La disponibilità di redditi provati dalle risultanze dei conti correnti e dalle spese voluttuarie possono mettere a rischio l’assegno di divorzio.
Sulla base di queste circostanze la Corte di Appello di Roma ha revocato l'obbligo per l’ex marito di versare l'assegno divorzile. Decisione poi confermata dalla Cassazione con l’ordinanza n. 1482 del 18 gennaio 2023.
La Suprema Corte, riprendendo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/208, ricorda che l’assegno di divorzio ha una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.
Ai fini del riconoscimento dell’assegno, adottando un criterio composito, occorre:
Nella caso di specie, la Corte d’Appello, con accertamento in fatto, ha affermato che la ex moglie, al momento della dissoluzione del matrimonio, aveva la capacità di dedicarsi all'attività lavorativa ma che la stessa, come si evince dalle risultanze del suo conto corrente e dalle spese sostenute anche voluttuarie, disponesse di redditi idonei a renderla economicamente autonoma ed in grado di sostenere i costi dell'abitazione presa in locazione.
La natura perequativo-compensativa dell'assegno di divorzio, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1482 del 18/01/2023
RITENUTO IN FATTO
1. G.P. interpose appello alla sentenza emessa dal Tribunale di Velletri che, dopo aver pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, pose a carico di V.C. l'obbligo di versare alla ex moglie, l'assegno divorzile di Euro 100 mensili e l'ulteriore somma di Euro 450 mensili per il contributo al mantenimento del figlio D., maggiorenne, ma non ancora autonomo, così decurtando i maggiori importi fissati in sede di separazione consensuale. V.C., dal canto suo, propose appello incidentale chiedendo che fosse revocato l'assegno divorzile e quello per il contributo al mantenimento del figlio.
2. La Corte di Appello di Roma ha rigettato l'appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, ha revocato l'obbligo di V.C. del versamento dell'assegno divorzile e di quello per il contributo al mantenimento del figlio.
2.1 A sostegno della propria decisione la Corte ha osservato: a) che il figlio, diplomatosi all'istituto tecnico industriale, aveva abbandonato l'occupazione offertogli dal padre nella propria officina per andare a lavorare, sia pur saltuariamente, con il compagno della madre nel campo dell'edilizia; b) che la G.P. disponeva di redditi provati dalle risultanze dei conti correnti e dalle spese, anche voluttuarie, sostenute nonché dalla capacità lavorativa dimostrata dal fatto che ella aveva letteralmente trasformato il proprio fisico dedicandosi ad una intensa e costante attività di body building.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello G.P. ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a quattro motivi. M.P. ha svolto difese con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della l. 898 del 70, art. 5 comma 6, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si sostiene che il giudizio di indipendenza economica della ex moglie sia frutto di una errata lettura delle risultanze del conto corrente e che il Tribunale non aveva tenuto conto del contributo dato dalla ex moglie alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale, al pagamento del mutuo, delle spese sostenute per il contratto di locazione, delle condizioni di salute della G.P. e della situazione reddituale dell'ex marito.
1.1 Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione della l. 898 del 1970, art. 6 commi 1 e 2 e degli artt. 147,148,315 bis e 337 septies c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte capitolina equivocato sulle dichiarazioni rese dal figlio, economicamente non indipendente, che aveva riferito di ricevere dal padre un compenso non di Euro 200 ma di Euro 20.
1.2 Con il terzo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76 in relazione all'art. 360 1 comma nr 3 c.p.c. per averla condannata alla refusione delle spese processuali in favore dell'Erario che aveva anticipato le spese per la difesa di V.C. ammesso al patrocinio a spese dello stato.
1.3 Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3601 comma n. 5 c.p.c. per avere la Corte distrettuale omesso l'esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti costituito dalla richiesta di restituzione delle somme dalla stessa elargite e dei regali ottenuti dall'ex marito dalla propria famiglia d'origine.
2. Il primo motivo è inammissibile.
2.1 Il principio di diritto enunciato sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018, citata dalla ricorrente è il seguente: "ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.".
