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Assegno di separazione, rilevano le condizioni economiche dei suoceri?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17805 del 21/06/2023

Le condizioni economiche dei genitori del soggetto obbligato rilevano ai fini della quantificazione dell'assegno di separazione?

Con la recente ordinanza n. 17805 del 21 giugno 2023, la Prima Sezione della Cassazione ha risposto di no.

La Suprema Corte ha infatti ribadito che il diritto al mantenimento, che scaturisce dalle condizioni previste dall'art. 156 c.c., è strettamente collegato alla persistenza di alcuni obblighi che derivano dal matrimonio. Tali obblighi sono specifici e gravano unicamente sui coniugi, non includendo i genitori.

Una volta che il figlio diventa autonomo e fonda un proprio nucleo familiare, i genitori non hanno più alcun obbligo giuridico nei suoi confronti. Quindi, se i genitori continuano a dare aiuto economico, questi vengono considerati come atti di liberalità e non possono essere presi in considerazione come reddito del soggetto obbligato.

Nel caso di specie, la moglie richiedeva l'assegno di separazione sostenendo che fosse rilevante il benessere economico della madre del marito, che possedeva e usufruiva di diversi immobili locati a terzi.

Tuttavia, la Cassazione ha respinto il ricorso della donna, confermando la decisione del giudice di merito. La negazione dell'assegno di mantenimento è stata motivata da due ragioni principali:

  1. la moglie era giovane e aveva ingiustificatamente rifiutato una proposta di inserimento lavorativo;
  2. il marito le stava pagando il canone di locazione dell'appartamento nel quale vive con la figlia, uno sforzo economico che era adeguato alle sue possibilità.

Quindi, in conclusione occorre ricordare che le condizioni economiche dei genitori del soggetto obbligato non influiscono sull'assegno di separazione.

Separazione fra i coniugi, diritto al mantenimento, obblighi gravante sui coniugi e non anche sui loro genitori

Il diritto al mantenimento, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 156 c.c., è fondato sulla persistenza, durante lo stato della separazione, di alcuni degli obblighi derivanti dal matrimonio, che gravano esclusivamente sui coniugi e non anche sui loro genitori. Inoltre, i genitori, una volta che il figlio sia divenuto autonomo e abbia fondato un proprio nucleo familiare, non hanno più alcun obbligo giuridico nei suoi confronti, sicché eventuali elargizioni, anche se continuative, costituiscono atti di liberalità e non possono essere considerate reddito del soggetto obbligato.

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 21/06/2023 (ud. 11/05/2023) n. 17805

RILEVATO CHE

C.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, esponendo che: il Tribunale di Roma ha dichiarato la separazione giudiziale dal marito, respingendo le domande di addebito; ha posto a carico del padre un assegno di mantenimento per la figlia G. ((Omissis)), di Euro 400,00 mensili oltre assegni familiari e spese straordinarie e ha respinto la domanda di mantenimento da lei proposta; di avere proposto appello, che la Corte d'appello di Roma ha respinto condannandola alle spese del giudizio rilevando che correttamente il Tribunale ha ritenuto la inammissibilità delle prove orali articolate dalle parti per difetto di specificità nella capitolazione, e rigettato la domanda di addebito; che è congruo l'assegno di mantenimento disposto in favore della figlia; che non spetta assegno di mantenimento alla moglie sufficientemente giovane, ed alla quale i servizi sociali avevano offerto un progetto per l'orientamento al lavoro che ha respinto; tenuto conto dell'entità dell'impegno economico assunto dal T. per il mantenimento della figlia e per l'alloggio goduto anche dalla madre e del rifiuto espresso della C. di intraprendere il percorso per inserirsi nel mondo del lavoro ha ritenuto la sua domanda di contribuzione non accoglibile.

La C. si affida a quattro motivi di ricorso per cassazione. Si è costituito T. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria. La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata dell'11 maggio 2023.

RITENUTO CHE

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 l'omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione da tra le parti. La ricorrente censura la ricostruzione delle condizioni patrimoniali del T. operata nella sentenza impugnata, deducendo che la Corte non ha considerato un aspetto dedotto nel secondo motivo di gravame, ove ella ha prospettato che le ore di lavoro prestate mensilmente dal marito fossero molte di più di quelle risultanti in busta paga e chiedendo di provare dette circostanze. Deduce che la Corte non ha reso alcuna considerazione sul tema introdotto dall'istante, e di essere assolutamente certa che le ore di lavoro del T. sono 100 in più rispetto a quelle risultanti dalla busta paga; sul punto ha chiesto interrogatorio formale e prova testi.

Rileva che ove fosse riuscita a provare che il coniuge lavorava molto più tempo rispetto a quanto indicato nei prospetti retributivi, le buste paga avrebbero perduto il loro valore probatorio, mentre la Corte ha reso il suo giudizio sul presupposto il T. percepisca una paga di Euro 1.300,00 mensili riferendosi ai prospetti retributivi.

2. Il motivo è inammissibile.

La parte non prospetta un fatto decisivo, inteso come accadimento storico naturalistico e non come argomentazione difensiva (sul punto v. Cass. s.u. n. 8053 del 07/04/2014; Cass. n. 2268 del 26/01/2022) il cui esame sarebbe stato in ipotesi omesso dalla Corte d'appello, bensì critica la valutazione delle prove resa dal giudice di merito, che hanno ricostruito la situazione patrimoniale del T. facendo affidamento su quanto risulta dalla documentazione relativa ai redditi percepiti, essendo il T. un lavoratore dipendente e avendo una busta paga.

