In tema di affidamento di figli minori, la prescrizione di un percorso psicoterapeutico ai genitori rappresenta un condizionamento, anche se ritenuto non vincolante, che contrasta con l'art. 13 e l'art. 32, comma 2 della Costituzione Italiana.
È quanto ribadito dalla Cassazione, Sezione Prima Civile, con l'ordinanza n. 17903 del 22 giugno 2023, occupandosi di un procedimento di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento e il mantenimento della prole.
La Suprema Corte ha precisato che mentre l'intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell'interesse del minore, la prescrizione di un percorso psicoterapeutico ha lo scopo di realizzare la maturazione personale delle parti, un diritto strettamente legato al loro diritto di autodeterminazione.
Nel caso di specie, il decreto impugnato non imponeva un vero e proprio obbligo, ma un invito giudiziale alla madre di intraprendere un percorso psicoterapeutico per superare le criticità del suo rapporto madre-figlia. Questa disposizione, tuttavia, rappresenta comunque una forma di condizionamento capace di influire sulla libertà di autodeterminazione alla cura della propria salute, garantita dall'art. 32 della Costituzione.
I giudici di legittimità hanno quindi cassato la decisione impugnata e rinviato la causa alla Corte di Appello, in diversa composizione.
In tema di affidamento dei figli minori, la prescrizione ai genitori di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme, di sostegno alla genitorialità, comporta comunque, anche se ritenuta non vincolante, un condizionamento, per cui è in contrasto con l'art. 13 Cost. e art. 32 Cost., comma 2, atteso che, mentre l'intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell'interesse del minore, quella prescrizione è connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione.
Cassazione civile, sez. I, Ordinanza 22/06/2023 (ud. 06/06/2023) n. 17903
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Considerato che:
C.G.S. chiedeva al Tribunale di Vibo Valentia la modifica delle condizioni di divorzio - concordate in sede di negoziazione assistita ed autorizzate con decreto del 15.6.2018 - deducendo che, dal settembre 2018, il figlio A. (n. (Omissis)) si era trasferito definitivamente a vivere con il padre; conseguentemente ne chiedeva la collocazione prevalente presso la propria abitazione; disciplinarsi il diritto di visita e i reciproci obblighi di mantenimento dei figli non conviventi.
Il Tribunale disponeva la collocazione prevalente del figlio A. presso l'abitazione del padre e la nomina di un mediatore familiare nonché l'obbligo a carico ciascun genitore di contribuire al mantenimento del figlio non convivente nella misura di Euro 400,00 mensili.
Avverso tale decisione ha proposto reclamo V.A. censurando il mancato affidamento esclusivo, a sé stessa, della figlia G..
Con decreto n. 3687/2021 la Corte di appello di Catanzaro rigettava il reclamo ritenendo condivisibile la pronuncia di affidamento condiviso della figlia minore G., ciò in quanto nessun oggettivo elemento in ordine ad un comportamento del C. pregiudizievole per la minore emergeva dagli atti, non essendo sufficiente a tal fine - trattandosi di atto di parte - la denuncia sporta dalla V., in data 10.6.2019 nei confronti del C., con riguardo ad asseriti maltrattamenti della figlia G. da parte del padre, anche a mezzo percosse.
Con riguardo poi alla dedotta violazione dell'art. 709 ter c.p.c., la Corte distrettuale escludeva altresì che fossero stati posti in essere comportamenti illeciti o, comunque, ostruzionistici da parte del C., lesivi del rapporto madre-figlio e conseguentemente del diritto alla bigenitorialità.
Relativamente al quantum del contributo stabilito a carico della reclamante osservava che, rispetto alla situazione reddituale della V., appariva del tutto congruo rideterminare in Euro 300,00 mensili, il quantum posto a suo carico.
Avverso tale pronuncia V.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria cui non ha resistito C.G.S..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che
Con il primo mezzo di annullamento è denunciata violazione degli artt. 111 Cost., 135 e 737 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4.
Si deduce in particolare che il decreto impugnato sia affetto da vizio motivazionale assoluto in relazione alla pronuncia di rigetto delle domande proposte dalla ricorrente ex art. 709 ter c.p.c..
Con il secondo mezzo di cassazione è denunciata la violazione degli artt. 111 Cost., 135 e 737 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4.
