di ristrutturazione, pertanto, non sarebbe quindi stata conseguenza di un inadempimento del promittente venditore, ma delle scelte dei promissari acquirenti; la Corte ha così escluso l’inadempimento del promittente venditore e ha confermato l’inadempimento delle promissarie acquirenti, con conseguente legittimità del trattenimento della caparra di 160.000 Euro da parte del promittente venditore.
In realtà, rispetto al mancato verificarsi della condizione prevista dal preliminare, non è ravvisabile né una responsabilità del promittente venditore né delle promissarie acquirenti. Per quanto concerne il promittente venditore, a fronte della rilevata incertezza del confine da parte del comune, non emerge quale comportamento avrebbe questi dovuto porre in essere; al riguardo infatti il ricorrente si limita a dedurre che il proprietario è “l’unico che può disporre della definizione dei confini” e a sottolineare che “l’inerzia e l’assoluta indisponibilità del promittente venditore per adempimenti che solo lui poteva effettuare può ritenersi a lui certamente imputabile”, senza specificare quali fossero i comportamenti che il medesimo avrebbe potuto porre in essere. Per quanto concerne invece le promissarie acquirenti, non è condivisibile l’argomento della Corte d’appello secondo il quale le medesime avrebbero dovuto presentare un progetto di ristrutturazione che si limitava a prevedere la fedele ricostruzione del fabbricato, avendo la condizione apposta al preliminare fatto riferimento al piano di recupero dell’area, piano di recupero che non deve necessariamente limitarsi ad una “fedele ricostruzione del fabbricato”.
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Milano; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 29 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022
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