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Vittima di tratta? Sì alla protezione internazionale

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17448 del 19/06/2023

La riduzione di una persona in stato di schiavitù può configurare un trattamento persecutorio rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato?

È il quesito a cui risponde la Prima Sezione della Cassazione con l’ordinanza n. 17448 del 19 settembre 2023.

La questione si era posta in relazione al caso di una donna nigeriana, fuggita dal proprio paese e costretta a prostituirsi in Svezia per saldare il debito contratto per il viaggio. In Italia, aveva richiesto al Tribunale di Bologna il riconoscimento dello status di rifugiato. Tuttavia, nonostante la credibilità del suo racconto, il tribunale aveva concesso solo la protezione umanitaria, ritenendo insussistenti i presupposti per quella internazionale, una decisione poi confermata dalla Corte d'Appello.

La donna ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della richiedente asilo, ha affermato che le vittime di tratta possono rientrare nel "particolare gruppo sociale" previsto dalla lettera d) del D.Lgs. n. 251-07, art. 8. Inoltre, la stessa Corte d'Appello, nel riconoscere i presupposti per la protezione umanitaria, aveva parlato di "un'aperta aggressione della libertà e della dignità della donna".

Secondo la Corte, quanto subito dalla vittima della tratta non riguarderebbe la generalità dei suoi connazionali, ma solo coloro che, essendo donne (in particolare le più povere e fragili), sono esposte al fenomeno della tratta finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Questo viene quindi definito come persecuzione di genere, in quanto il reclutamento forzato o ingannevole di donne e minori per fini di prostituzione forzata o sfruttamento sessuale costituisce una forma di violenza legata al genere, che può costituire persecuzione.

In ultimo, la Cassazione ha precisato che non si può dare alcun rilievo alla liceità o tolleranza di tale trattamento persecutorio nel Paese di provenienza del richiedente, poiché ciò vanificherebbe l'essenza stessa della tutela internazionale, volta a garantire al richiedente, in fuga dal proprio Paese, la protezione dei suoi diritti inalienabili di persona, tra cui certamente rientra quello alla libertà personale.

Riduzione di persona in stato di schiavitù, trattamento persecutorio, riconoscimento dello status di rifugiato, rilavanza

La riduzione di una persona in stato di schiavitù configura un trattamento persecutorio, rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato non potendosi attribuire alcun rilievo alla liceità o tolleranza di quel trattamento nel Paese di provenienza del richiedente, poiché altrimenti si vanificherebbe l'essenza stessa della tutela internazionale, che è proprio quella di assicurare al richiedente, in fuga dal proprio Paese, la tutela dei suoi diritti inalienabili di persona, tra i quali certamente rientra quello alla libertà personale.

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Cassazione civile sez. I, ord 19/06/2023, (ud. 03/04/2023, dep. 19/06/2023), n. 17448

FATTI Dl CAUSA

La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il ricorso di P.O.E., nata a (Omissis) volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato.

La richiedente asilo aveva riferito di essere fuggito dal proprio paese in quanto aveva fatto la conoscenza di tale F., donna di circa (Omissis) anni, che si mostrava disponibile ad assisterla, dichiarandole che l'avrebbe aiutata a raggiungere l'Europa e, una volta qui, ad accedere ad una scuola, grazie alla quale avrebbe potuto imparare un mestiere (parrucchiera, colf, cameriera) che le avrebbe consentito di aiutare economicamente la madre ed i fratelli.

F. pagava le spese del viaggio e la P.O.E., attraverso il Niger, giungeva in Libia, dove, rinchiusa in un centro di detenzione per migranti, veniva malmenata, abusata sessualmente e lasciata senza cibo ed acqua. Dopo una settimana di permanenza all'interno della struttura, la ricorrente veniva fatta salire su un'imbarcazione diretta in Italia e, una volta arrivata, veniva trasferita presso un centro di accoglienza ubicato a (Omissis).

Qui veniva raggiunta da un connazionale, il compagno di F., che la conduceva a Reggio Emilia: soltanto a questo punto la ricorrente veniva messa a conoscenza dell'entità del debito contratto con F. per il viaggio (Euro 30.000,00), che avrebbe dovuto restituire prostituendosi fino alla sua estinzione. Essendo stata sottoposta prima della partenza dalla Nigeria al rituale del giuramento, la stessa si sentiva psicologicamente soggiogata ed era spaventata dall'idea che qualcosa di atroce potesse accadere a lei o a membri della sua famiglia qualora si fosse sottratta alle richieste della madame.

