La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16468 del 9 giugno 2023, torna ad occuparsi dei danni da emotrasfusione, fornendo alcuni chiarimenti sulla prescrizione e sui criteri di liquidazione, .
Per quanto riguarda la prescrizione, la Corte precisa che il termine di prescrizione di cinque anni per il risarcimento dei danni derivanti da infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi decorre non dal giorno in cui il terzo causa il danno, o dal momento in cui la malattia si manifesta esternamente, ma dal giorno in cui la malattia viene o può essere percepita come danno ingiusto, utilizzando la normale diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c.).
Inoltre, nei casi di danno da emotrasfusioni, l'ultimo momento di percezione può essere generalmente associato alla richiesta di indennizzo presentata dall'interessato (L. n. 210 del 1992), che certifica una sufficiente e adeguata percezione della malattia, piuttosto che alla data successiva della risposta della commissione medica ospedaliera.
Tuttavia, se il soggetto danneggiato non ha mai presentato una richiesta di indennizzo (ex lege n. 210 del 1992), il giudice dovrà determinare l'origine della prescrizione, tenendo in considerazione la corretta distribuzione degli oneri probatori. La parte che afferma la prescrizione ha l'onere di allegare e provare l'inerzia prolungata nell'esercizio del diritto al risarcimento del danno, che è legata alla conoscibilità iniziale della etiopatogenesi (art. 2697, comma 2, c.c.).
La Corte ha anche stabilito che in difetto di ogni espressa informazione medica che suggeriscano una possibile causa di una malattia legata alla storia clinica passata del paziente, il termine di prescrizione può non iniziare fino alla morte del paziente. In questo caso, il diritto al risarcimento per l'illecito si trasferisce agli eredi.
Per quanto riguarda la liquidazione del danno, la Corte ha ricordato che, in assenza di criteri legislativi, non è generalmente consentito un risarcimento equitativo puro, non basato su criteri oggettivi. Un risarcimento equitativo "puro" è ammissibile solo in presenza di circostanze particolari adeguatamente motivate.
Nel caso di specie, la quantificazione del danno effettuata dal giudice di merito ha prodotto un importo notevolmente inferiore al limite minimo stabilito dalle tabelle di Milano per la liquidazione del danno parentale.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n. 16468 del 09/06/2023
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2005 L.C. e i figli, P.S., + Altri Omessi, in proprio e quali eredi del defunto PR.SA., rispettivamente marito e padre degli attori, convenivano in giudizio il Ministero della Salute per sentirlo condannare al risarcimento dei danni loro derivanti sia iure hereditatis che iure proprio dalla emotrasfusione subita dal Pr. nel (Omissis), in occasione di una operazione chirurgica, dalla quale gli era derivato il contagio da epatite C che successivamente lo aveva portato alla morte, sopraggiunta nel (Omissis) per cirrosi epatica in paziente con epatopatia cronica anti-HCV positivo.
2. Il tribunale adito dichiarava prescritto il diritto al risarcimento del danno proposto dagli attori iure hereditatis; rigettava invece l'eccezione di prescrizione formulata dal Ministero quanto alla domanda di risarcimento dei danni proposta dagli eredi in proprio, e tuttavia la rigettava nel merito, affermando che né i figli né la moglie avessero provato - e neppure chiesto di provare - il rapporto di convivenza col defunto.
3. I signori P. e L. proponevano appello, deducendo che la malattia rimase latente per quasi tutto il periodo della vita del congiunto, il quale, anche a causa del poco elevato livello di istruzione (avendo frequentato solo la prima elementare), non avrebbe potuto sapere che il virus circolava anche attraverso il sangue infetto e non sarebbe stato in grado di ricollegare l'insorgere della malattia alle trasfusioni eseguite nel (Omissis).
4. La Corte d'appello di Lecce, con la sentenza qui impugnata, riformava in parte la sentenza di primo grado, riconoscendo agli eredi il diritto al risarcimento del danno iure proprio, indicando il dies a quo della prescrizione nel giorno della morte del signor Pr., mentre reputava prescritto il diritto al risarcimento del danno sofferto dal de cuius e trasmesso agli eredi iure successionis.