2.2 La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (cfr. S.U 18287/2018,18287/2019 e 5603/2020).
2.3 Secondo il parametro composito - assistenziale e perequativo compensativo -che è stato oggetto dell'elaborazione interpretativa delle S.U., occorre verificare, in primo luogo, se il divorzio abbia prodotto, alla luce dell'esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, uno squilibrio effettivo e di non modesta entità. Solo ove tale disparità sia accertata, è necessario verificare se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.
2.4 Nella specie la Corte, con accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all'art. 3601 comma nr 5 c.p.c. e in assenza di motivazione o in presenza di motivazione apparente, perplessa o del tutto illogica o contraddittoria (ipotesi che qui non ricorrono), ha affermato non solo che la G.P., al momento della dissoluzione del matrimonio, aveva la capacità di dedicarsi all'attività lavorativa ma che la stessa, come si evince dalle risultanze del suo conto corrente e dalle spese sostenute anche voluttuarie, disponesse di redditi idonei a renderla economicamente autonoma ed in grado di sostenere i costi dell'abitazione presa in locazione.
2.5 La censura, al di là delle denunziate violazioni di legge, tende, all'evidenza, ad ottenere il riesame del merito della causa attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; 14541/2014), poiché "il compito di valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito".
2.6 La denuncia di violazione di legge non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. anche Cass. n. 15235/2022; Cass., n. 9352/2022; Cass., n. 6000/ 2022; Cass., n. 25915/2021), "non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative" (letteralmente Cass., n. 15235/2022; cfr. Cass., S.U., n. 34476/2019; Cass., n. 8758/ 2017; Cass., n. 32026/2021; Cass., n. 9352/2022).
3. Il secondo motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.
3.1 In primo luogo esso pecca di autosufficienza.
3.2 Per consolidata giurisprudenza (cfr. tra le più recenti Cass. 29093/2018, Cass. 19048/2016) il ricorrente quando intenda dolersi della non corretta valutazione di un atto o di un documento da parte del giudice di merito deve, ai sensi dagli artt. 3661 comma n. 6 e 3692 comma nr 4 c.p.c., produrlo in atti o trascriverlo nel ricorso.
3.3 La ricorrente si è sottratta a tali incombenti in quanto non ha versato in atti o riportato nel corpo del ricorso, per estratto, il contenuto del verbale, impedendo alla Corte di verificare la fondatezza della censura.
3.4 Va, inoltre, rilevato che la statuizione di revoca dell'assegno per il contributo al mantenimento del figlio maggiorenne trova fondamento, oltre che sul rifiuto di quest'ultimo di lavorare con il padre, sull'ulteriore ratio decidendi, costituita dalla occupazione lavorativa, sia pur saltuaria, del figlio con il compagno della madre, idonea a sostenere autonomamente la decisione e non oggetto di censura.
3.5 Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di una di esse o la ritenuta infondatezza o inammissibilità delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. nr 11493/2018; 18641/2017, 15350/2017 e 9752/2017).
4. Il terzo motivo e', parimenti, inammissibile in quanto non è dato individuare la ragione di censura alla statuizione dei giudici di merito di condanna dell'appellante soccombente al pagamento delle spese di giudizio da corrispondersi, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 all'Erario avendole anticipate in regione dell'ammissione del V. patrocinio a spese dello Stato.
5. Non supera, infine, il vaglio di ammissibilità neanche il quarto motivo, formulato come omessa decisione su un fatto decisivo ed oggetto di discussione, dal momento che è la stessa ricorrente nell'articolare la censura a dare atto che la Corte ha espressamente deciso sulle questioni relative alle domande di restituzione formulate dalla G.P. ritenendole inammissibili nel giudizio di divorzio.
6. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.
7 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
8 Va, disposta, da ultimo, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.
PQM
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 3.800 di cui Euro 200 per esborsi oltre Iva Cap e rimborso forfettario nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2023.