Per tale motivo aveva accettato di prostituirsi in Svezia. Successivamente, tornata in Italia, Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 23.05.2019 depositata in pari data (proc. n. 12462-2017 R.G.), accoglieva parzialmente il ricorso, concludendo per la credibilità del racconto dell'istante e riconoscendole però la sola protezione umanitaria, ritenendo insussistenti i presupposti per quella internazionale.

Il Ministero dell'Interno impugnava la decisione, richiedendo la riforma dell'ordinanza in punto riconoscimento della protezione umanitaria; si costituiva in giudizio la signora P., proponendo appello incidentale, con il quale lamentava l'omesso riconoscimento dello status di rifugiato stante l'errata applicazione dell'art. 1, lett. A, punto 2 della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951, nonché, con il secondo motivo, la violazione D. lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in merito al riconoscimento della protezione sussidiaria. Da ultimo, la difesa della signora P. chiedeva il rigetto dell'appello principale e, in estremo subordine, la conferma dell'ordinanza impugnata, sollevando questione di legittimità costituzionale per violazione della Cost., artt. 70, 77, 10, comma 2, e Cost , 117, comma 1, in caso di applicazione retroattiva del D.L. n. 113-2018.

La Corte di Appello di Bologna in data 23.11.2021, respingeva integralmente l'appello principale e quello incidentale, confermando l'ordinanza del Tribunale di Bologna del 23.5.2019, con sentenza n. 571/2022 pubblicata l'11.3.2022. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ricorrente affidato a due motivi. Il Ministero dell'Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di ricorso da trattarsi congiuntamente la ricorrente denuncia:

1) Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.p. in relazione al D.Lgs. n. 251-07, artt. 2, comma 1, lett. e), 5, comma 1, lett. c), 7, commi 1 e 2, ed 8, comma 1, lett. d), con riferimento all'erronea ricostruzione della disciplina in materia di status di rifugiato;

2) Violazione dell'art. 360, n. 4), c.p.c., a fronte della nullità della sentenza derivante da vizio assoluto di motivazione ai sensi dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per assenza di argomentazioni relative all'insussistenza dei presupposti applicativi della disciplina dello status di rifugiato.

La Corte d'Appello di Bologna sosteneva di non poter riconoscere alla ricorrente lo status di rifugiata a fronte dell'assenza dei presupposti applicativi dell'istituto, con particolare riguardo ai "motivi di persecuzione" di cui al D.Lgs. n. 251-07, art. 8, non argomentando però sul punto, ma limitandosi ad escluderne l'operatività.

Il ricorso è fondato e deve essere accolto in relazione ad entrambi i motivi.

Infatti quanto ai "motivi di persecuzione", le vittime di tratta possono rientrare entro "il particolare gruppo sociale" di cui alla lettera d) del D.Lgs. n. 251-07, art. 8, senza contare che la stessa Corte d'Appello, nel riconoscere i presupposti per la protezione umanitaria, parlava di "un'aperta aggressione della libertà e della dignità della donna", con ciò ribadendo il fatto che quanto già subito e subendo dalla P. non riguarderebbe la generalità dei suoi connazionali, ma coloro che sono donne (in particolare le più povere e fragili) e, per questa ragione, esposte al fenomeno della tratta finalizzato allo sfruttamento della prostituzione. Si tratta quindi di una persecuzione di genere, atteso che "il reclutamento forzato o ingannevole di donne e minori per fini di prostituzione forzata o sfruttamento sessuale è una forma di violenza legata al genere, che può costituire persecuzione.

In particolare, la tratta di essere umani è definita dall'art. 3 del "Protocollo addizionale del 15.11.2000 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone" nei seguenti termini: "Il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l'asservimento o il prelievo di organi"28. Alle vittime di tratta ai fini dello sfruttamento sessuale può quindi essere riconosciuto lo status di rifugiato, così come definito dall'art. 1A (2) della Convenzione di Ginevra del 1951, considerato che tale sfruttamento costituisce un motivo di persecuzione individuale, riconducibile all'appartenenza della richiedente ad un determinato gruppo sociale, vale a dire, per l'appunto, quello delle vittime di tratta.

Questa Corte ha affermato che "la riduzione di una persona in stato di schiavitù configura un trattamento persecutorio, rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non potendosi attribuire alcun rilievo alla liceità o tolleranza di quel trattamento nel Paese di provenienza del richiedente, poiché altrimenti si vanificherebbe l'essenza stessa della tutela internazionale, che è proprio quella di assicurare al richiedente, in fuga dal proprio Paese, la tutela dei suoi diritti inalienabili di persona, tra i quali certamente rientra quello alla libertà personale" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17186 del 14/08/2020)

Per quanto sopra si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte di merito anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte di Cassazione, il 3 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2023.

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