L'accordo di separazione omologato rientra tra i titoli esecutivi di cui all'art. 474 c.p.c., comma 2, n. 3, e può essere legittimamente posto a base dell’atto di precetto, qualora consenta la determinazione della somma dovuta e, dunque, indichi un credito determinato o determinabile.
È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 15697 del 5 giugno 2023.
Il caso di specie riguardava una separazione, in cui il marito aveva intimato alla moglie il pagamento di una somma di denaro sulla base del decreto di omologa delle condizioni della loro separazione consensuale. Il Tribunale di Lecce aveva accolto l'opposizione della moglie al precetto, ritenendo che, sebbene il decreto di omologa avesse vis executiva, il credito indicato non era preciso né quantificabile, e quindi non poteva giustificare l'azione esecutiva intentata. La Corte d'Appello di Lecce aveva confermato la decisione di primo grado. Da qui il ricorso in Cassazione del marito.
La Suprema Corte ha sottolineato che, quando si contesta il diritto di procedere all'esecuzione forzata per mancanza di titolo esecutivo, la verifica dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva rappresenta un passo preliminare logico per decidere sui motivi di opposizione.
Successivamente occorre distinguere tra gli aspetti di natura negoziale sottesi alla separazione consensuale e quelli propri del decreto previsto dall'art. 158 c.c., comma 2. Invero la separazione ha origine nel consenso espresso dai coniugi davanti al presidente del tribunale, e che la successiva omologazione serve unicamente a conferire efficacia esterna all'accordo di separazione.
L'accordo di separazione – aggiungono i giudici di legittimità- , essendo contenuto nel verbale d'udienza redatto da un ausiliario del giudice, assume forma di atto pubblico ai sensi dell'art. 2699 c.c., e quindi rientra tra i titoli esecutivi menzionati all'art. 474 c.p.c., comma 2, n. 3.
Per la Cassazione la decisione della Corte d’Appello non nega la natura di titolo esecutivo dell'accordo di separazione omologato, ma ritiene che, nel caso specifico, il titolo azionato non aveva una vis executiva sufficiente per promuovere l'azione esecutiva, in quanto il credito indicato non era preciso né quantificabile. Di conseguenza, il ricorso del marito viene dichiarato inammissibile.
L'accordo di separazione omologato rientra tra i titoli esecutivi di cui all'art. 474 c.p.c., comma 2, n. 3, a tenore del quale, sono altresì titoli esecutivi "gli atti ricevuti da notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli". Per essere legittimamente posto a base dell’atto di precetto è necessario che il titolo azionato consenta la determinazione della somma dovuta e, dunque, indichi un credito determinato o determinabile.
Cassazione civile sez. I, Ordinanza 05/06/2023 (ud. 31/05/2023) n. 15697
FATTI DI CAUSA
1. Con precetto notificato il 12 aprile 2016, L.B.A., marito separato di P.F., intimò a quest'ultima il pagamento dell'importo di Euro 33.000,00, oltre accessori, assumendosene creditore giusta il decreto di omologa delle condizioni della loro separazione consensuale del 22 settembre 2015. Dedusse, in particolare, che tale provvedimento costituiva titolo esecutivo per la ripetizione del 50% delle somme da lui versate per un mutuo contratto dai coniugi in costanza di matrimonio ed il cui pagamento era staro regolato, appunto, in sede di accordi di separazione, con ripartizione del 50% delle relative rate fra le parti.
1.1. P.F. propose opposizione a tale precetto, assumendo che il verbale di omologa di separazione consensuale non fosse titolo idoneo a giustificare l'azione esecutiva così preannunciata.
1.2. L'adito Tribunale di Lecce accolse quell'opposizione con sentenza del 5 ottobre 2017, n. 3653, resa nel contraddittorio con il L.B., ritenendo che, effettivamente, il titolo azionato - decreto di omologa - non avesse una vis executiva idonea al promovimento dell'azione esecutiva, non perché detto provvedimento ne fosse privo in generale, ma in quanto, nel caso concreto, il credito ivi indicato non era determinato, né determinabile, sicché non avrebbe potuto giustificare la pretesa esecutiva azionata.
2. La Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 20 ottobre 2020, n. 1015, respinse il gravame promosso dal L.B. contro questa decisione, confermando anche la sua condanna al pagamento delle spese di primo grado.
