Sussiste la pregiudizialità tra il processo penale di accertamento della responsabilità per reati commessi in ambito familiare e la pronuncia di addebito della separazione?
Questo è il quesito che si pone la Sezione Prima civile della Cassazione con l'ordinanza n. 18725 del 3 luglio 2023.
La Suprema Corte ricorda che la sospensione del giudizio civile ex art. 295 c.p.c. è necessaria soltanto quando la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca "l'indispensabile antecedente logico - giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato".
Nella vicenda in esame, il marito era imputato in tre processi penali per i fatti denunciati dalla moglie; in particolare per abbandono di coniuge incapace, abbandono del tetto coniugale, mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza al coniuge infermo.
La ricorrente deduce in Cassazione che nonostante la pendenza dei tre giudizi penali a carico del marito, tutti aventi una correlazione imprescindibile con il presente giudizio civile perché attinenti alle responsabilità per fatti reati che implicavano l'addebito della separazione, la Corte d'appello aveva respinto l'istanza di sospensione del giudizio.
Anche la Cassazione tuttavia esclude la pregiudizialità tra i processi penali e il giudizio di separazione. La pronuncia di addebito infatti richiede che si accerti non soltanto che uno dei due coniugi ha tenuto comportamenti contrari ai doveri di matrimonio ma anche il nesso causale tra questi comportamenti e la crisi coniugale. Quindi il giudizio deve necessariamente condursi in modo autonomo rispetto al giudizio penale, la cui finalità è quella di accertare la responsabilità dell'imputato ed in caso positivo di stabilire la pena, e non di verificare gli effetti della condotta sulla comunione materiale e spirituale di vita.
Nel caso di specie la Corte d'appello, ricostruendo analiticamente la vicenda coniugale, ha accertato che i comportamenti tenuti dal marito costituiscono la conseguenza e non la causa della crisi coniugale, che era già in atto da tempo, anche in ragione della singolarità della situazione che viveva la coppia, data dalla presenza di un altro uomo, che viveva con loro e che in atto è il compagno della donna, e di una serie di problematiche idonee a minare il clima di reciproca fiducia tra i coniugi.
Correttamente quindi la Corte si è richiamata ai principi in tema di autonomia dell'azione civile rispetto alla azione penale, e ha ritenuto non sussistente il nesso di pregiudizialità, mentre la ricorrente non si confronta con la specifica ragione decisoria della esclusione dell'addebito, limitandosi a ribadire la necessità di accertare comportamenti illeciti.
la sospensione necessaria del processo civile, ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, e a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell'imputazione penale.
Cassazione civile, sez. I, Ordinanza 03/07/2023, (ud. 11/05/2023, dep. 03/07/2023), n.18725
RITENUTO CHE
G.A. ricorre avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia con la quale è stato respinto il suo appello avverso la sentenza di primo grado che, dichiarando la separazione personale dei coniugi, ha rigettato le domande di addebito e la domanda di assegno di mantenimento da lei proposta.
La ricorrente si affida a nove motivi. T.S.C. si è costituito con controricorso. La causa è stata trattata all'udienza camerale non partecipata dell'11 maggio 2023.
RILEVATO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione dell'art. 295 c.p.c. La ricorrente deduce che nonostante la pendenza di tre giudizi penali a carico di T., tutti aventi una correlazione imprescindibile con il presente giudizio civile perché attinenti alle responsabilità per fatti reati che implicavano l'addebito della separazione, la Corte d'appello ha respinto -così come il Giudice di primo grado- l'istanza di sospensione del giudizio. Rileva che al momento della prima comparizione dei coniugi in sede di separazione l'imputato era già stato rinviato a giudizio per i fatti denunciati dalla moglie in sede penale e in particolare per abbandono di coniuge incapace, abbandono del tetto coniugale, mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza al coniuge infermo.
2.- Il motivo è infondato.
In tema di sospensione del processo la giurisprudenza di questa Corte è chiara nell'affermare che il rapporto tra giudizio civile e penale è ispirato al principio della separatezza dei due giudizi, e che deve darsi una interpretazione restrittiva dell'istituto della sospensione, in armonia con il principio della ragionevole durata del processo. Escluse quindi le ipotesi di sospensione necessaria del giudizio, il Giudice civile deve procedere ad autonomo accertamento dei fatti.
La sospensione del giudizio civile ex art. 295 c.p.c. è necessaria soltanto quando la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico - giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Al di fuori di tali presupposti, la sospensione cessa di essere necessaria e, quindi, obbligatoria per il giudice ed è meramente facoltativa, con la conseguenza che il disporla o meno rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. sez. un. 408 del 06/06/2000). In particolare si è affermato che la sospensione necessaria del processo civile, ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, e a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell'imputazione penale (Cass. n. 15248 del 01/06/2021; Cass. sez. un. 13661 del 21/05/2019).