Questi documenti, secondo la ricorrente sarebbero inaffidabili in quanto ella si è offerta di provare che il T. lavora più ore di quanto riportato in busta paga. In questa sede tuttavia la parte non può dolersi che non sia stata ammessa la prova sul punto, poiché come si rende evidente dalla motivazione della sentenza, il giudice di merito ha implicitamente ritenuto irrilevante questo argomento difensivo, rispetto alla produzione di una documentazione proveniente dal datore di lavoro, ritenuta all'evidenza una fonte di prova più affidabile.

Costituisce infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle prove non è censurabile in cassazione (Cass. n. 37382 del 21/12/2022) e che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. sez. un. 34476 del 27/12/2019). L'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. 8053 del 07/04/2014).

3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 l'omessa pronuncia con violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. La ricorrente deduce che Corte, nel ricostruire la situazione economica del T., ha omesso di considerare un significativo aspetto ben dedotto nell'atto di appello laddove si è prospettato che le ore di lavoro prestate fossero molto di più di quel risultanti dalle buste paga ex adverso prodotte.

Il motivo è inammissibile.

Si tratta della medesima questione prospettata con la prima censura, qui proposta sotto il profilo del vizio di omessa pronuncia. Valgono pertanto le considerazioni sopraesposte, alle quali si può aggiungere che, nella fattispecie, il bene della vita richiesto, e sul quale i giudici di merito avevano il dovere di pronunciarsi, non è l'accertamento di una (eventuale) prestazione lavorativa irregolare, ma il riconoscimento e la quantificazione di un assegno di mantenimento; su questo punto la Corte si è pronunciata, rendendo una valutazione di merito -di cui non si può sollecitare la revisione in questa sede- sulle condizioni economiche delle parti, sui presupposti dell'assegno e sull'adeguatezza del contributo.

4.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 155,156 comma 2 e 337 ter c.c. La parte deduce che ha errato la Corte a non tenere conto del benessere di cui gode la madre del resistente che è proprietaria ed usufruttuaria di diversi immobili locati a terzi.

La Corte avrebbe erroneamente escluso che la situazione patrimoniale della madre del T. possa incidere sul quantum dell'assegno ritenendo così che debba rilevare solo il contesto patrimoniale del figlio, pur essendo pacifica tra le parti la convivenza di quest'ultimo con la madre mentre di contro, oltre che i redditi dell'obbligato, si devono valutare tutte le circostanze quindi ogni elemento di ordine economico dotato di incidenza sulle condizioni delle parti.

5. Il motivo è infondato.

La censura non si confronta con la effettiva ratio decidendi, poiché la Corte di merito ha tenuto conto -in punto di fatto- che il T. fruisce dell'aiuto della sua genitrice per pagare il canone locazione della casa dove abita la C. con la figlia.

In ogni caso è erroneo l'assunto che, ai fini dell'assegno di separazione in favore del coniuge possano rilevare le condizioni economiche dei genitori del soggetto obbligato.

Il diritto al mantenimento, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 156 c.c., è fondato sulla persistenza, durante lo stato della separazione, di alcuni degli obblighi derivanti dal matrimonio, che gravano esclusivamente sui coniugi e non anche sui loro genitori. Inoltre, i genitori, una volta che il figlio sia divenuto autonomo e abbia fondato un proprio nucleo familiare, non hanno più alcun obbligo giuridico nei suoi confronti, sicché eventuali elargizioni, anche se continuative, costituiscono atti di liberalità e non possono essere considerate reddito del soggetto obbligato (Cass. n. 10380 del 21/06/2012; in termini, in tema di assegno divorzile si veda Cass. n. 15774 del 23/07/2020).

Gli ascendenti sono tenuti soltanto, in via subordinata sussidiaria, a fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli, qualora entrambi i genitori non possano o non vogliano mantenerli (Cass. n. 10419 del 02/05/2018), questione che qui non viene in rilievo.

6. Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 143 c.c. rilevando che ha errato la Corte a valorizzare la giovane età della ricorrente e la circostanza che le è stato offerto un percorso di inserimento nel mondo del lavoro posto che non si tratta di una proposta di lavoro concreta, ma di un inserimento futuro e ipotetico; di contro ella non ha redditi e non rileva l'astratta attitudine e la generica capacità di lavoro, avendo ella sempre svolto attività di casalinga.

Il motivo è inammissibile.

La censura non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, ove il diniego dell'assegno di mantenimento è motivato, in primo luogo, sul rilievo che la richiedente non solo è giovane, ma che le è stato prospettato un percorso di inserimento lavorativo ingiustificatamente rifiutato, il che inquadra in una dimensione concreta la capacità lavorativa derivante dalla giovane età; in secondo luogo, valorizzando la circostanza che ella gode di una prestazione economicamente apprezzabile da parte del coniuge separato e cioè il pagamento del canone di locazione dell'appartamento ove abita con la figlia e che questo è il complessivo sforzo economico che può richiedersi al T., adeguato alle sue possibilità economiche.

Si tratta di un giudizio di fatto di cui in questa sede non si può chiedere la revisione.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, Euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2023.

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