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte affermò che "Il verbale di separazione omologato non può essere utilizzato quale titolo esecutivo, in quanto detta caratteristica è riconosciuta solo alle pronunce giudiziali che condannano al pagamento di somme determinate o, comunque, determinabili con un semplice conteggio matematico, consentito sulla base di dati già presenti nel titolo medesimo. Diversamente, ove il titolo - come nella specie - non consenta la determinazione della somma dovuta, il creditore deve richiederne la liquidazione in un distinto successivo giudizio. Pacifico che il provvedimento giurisdizionale, qual è il decreto di omologa, che non contenga la determinazione della somma dovuta, costituisce titolo esecutivo solo a condizione che dal complesso di informazioni rinvenibili nel provvedimento stesso (vuoi nel dispositivo che nella motivazione), anche mediante l'integrazione con elementi certi, perché acquisiti agli atti o riguardanti dati ufficiali, possa procedersi alla quantificazione con un'operazione meramente matematica. Se, quindi, il provvedimento di condanna non consente di determinare le pretese economiche del creditore in base al contenuto del titolo stesso, in quanto per la determinazione esatta dell'importo sono necessari elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, detto provvedimento non costituisce idoneo titolo esecutivo, ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento per il eredita fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti, o comunque agire per la liquidazione della somma spettante". Aggiunse, inoltre, che "la mera lettura degli accordi di separazione indicati ai richiamati punti 5 e 6 del relativo verbale omologato, danno contezza della correttezza della soluzione, adottata del tribunale, che ha valutato come effettivamente gli accordi in scrutinio, pur affermando il diritto del L.B. alla ripetizione delle somme versate per il mutuo, non consentono, però, né di capire se la ripetizione riguardi le rate già versate prima della separazione ovvero solo quelle versate successivamente, quante rate avrebbe versato il L.B. fino alla vendita, non essendo indicato un termine, né soprattutto di quantificare, in base a elementi contenuti nell'atto stesso, quale ne sia l'importo: è evidente che il provvedimento non giustifica l'azione esecutiva preannunciata con il precetto di pagamento della somma di Euro 33.000,00, oltre accessori". Considerò, infine, congrua e conforme a legge, la quantificazione delle spese processuali di primo grado poste a carico dell'appellante.
3. Per la cassazione dell'appena descritta sentenza ha proposto ricorso il L.B., affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Ha resistito, con controricorso, la P..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via pregiudiziale, va disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla P., recando l'atto in questione tutti gli elementi, necessari e sufficienti, per consentire a questa Corte di pronunciarsi.
2. Ancora in via pregiudiziale, va respinta l'eccezione di "inammissibilità/improcedibilità del ricorso per cassazione per acquiescenza" sollevata dalla controricorrente sul presupposto che "il L.B., a distanza di soli tre giorni dal deposito della sentenza n. 1015 del 20/10/2020, della Corte di Appello di Lecce, cioè in data 23/10/2020, ha depositato, presso il Tribunale di Lecce, ricorso per decreto ingiuntivo volto ad ottenere un titolo che gli consentisse, sulla base delle statuizioni contenute nel solito accordo di separazione dei coniugi, omologato dal Tribunale di Lecce, di agire nei confronti della P. per il pagamento delle somme relative alle rate di mutuo corrisposte nel corso del matrimonio, pari ad e 33.306,70", già oggetto del giudizio per cui è causa. Una siffatta condotta, finalizzata "ad ottenere da altro Magistrato un titolo, invocando la medesima causa petendi ed il medesimo petitum di altro giudizio ancora pendente, assume univoco significato di acquiescenza alla statuizione di quel giudizio, contenendo un'inequivoca manifestazione di volontà a non impugnare la sentenza della Corte di Appello di Lecce (...), sicché gli è inibito il ricorso per cassazione contro quella sentenza, ossia gli è inibito il presente ricorso".
2.1. Invero, l'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (configurabile solo anteriormente alla proposizione dell'impugnazione medesima, in quanto, successivamente ad essa, è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione stessa da compiersi nella forma prescritta dalla legge. Cfr. Cass. n. 2670 del 2020), consiste nell'accettazione della decisione, che si qualifica come manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnarla e può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi, siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione (cfr., in motivazione, Cass. n. 12979 del 2023; Cass. n. 34359 del 2021; Cass. n. 21267 del 2020).