5. P.S., + Altri Omessi, in proprio e quali eredi della defunta signora L.C. e del signor PR.SA., propongono ricorso per cassazione nei confronti del Ministero della Salute, articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria, per la cassazione della sentenza n. 1090 del 2019 emessa dalla Corte d'appello di Lecce in data 19 luglio 2019.
6. Il Ministero della Salute resiste con controricorso.
7.Il Procuratore generale non ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo i signori P. deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2947, 2697, 2727, 2729 c.c., per aver la Corte d'appello ritenuto erroneamente fondata l'eccezione di prescrizione del danno subito da PR.SA. in proprio, avendo fissato, erroneamente, la decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale del Ministero a far data da una certificazione del 1999 (ovvero dalla certificazione in cui si diagnosticavano, a carico del defunto sig. Pr., neoformazioni epatiche in soggetto con epatopatia cronica anti HCV positiva), e avendo erroneamente legato a quella data la consapevolezza, in capo alla vittima, sia della patologia contratta sia della riconducibilità causale della malattia alle emotrasfusioni subite in precedenza (nel 1992, in occasione di un intervento di coxoartrosi, o forse ancora prima, nel 1983, come accertato dal c.t.u.).
2. Con il secondo motivo si censura la violazione o falsa applicazione della Costituzione, art. 3 e degli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, là dove la Corte d'appello di Lecce, nel liquidare in loro favore il danno non patrimoniale subito iure proprio, originato dalla perdita del rapporto parentale, non ha applicato le tabelle del Tribunale di Milano, delle quali avevano chiesto l'applicazione, né ha indicato quale sia stato il criterio seguito per la liquidazione del danno.
I ricorrenti si dolgono anche della misura del risarcimento, pari a 40.000 Euro in favore della moglie, 20.000,00 in favore del figlio convivente e 10.000 Euro ciascuno per gli altri figli, segnalando che essa sia di gran lunga inferiore a quanto sarebbe stato loro liquidato ove fossero state applicate - come da loro richiesto - le tabelle seguite dal Tribunale di Milano, anche se il giudice avesse ritenuto di determinare la misura del risarcimento nel limite minimo indicato dalla "forbice" presa in considerazione dalle predette tabelle per il danno da perdita del rapporto parentale.
Evidenziano inoltre l'incongrua differenziazione della misura del risarcimento tra i figli, in considerazione del dato, non determinante per graduare la sofferenza personale e la gravità della perdita, della convivenza o meno col defunto padre.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1224,1282 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c., per avere la Corte d'appello riconosciuto su queste somme gli interessi a far data dal deposito della sentenza anziché dal verificarsi dell'evento, pur trattandosi di illecito aquiliano.
Sostengono che la Corte d'appello di Lecce avrebbe seguito un criterio ibrido e comunque errato, avendo provveduto alla liquidazione delle somme rivalutate all'attualità, e riconoscendo gli interessi legali soltanto dalla sentenza al soddisfo.
4. In subordine, i ricorrenti propongono un quarto motivo di impugnazione per violazione degli artt. 101, comma 2, e 359 c.p.c. nonché degli artt. 2938,2935,2697 c.c., assumendo che la Corte d'appello di Lecce, nell'accogliere l'eccezione di prescrizione, avrebbe fondato l'eccezione su fatti diversi rispetto a quelli rappresentati da parte dello stesso Ministero convenuto a fondamento della sua eccezione senza sollecitare il contraddittorio sul punto.
Segnalano che il tribunale aveva ritenuto che la prescrizione decorresse dal 1994, cioè da quando l'epatite C venne diagnosticata per la prima volta al signor Pr., secondo quanto eccepito dal Ministero della Salute. La sentenza d'appello invece, pur confermando la valutazione di prescrizione del diritto del de cuius, avrebbe spostato in avanti di cinque anni la decorrenza iniziale del termine prescrizionale, ancorandola non al primo certificato medico in cui venne diagnosticata la patologia, ma ad un secondo certificato medico, del 1999 appunto, in cui al Pr. vennero diagnosticate gli aggravamenti che lo portarono alla morte (presenza di neoformazioni epatiche in soggetto con epatite C cronica). Sostengono che il giudice d'appello non avrebbe sollecitato il contraddittorio sul punto, in tal modo privandoli della possibilità di sviluppare le loro difese in riferimento a tale diverso termine di decorrenza, in relazione al quale avrebbero potuto evidenziare l'esistenza di una richiesta di risarcimento danni formulata stragiudizialmente il 10 febbraio 2004, atta a valere come atto interruttivo della prescrizione.