Si sostiene che la motivazione del decreto impugnato non consente di individuare in che modo e su quali basi si sia formato il convincimento della Corte territoriale in punto di quantificazione del contributo per il mantenimento del figlio A., in assenza di richiami ad elementi fattuali idonei a giustificare le ragioni della quantificazione adottata.
Con il terzo mezzo si denuncia la violazione degli artt. 337 octies c.p.c., 13 e 32 Cost., per avere la Corte di merito confermato il decreto del tribunale nella parte in cui prevedeva un percorso di sostegno "psico - familiare" ancorché i provvedimenti sull'affidamento dei figli fossero stati già adottati e, quindi, in contrasto con l'art. 337 octies c.p.c. e sebbene la relativa statuizione integrasse una forma di condizionamento idonea ad incidere sulla libertà di autodeterminazione alla cura della propria salute.
Preliminarmente va rilevata la ricorribilità ex art. 111 c.p.c. del decreto impugnato.
Va infatti ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il decreto pronunciato dalla corte d'appello in sede di reclamo avverso il provvedimento emesso dal tribunale nel procedimento di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento ed il mantenimento della prole, nonché di quelle riguardanti i rapporti patrimoniali tra i coniugi adottate in sede di divorzio, ha carattere decisorio e definitivo, in quanto incidente su diritti soggettivi ed idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, ed è pertanto impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (cfr. Cass., Sez. I, 20/01/ 2014, n. 1103; 8/0/2013, n. 18974; 24/01/2008, n. 1584).
Parimenti va riconosciuto carattere decisorio e definitivo alla decisione relativa alla domanda di irrogazione della sanzione pecuniaria e del risarcimento dei danni ex art. 709 ter c.p.c con la pronuncia del 28 ottobre 2021, Succi ed altri contro Italia, ha escluso che l'onere imposto dall'art. 366 c.p.c., n. 6 sia in sé lesivo del diritto di accesso alla giurisdizione superiore ed ha rilevato che la cosiddetta autosufficienza del ricorso, se applicata senza cadere in eccessivo formalismo, serve a semplificare l'attività dell'organo giurisdizionale nazionale e ad assicurare nello stesso tempo la certezza del diritto nonché la corretta amministrazione della giustizia (punto 75) in quanto, consentendo alla Corte di Cassazione di comprendere il contenuto delle doglianze sulla base della sola lettura del ricorso, garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili (punti 78, 104 e 105).
Il secondo motivo è fondato.
Giova ricordare, innanzitutto, che entrambi i genitori hanno il dovere di mantenere i figli: si tratta di un principio basilare nel vigente sistema giuridico della genitorialità, da considerarsi operante sia in costanza di matrimonio (cfr. artt. 143,147,316-bis c.c.) o di convivenza, sia nella fase di disgregazione dell'unione, per separazione, divorzio o cessazione della convivenza (cfr. artt. 316-bis, 337-ter c.c.). Entrambi i genitori, dunque, sono chiamati a provvedervi proporzionalmente alle loro sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
E' necessario, quindi, in via preliminare, che siano dimostrate, anche tramite presunzioni, quali siano le concrete esigenze di vita della prole, anche in considerazione della loro età e delle loro particolari condizioni, trattandosi di un elemento primario di valutazione, altresì rimarcandosi che l'aumento delle esigenze economiche dei figli è notoriamente legato alla loro crescita e non ha bisogno di specifica dimostrazione. L'assegno assolve, allora, ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l'età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione (cfr. Cass. n. 21273 del 2013, che ha pure precisato, opportunamente, che "non esiste duplicazione del contributo nel caso sia stabilito un assegno di mantenimento omnicomprensivo con chiaro riferimento a tutti i bisogni ordinari e, contemporaneamente, si predisponga la misura della partecipazione del genitore alle spese straordinarie, in quanto non tutte le esigenze sportive, educative e di svago rientrano tra le spese straordinarie"). L'entità dell'assegno di mantenimento, inoltre, dipende anche dal tenore di vita goduto in costanza di convivenza dei genitori, dal momento che la frattura familiare conseguente alla dissoluzione dell'unione non deve incidere negativamente sui figli compromettendone la qualità di vita, che deve rimanere "tendenzialmente" analoga.