2.2. Nella specie, è sicuramente vero che proprio la sentenza oggi impugnata (cfr. pag. 5) ha individuato nel procedimento monitorio lo strumento utilizzabile dall'odierno ricorrente per procurarsi un titolo esecutivo idoneo da utilizzarsi contro la P. per ottenere il pagamento dell'importo di cui oggi si discute; tuttavia, il fatto che il L.B. abbia intrapreso, poi, quel procedimento non può assumere il significato di inequivoca rinuncia di quest'ultimo a proporre l'impugnazione della sentenza appena indicata, ben potendo ricollegarsi quel comportamento anche a mere finalità pratiche ed acceleratorie per l'ipotesi di un eventuale esito negativo dell'impugnazione medesima.
3. Fermo quanto precede, il primo motivo di ricorso, rubricato "Violazione e falsa applicazione dell'art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, e art. 112 c.p.c.". Si assume che la motivazione con la quale la corte salentina ha rigettato il gravame "da un lato, è errata dal momento che nega valore di titolo esecutivo al verbale di separazione omologato, sostenendo che tale caratteristica appartiene solo alle pronunce giudiziali che condannano al pagamento di somme determinate o, comunque determinabili con un semplice calcolo matematico sulla scorta di elementi presenti nel medesimo titolo;
dall'altro, permette, comunque, di stabilire con esattezza il thema decidendum che attraversa il primo e secondo grado e sul quale l'Ecc.ma Corte sarà tenuta a fare chiarezza, e, cioè, se, nel caso che ci occupa, il verbale di separazione omologato concretizza, o meno, titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. (...). La necessità di inquadrare con esattezza il thema decidendum si ritiene indispensabile in quanto la Corte di Appello, più che valutare la validità, o meno, di titolo esecutivo degli accordi di separazione omologati, è parsa, al pari del Tribunale, aver posto in dubbio se le somme ricavabili da detti accordi siano di un certo importo o di un altro. (...). Una simile valutazione, però, e, più precisamente, stabilire se il sig. L.B. avesse diritto ad ottenere dalla moglie la restituzione di tutte le rate anticipate per il mutuo, dal suo sorgere alla sua estinzione, o solo quelle versate successivamente alla separazione, alcuna incidenza poteva avere sulla valenza degli accordi di separazione e del relativo decreto di omologa, e, quindi, sul thema decidendum, cioè se tali accordi avessero, o meno, valore di titolo esecutivo. In altri termini, il valore di titolo esecutivo degli accordi di separazione non dipendeva dal fatto se gli stessi si riferissero a tutte o a parte delle somme versate; infatti, quale che fosse stata la soluzione sul punto, tali accordi comunque avrebbero conservato valore di titolo esecutivo, indipendentemente, cioè, dalle somme cui si riferivano. In alcun modo, però, poteva concludersi, sic et simpliciter, che gli accordi ed il relativo decreto non avevano valore di titolo esecutivo". Si sostiene, inoltre, che il giudice di seconde cure non poteva affermare che "il titolo per cui è causa non fosse esecutivo dal momento che tale caratteristica è riconosciuta solo "alle pronunce giudiziali, che condannano al pagamento di somme determinate o, comunque, determinabili con un semplice conteggio matematico, consentito sulla base di dati già presenti nel titolo medesimo". Tale valutazione è doppiamente errata, dal momento che, da un lato, illegittimamente si esclude che gli accordi di separazione ed il relativo decreto di omologa abbiano valore di titolo esecutivo; dall'altro, perché si è ritenuto che la pronuncia giudiziale, per avere efficacia di titolo esecutivo, debba già contenere somme di danaro determinate o, comunque, determinabili con semplice calcolo matematico sulla scorta dei dati "già presenti nel titolo medesimo"".
3.1. Tale doglianza, che mostra, sostanzialmente, di non aver adeguatamente colto l'effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, si rivela inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1.
3.2. Invero, giova premettere, innanzitutto, che allorquando si contesti il diritto di procedere all'esecuzione forzata perché il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, l'accertamento dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3977 del 2012, Cass. n. 12415 del 2016 e, incidentalmente, Cass. n. 15376 del 2022; Cass. n. 21240 del 2019, Cass. n. 20868 del 2017, Cass. n. 1925 del 2015).