Premessi questi principi, si osserva che non sussiste pregiudizialità tra il processo penale di accertamento della responsabilità per reati commessi in ambito familiare -quali quelli dedotti dalla ricorrente- e la pronuncia di addebito della separazione. La pronuncia di addebito infatti richiede che si accerti non soltanto che uno dei due coniugi ha tenuto comportamenti contrari ai doveri di matrimonio ma anche e soprattutto il nesso causale tra questi comportamenti e la crisi coniugale (ex multis: Cass. n. 40795 del 20/12/2021), sicché il giudizio deve necessariamente condursi in modo autonomo rispetto al giudizio penale, la cui finalità è quella di accertare la responsabilità dell'imputato ed in caso positivo di stabilire la pena, e non di verificare gli effetti della condotta sulla comunione materiale e spirituale di vita.
Nel caso di specie la Corte d'appello, ricostruendo analiticamente la vicenda coniugale, ha accertato che i comportamenti tenuti dal T. costituiscono la conseguenza e non la causa della crisi coniugale, che era già in atto da tempo, anche in ragione della singolarità della situazione che viveva la coppia, data dalla presenza di un altro uomo, che viveva con loro e che in atto è il compagno della donna, e di una serie di problematiche idonee a minare il clima di reciproca fiducia tra i coniugi. Correttamente pertanto la Corte si è richiamata ai principi in tema di autonomia dell'azione civile rispetto alla azione penale, e ha ritenuto non sussistente il nesso di pregiudizialità, mentre la ricorrente non si confronta con la specifica ragione decisoria della esclusione dell'addebito, limitandosi a ribadire la necessità di accertare comportamenti illeciti.
3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 la violazione e falsa applicazione degli artt. 132,158 e 161 c. p.c. per mancata costituzione del Giudice e mancata firma della sentenza. La ricorrente deduce di avere segnalato al Giudice d'appello che la sentenza di primo grado risulta sottoscritta unicamente dal Giudice estensore, nella persona della dottoressa G.E. e non anche dal dottor C.E. -presidente di sezione del Tribunale- senza che vi sia alcuna menzione di un'eventuale impedimento quale causa della mancata sottoscrizione del presidente, con violazione del principio del Giudice precostituito per legge. Si tratta, nella prospettazione di parte ricorrente, di un caso di nullità diretta ed insanabile.
Il motivo è inammissibile.
La parte non coglie, e di conseguenza non censura, la ratio decidendi della sentenza d'appello impugnata laddove, nell'esaminare il motivo di appello qui sostanzialmente riproposto, si afferma che la dottoressa G. riuniva in sé la funzione di presidente (del Collegio) e di relatore, e di conseguenza ha sottoscritto la sentenza. Secondo quanto dispone l'art. 132 c.p.c., infatti, la sentenza deve contenere l'indicazione del Giudice che l'ha pronunciata (e non di altri giudici, pur facenti parte di quella stessa sezione) e nel caso in cui la sentenza sia stata emessa dal Giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal Giudice estensore, il che significa che deve essere sottoscritta dal presidente del Collegio giudicante e non da giudici che non abbiano partecipato alla decisione, anche se investiti della funzione direttiva o semidirettiva. Quanto al resto, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che in tutti i casi nei quali il presidente sia anche l'estensore, come accade quando egli stesso abbia proceduto all'istruzione e abbia poi effettuato la relazione al collegio, la sentenza non può che essere sottoscritta soltanto da lui (Cass. 25/01/2023, n. 2221).
4.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta l'invalidità della sentenza ex art. 158 c.p.c. e per violazione degli artt. 136,267,70,71 c.p.c. La ricorrente deduce che è stata omessa la trasmissione degli atti al pubblico ministero ed è mancata la costituzione del pubblico ministero in giudizio. E' stata infatti omessa la trasmissione degli atti al pubblico ministero a cura della cancelleria e il pubblico ministero non si è costituito nei termini previsti dall'art. 267 c.p.c. il quale regola l'intervento di terzo nel giudizio. La ricorrente contesta che nel giudizio di primo grado il pubblico ministero abbia rassegnato le sue conclusioni, poiché l'avvocato Laura Ceccarelli nelle proprie note conclusive di replica, ha rilevato che non c'era stata alcuna trasmissione degli atti al P.M. né tantomeno costituzione in giudizio.