5. Il primo e il secondo motivo sono fondati, per le ragioni di seguito esposte.
Nella motivazione del provvedimento impugnato si afferma, a pag. 5, che era inevitabile che dalla conoscenza della certificazione del 1999, che diagnosticava al sig. Pr. l'esistenza di neoformazioni epatiche in soggetto con epatopatia cronica anti HCV positiva, dovesse formarsi, in capo allo stesso, la consapevolezza della derivazione causale di quella patologia da un evento trasfusionale risalente a molti anni addietro (tra l'altro, la corte d'appello retrodata la causa del contagio non alla trasfusione del (Omissis), indicata dai ricorrenti, ma ad un altro episodio, individuato dal c.t.u. e risalente al 1983). Aggiunge che la vittima avrebbe potuto e dovuto maturare detta consapevolezza usando l'ordinaria diligenza. Per questo motivo, si afferma l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno vantato iure proprio da PR.SA..
Le affermazioni che precedono, espresse dalla corte d'appello, sono errate in diritto, oltre che prive di una adeguata giustificazione motivazionale.
La decisione impugnata si pone, sul punto, in contrasto con il principio di diritto, consolidatamente affermato da questa Corte in relazione al danno da emotrasfusioni, secondo il quale il termine quinquennale di prescrizione per l'esercizio del diritto al risarcimento dei danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita, o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.
Incorre, pertanto, nella falsa applicazione dell'art. 2935 c.c., il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione (Cass. n. 24164 del 2019).
Pertanto, la consapevolezza della riconducibilità causale della malattia non può dedursi sulla sola base della documentazione medica attestante la presenza attuale della malattia, se essa non sia integrata da un accertamento dal quale risulti che siano state fornite al paziente adeguate informazioni in merito alla riconducibilità causale della stessa.
6. A ciò deve aggiungersi che, in caso di danno da emotrasfusioni, nella maggior parte dei casi il momento ultimo di maturazione di tale consapevolezza può ragionevolmente ancorarsi alla proposizione, da parte dell'interessato, della domanda amministrativa volta alla corresponsione dell'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 che attesta l'esistenza, in capo all'interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia, e non alla data, successiva, della comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla l. n. 210 del 1992, art. 4 (in questo senso v. Cass. n. 16217 del 2019; Cass. 10190 del 2022).
Nei casi in cui invece, come nella specie, il soggetto danneggiato non abbia mai presentato domanda di corresponsione dell'indennizzo ex lege n. 210 del 1992, il giudice dovrà accertare l'exordium praescriptionis, tenendo in conto la corretta distribuzione degli oneri probatori, secondo la quale è la parte che eccepisce la prescrizione che ha l'onere di allegare e provare, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c., il fatto temporale costitutivo dell'eccezione di prescrizione, ossia la prolungata inerzia nell'esercizio del diritto al risarcimento del danno, in quanto riconducibile al termine iniziale di oggettiva conoscibilità della etiopatogenesi (Cass. n. 12182 2021).
Dovrà a tal scopo verificare se nella documentazione medica in possesso della vittima, prodotta in giudizio, sia indicata la causa della contrazione della patologia o, in mancanza, se, sulla base del contenuto delle comunicazioni mediche che la vittima aveva ricevuto e del patrimonio di informazioni scientifiche di cui un soggetto medio possa disporre, in relazione alla data cui queste risalgono, possa ritenersi provato che questi abbia acquisito consapevolezza della riconducibilità causale della propria infermità. Dovrà anche motivatamente collocare nel tempo il momento di acquisizione di tale consapevolezza (i ricorrenti sostengono che la vittima non ebbe mai contezza, in vita, della origine della sua malattia, e per questo non presentò mai domanda di indennizzo, mentre furono loro, a mezzo di una perizia postuma, ad individuarla nel 2002, ripercorrendo a ritroso nel tempo, con l'aiuto dell'esperto a tale scopo individuato, la storia clinica del loro congiunto).