3.3. Nel delineare, poi, la natura giuridica del provvedimento di omologazione della separazione personale, questa Corte ha rimarcato la distinzione fra gli aspetti di natura negoziale sottesi alla separazione consensuale e quelli propri del decreto previsto dall'art. 158 c.c., comma 2, (nel testo, qui applicabile ratione temporis, vigente anteriormente all'avvenuta sua abrogazione disposta dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, art. 1, comma 2, lett. b)), precisando che la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale e che la successiva omologazione è unicamente diretta ad attribuire efficacia dall'esterno all'accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo (cfr. Cass. n. 26202 del 2013; Cass. n. 17607 del 2003). E' stato rilevato, infatti, che l'accordo tra i coniugi costituisce l'elemento fondante della condizione di coniugi separati e del regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché di compiere la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative all'affidamento ed al mantenimento dei minori al loro interesse, e quindi di imprimere efficacia giuridica all'accordo stesso (cfr. Cass. n. 26202 del 2013; Cass. n. 9287 del 1997). Il suddetto provvedimento, in altri termini, realizza - in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli - un controllo solo esterno su tale accordo, attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell'ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse superiore e trascendente della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 18066 del 2014; Cass., n. 10463 del 2018; Cass., SU, n. 21761 del 2021).
3.3.1. L'appena citata Cass., SU, n. 21761 del 2021, inoltre, ha chiarito pure che il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d'udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 c.c..
3.3.2. Alla stregua di tali considerazioni, dunque, deve concludersi che il menzionato accordo di separazione omologato debba farsi rientrare tra i titoli esecutivi di cui all'art. 474 c.p.c., comma 2, n. 3, a tenore del quale, sono altresì titoli esecutivi "gli atti ricevuti da notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli", altresì precisandosi che, essendosi al cospetto di un titolo stragiudiziale, non può trovare applicazione il principio secondo cui, in presenza di un contenuto ambiguo e bisognevole di chiarimenti, è consentita anche l'interpretazione extra-testuale del titolo esecutivo giudiziale, purché avvenga sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo e l'esito non sia tale da attribuire al titolo una portata contrastante con quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione (principio affermato da Cass., SU, n. 11066 del 2012, costantemente riaffermato dalla giurisprudenza successiva, né smentito dalla più recente Cass., SU, n. 5633 del 2022).
3.4. Fermo quanto precede, la decisione oggi impugnata, lungi dal negare, in via generale ed assoluta, come, invece, mostra di aver inteso l'odierno ricorrente, la possibilità che l'accordo di separazione omologato rivesta natura di titolo esecutivo, ha ritenuto, molto più semplicemente, che, nella concreta fattispecie, il titolo azionato - decreto di omologa dell'accordo di separazione intervenuto tra il L.B. e la P. - non avesse una vis executiva idonea al promovimento dell'azione esecutiva perché il credito ivi indicato non era determinato, né determinabile, sicché non avrebbe potuto giustificare la pretesa esecutiva preannunciata.
3.4.1. E' noto, del resto, che, affinché il creditore possa esercitare validamente l'azione esecutiva, sebbene sia sufficiente, oltre che necessario, il possesso di un titolo esecutivo (giudiziale o stragiudiziale), occorre, altresì, che il diritto in esso incorporato possegga i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità (cfr. art. 474 c.p.c., comma 1), sicché anche l'atto redatto da (un notaio o) un pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverlo (tipologia nella quale deve farsi rientrare, come si è già anticipato, il titolo esecutivo stragiudiziale posto a fondamento del precetto di cui oggi ancora si discute), per assumere efficacia esecutiva, deve documentare l'esistenza attuale di una obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro e che, in mancanza di tale requisito, laddove, cioè, esso documenti esclusivamente un credito futuro ed eventuale, lo stesso non può essere integrato con la semplice prova, benché documentale, del fatto successivo generatore dell'obbligazione, occorrendo che anche quest'ultimo sia dotato della medesima forma (cfr. amplius, Cass. n. 52 del 2023, e la copiosa giurisprudenza di legittimità ivi richiamata). E' stato precisato, altresì, che non è possibile ritenere che la riformulazione dell'art. 474 c.p.c., operata nel 2005 con il solo scopo di ampliare il catalogo dei titoli esecutivi anche alle scritture private autenticate, abbia inteso anche modificare l'ambito dell'efficacia esecutiva degli atti pubblici, estendendola alle obbligazioni non risultanti direttamente dall'atto e differenziandola così da quella delle scritture private autenticate, in quanto la necessità che la certezza del credito risulti dall'atto redatto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverlo, deriva dalla stessa ratio della norma, che richiede, ai fini dell'efficacia esecutiva dell'atto, la pubblica fede garantita dal pubblico ufficiale in relazione al suo contenuto, con la conseguenza che tale medesima natura devono possedere tutti i documenti necessari ad attestare l'esistenza attuale del credito, affinché esso possa essere fatto valere direttamente in via esecutiva (cfr. la già citata Cass. n. 52 del 2023).