Costituiscono altri parametri idonei ad influire sulla misura dell'assegno indiretto i tempi di permanenza presso ciascun genitore (e, quindi, il mantenimento diretto), le risorse patrimoniali dei genitori e la valenza dei compiti domestici e di cura assicurati ai figli, dovendosi sottolineare che la valenza dell'espressione "risorse economiche" è di ampio respiro, sicché il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale, se prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, dovendo, in caso di specifica contestazione di una di esse, effettuare i dovuti approfondimenti rivolti ad un pieno accertamento delle rispettive risorse economiche di ciascun genitore (incluse eventuali disponibilità monetarie, investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di benessere e di fondate aspettative per il futuro (cfr. Cass. n. 9915 del 2007). L'accertamento delle disponibilità reddituali e patrimoniali dei genitori, peraltro, può essere effettuato, a tali fini, anche in assenza di richiesta della parte, d'ufficio dal giudice. Sul punto, è sufficiente ricordare che la già citata Cass. n. 35710 del 2021 ha ribadito, tra l'altro, che "in tema di contributo al mantenimento dei figli minori nel giudizio di separazione o divorzio, poiché la tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all'iniziativa ed alla disponibilità delle parti, è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, e di esercitare, in deroga alle regole generali sull'onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della condizione economica e reddituale delle parti, con la conseguenza che i provvedimenti da emettere devono essere ancorati ad una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio" (Cass. 24/08/2018, n. 21178; Cass. 12/12/2005, n. 27391).
Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, nella specie, la Corte di appello di Catanzaro nel procedere alla comparazione delle condizioni economico patrimoniali dei soggetti onerati, al fine di decidere sul contributo della madre per il mantenimento del figlio maggiorenne, non abbia in alcun modo esplicitato il percorso che l'ha condotta a determinare il quantum dell'assegno nella misura di euro 300,00.
Non ha, in particolare, indicato quale siano le effettive disponibilità della madre comparate con quelle del padre, limitandosi ad un generico richiamo agli atti di causa.
Si è al cospetto, dunque, in relazione alla statuizione sul contributo per il mantenimento del figlio, di una decisione che, nella misura in cui si rivela gravemente inficiata, per quanto si è appena detto, da una motivazione evidentemente al di sotto di quel minimo costituzionale che ancora ne consente il sindacato ad opera di questa Suprema Corte (cfr. Cass., SU, 'n. 8053 del 2014), nemmeno può dirsi in linea con quanto sancito dalla L. n. 898 del 1970, art. 6 che, come si è ampiamente Friferito in precedenza, impone, nella quantificazione dell'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, l'osservanza del principio di proporzionalita, che, a sua volta, postula una effettiva valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori (oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto).
Non esiste un- criterio fisso, predeterminato, diretto a stabile ex ante-la misura dell'assegno cui il genitore sia tenuto. Il sistema normativo non prevede (diversamente da quanto avviene in altri ordinamenti) che una quota fissa dei redditi dell'obbligato sia destinata al mantenimento della prole.
L'art. 337-ter c.c. individua quali primari parametri di riferimento ai. fini della quantificazione dell'assegno predetto le "attuali esigenze del figlio" ed il "tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori".
Il terzo motivo è parimenti infondato.
Questa Corte ha già statuito che, in tema di affidamento dei figli minori, la prescrizione ai genitori di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme, di sostegno alla genitorialità, comporta comunque, anche se ritenuta non vincolante, un condizionamento, per cui è in contrasto con l'art. 13 Cost. e art. 32 Cost., comma 2, atteso che, mentre l'intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell'interesse del minore, quella prescrizione è connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione. (Cass. n. 13506 del 01/07/2015).
Analogamente, nel caso di specie, se è pur vero che il decreto impugnato non ha imposto un vero e proprio obbligo alla ricorrente di intraprendere un percorso psicoterapico per superare le criticità del suo rapporto madre - figlia, avendo esplicitato che si tratta di un invito giudiziale, è indubbio che tale statuizione integri una forma di condizionamento idonea ad incidere sulla libertà di autodeterminazione alla cura della propria salute, garantita dall'art. 32 Cost..
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va accolto e la decisione impugnata va cassata e rinviata alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Va disposto che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2023.