In difetto di ogni espressa informazione medica che espliciti la anche solo possibile riconducibilità causale di una patologia a un fatto della storia clinica passata del paziente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno può non iniziare a decorrere fino alla morte del paziente. Nel caso che il termine di prescrizione non abbia mai iniziato a decorrere, per le ragioni indicate, o che esso non si sia consumato alla morte della vittima, il diritto al risarcimento del danno per l'illecito lungolatente patito dalla vittima si trasferisce agli eredi che possono farlo valere iure hereditatis.
La sentenza, dunque, erra nell'individuare il principio da applicare per l'individuazione del decorso iniziale della prescrizione.
Sotto il profilo motivazionale, omette poi del tutto di spiegare perché il sig. Pr. (che aveva frequentato solo la prima elementare, ma analogo ragionamento varrebbe facendo riferimento alle conoscenze scientifiche facenti parte del patrimonio culturale dell'uomo medio, secondo il parametro dell'ordinaria diligenza) avrebbe dovuto capire da quella certificazione del (Omissis), in cui, sulla base dell'affermazione della corte d'appello, non era indicato nulla circa la causa, assai risalente nel tempo, delle sue attuali patologie, che esse fossero da mettere in collegamento causale con quelle lontane trasfusioni.
Sarà poi oggetto del giudizio di merito la perimetrazione dell'area del danno risarcibile, ovvero accertare se il Ministero, in ragione della patologia causata a sua volta dalla trasfusione, abbia causato la morte del Pr., o solo l'accelerazione del percorso che lo ha portato alla morte, e quindi se il contagio si ponga, rispetto all'evento morte, come causa esclusiva o come concausa.
7. Anche il secondo motivo, relativo al risarcimento del danno iure proprio, da perdita del rapporto parentale, riconosciuto in favore dei congiunti del Pr., è fondato.
Pur avendo i ricorrenti fatto richiesta della applicazione delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (e in subordine di quelle in uso presso il Tribunale di Roma), per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, la corte d'appello ha liquidato in loro favore il danno non patrimoniale, sulla base della mera enunciazione di alcune circostanze di fatto che assume di aver tenuto in considerazione (età della vittima al momento del decesso, non coabitazione di tutti i figli con il padre al momento della morte, incidenza della perdita su un nucleo familiare numeroso, durata e intensità dell'afflizione), senza indicare alcun criterio tabellare di riferimento.
La valutazione si pone quindi in contrasto con il principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, secondo il quale nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, di regola, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica "ex post" del ragionamento seguito dal giudice in ordine all'apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo (Cass. n. 20985 del 2015). La liquidazione equitativa "pura" (che si discosti, cioè, dai valori astrattamente predisposti dalle tabelle in uso) è ammissibile solo allorché ricorrano circostanze peculiari, delle quali sia fornita logica e congrua motivazione (Cass. n. 36297 del 2022).
Nel caso di specie, la quantificazione del danno si è tradotta, secondo un ragionamento determinativo la cui logica non è esplicitata né in alcun modo verificabile, in un importo di gran lunga inferiore al limite minimo della "forbice" all'epoca della decisione prevista dalle tabelle di Milano per la liquidazione del danno parentale.
La sentenza deve essere cassata, e la causa rinviata al giudice di merito, perché provveda ad una rinnovata liquidazione del danno non patrimoniale subito dai congiunti del defunto sig. Pr., facendo applicazione di un criterio tabellare, con la precisazione che le tabelle milanesi, nella loro ultima versione pubblicata nel giugno del 2022, costituiscono idoneo criterio per la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto idoneamente modificate introducendo il sistema "a punto variabile" (il cui valore base è stato ricavato muovendo da quelli previsti dalla precedente formulazione "a forbice"), che prevede l'attribuzione dei punti in funzione dei cinque parametri corrispondenti all'età della vittima primaria e secondaria, alla convivenza tra le stesse, alla sopravvivenza di altri congiunti e alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta, ferma restando la possibilità, per il giudice di merito, di discostarsene procedendo a una valutazione equitativa "pura", purché sorretta da adeguata motivazione, in casi in cui esse si rivelino inadeguate a fronte della estrema particolarità della situazione (v. di recente Cass. n. 37009 del 2022)
8. A fronte dell'accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso il terzo e il quarto rimangono assorbiti.
9. La sentenza è cassata e la causa è rinviata alla Corte d'appello di Lecce in diversa composizione che deciderà, conformandosi ai principi di diritto sopra enunciati, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo, dichiara assorbiti il terzo e il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2023.