3.4.2. Nel caso di specie, secondo l'insindacabile accertamento di fatto operato dai giudici del merito (accertamento peraltro oggettivamente indiscutibile, dato il tenore letterale delle pattuizioni ivi richiamate), il titolo azionato dal L.B. non consentiva la determinazione della somma dovuta, atteso che la semplice lettura degli accordi di separazione indicati ai richiamati punti 5 e 6 del relativo verbale omologato (nella misura in cui sono rinvenibili nella sentenza impugnata e nell'odierno ricorso), pur affermando il diritto dello stesso ricorrente alla ripetizione delle somme versate per il mutuo, non consentivano, però, di stabilire se la ripetizione riguardasse le rate già versate prima della separazione ovvero solo quelle versate successivamente, né quante rate lui aveva versato fino alla vendita, non essendo indicato un termine, né, soprattutto, di quantificare, in base ad elementi contenuti nell'atto stesso, quale ne era l'importo complessivo.
3.4.3. Una siffatta conclusione si rivela, dunque, coerente con i principi giurisprudenziali tutti precedentemente richiamati, secondo cui, per valere come titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c., comma 2, n. 3, e, quindi, essere legittimamente posto a base dell'atto di precetto, il titolo (decreto di omologa dell'accordo di separazione intervenuto tra il L.B. e la P.) nella specie azionato non solo avrebbe dovuto essere integrato con la documentazione dell'avvenuto, effettivo e concreto pagamento della somma richiesta in restituzione, ma la suddetta documentazione avrebbe dovuto avere pure le forme previste dall'art. 474 c.p.c., cioè, appunto, quelle dell'atto ricevuto da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverlo, mentre, dalla sentenza impugnata, alcunché risulta essere stato concretamente dimostrato dall'appellante in relazione ad entrambi tali specifici aspetti.
4. Il secondo motivo di ricorso, rubricato "Violazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in applicazione della L. 31 dicembre 2012, n. 347, art. 13, comma 6. Art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2", contesta la sentenza impugnata nella parte in cui, disattendendo il corrispondente motivo di gravame, ha confermato la condanna dell'appellante al pagamento delle spese di primo grado, come liquidate dal tribunale. Assume il ricorrente che, "indipendentemente dal titolo, esecutivo o meno, fatto valere, rimaneva creditore e, quindi, non poteva essere condannato alle spese di lite solo per aver cercato di recuperare quanto dovuto dal debitore, a tal fine evitando il decreto ingiuntivo che avrebbe aggravato l'esposizione debitoria della ex moglie", da ciò traendo la conclusione che sarebbero stati ravvisabili i giusti motivi per disporsene la compensazione.
4.1. Una siffatta doglianza si rivela inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1.
4.2. In proposito, infatti, basta ricordare che la denuncia di violazione della norma di cui all'art. 91 c.p.c., comma 1, trova ingresso, in questa sede di legittimità, solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 18128 del 2020), e tanto non è dato cogliere dal motivo all'esame. Esso, inoltre, omette di considerare che è la statuizione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a compensazione, totale o anche soltanto parziale (cfr., ex multis, Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 11744 del 2004; Cass. n. 6756 del 2004; Cass. n. 10009 del 2003). In altri termini, la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in Cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass. n. 11329 del 2019).
5. In conclusione, dunque, l'odierno ricorso di L.B.A. deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità, atteso il principio di soccombenza, con distrazione, ex art. 93 c.p.c., in favore dell'Avv. Francesca Erroi per dichiarazione di fattone anticipo, altresì dandosi atto, - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 - che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto, mentre "spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento".
5.1. Va respinta, invece, la richiesta della controricorrente di condanna del L.B. ex art. 96 c.p.c., comma 3, non ravvisandosene, ad avviso del Collegio, i relativi presupposti.
6. Va, disposta, da ultimo, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di L.B.A. e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute da P.F., che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, con distrazione, ex art. 93 cod. proc civ., in favore dell'Avv. Francesca Erroi per dichiarazione di fattone anticipo.
Rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c., comma 3, della P..
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, il comma 1-bis.
Dispone, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 31 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2023.