5.- Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso la parte non coglie la ragione decisoria espressa dalla Corte d'appello, la quale ha rilevato che il pubblico ministero era al corrente del procedimento poiché il ricorso gli era stato notificato direttamente dalla parte, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza presidenziale e che la cancelleria ha mandato gli atti al pubblico ministero in data 8 febbraio 2019, il quale vi ha apposto le sue conclusioni. La Corte ha poi correttamente rilevato che il deposito del parere dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni non lede il contraddittorio. Ciò in conformità ai principi affermati in materia da questa Corte, secondo i quali non è necessaria la partecipazione del P.M. all'udienza, né la presentazione, da parte sua, di conclusioni orali o scritte, essendo, invece, sufficiente che abbia avuto la possibilità di intervenire, poiché ai fini del rispetto della norma, che il P.M. sia stato informato del processo, ossia che gli siano stati comunicati gli atti processuali, come previsto dall'art. 71 c.p.c., essendo rimessa alla sua diligenza la concreta partecipazione al processo e la formulazione delle conclusioni (Cass. 25722/2008, Cass. n. 22567 del 02/10/2013). Da rilevare, inoltre, che questa Corte ha già affermato il principio, cui il Collegio intende dare continuità, a termini del quale, in tema d'intervento obbligatorio del P.M., la tardiva formulazione delle sue conclusioni, fuori udienza e senza che le parti abbiano potute conoscerle, non determina la violazione del contraddittorio, atteso che, ai fini della validità del procedimento, non è necessaria né la presenza alle udienze né la formulazione delle conclusioni da parte di un rappresentante di tale ufficio (Cass. n. 11223 del 21/05/2014).
6.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 223 c.p.c. La parte deduce di avere depositato, in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, una querela di falso che conteneva l'indicazione degli elementi e delle prove di una falsità materiale; il Giudice avrebbe dovuto quindi rimettere la causa al tribunale competente per la decisione della querela di falso con la sospensione del processo; invece la decisione veniva presa senza che gli atti fossero esaminati in alcun modo da un organo giudicante collegiale. Il Giudice d'appello investito della questione si pronunciava allo stesso modo del primo Giudice, cioè usando una forma apparente e generalizzata senza entrare nel particolare del documento posto in esame: la ricorrente viceversa nella sua querela descriveva i particolari visibili immediatamente nella loro diseguaglianza nella relata di notifica che era stata redatta dall'ufficiale giudiziario per conto della parte avversaria e quindi l'argomento verteva su tutt'altra questione; la relata di notifica deve infatti contenere una forma distinguibile certa e la sua copia deve necessariamente essere conforme all'originale cosa che in questo caso non era avvenuta; inoltre nelle relate non appariva neppure il nome del soggetto che richiedeva la notificazione e neppure la qualità del soggetto che ha ricevuto l'atto per il destinatario. Lamenta pertanto che sia stata completamente omessa dagli atti di causa la prova della querela di falso.
7.- Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, si osserva che dall'esame congiunto del motivo di ricorso e da quanto esposto nella sentenza si desume che all'udienza del 7 febbraio 2019 la Giudice non ha ritualmente proposto alcuna querela di falso ma, soltanto, che la medesima era comparsa personalmente e aveva chiesto di depositare una querela di falso. Di conseguenza la querela non può dirsi ritualmente presentata, poiché la relativa istanza richiede la presenza del difensore, necessaria per qualunque attività processuale, poiché a mente dell'art. 82, comma secondo, del codice di procedura civile le parti non possono stare in giudizio se non con il ministero o l'assistenza di un difensore; richiede poi una serie di formalità, quale l'interpello della controparte, e quindi l'autorizzazione alla presentazione della querela ai sensi dell'art. 222 c.p.c., che però non possono prescindere da una iniziale istanza difensiva rituale, proposta da chi può patrocinare la causa.
La ricorrente peraltro non coglie neppure la ragione decisoria della sentenza della Corte d'appello laddove, richiamando la già ritenuta inammissibilità di detta "querela" da parte del primo Giudice, osserva altresì che non è stata resa un'enunciazione specifica delle ragioni a sostegno della falsità del documento e che la parte si è limitata a rilevare delle difformità tra la relata di notifica a lei eseguita e quelle eseguita al P.M., differenza che la Corte d'appello ha ritenuto del tutto normale poiché mentre l'originale riporta l'esito delle due notifiche, la copia consegnata a ciascuna parte riporta solo l'esito della notifica effettuata alla parte stessa.
A fronte di questo accertamento sulla "normalità" delle divergenze tra originale e copia, la ricorrente oltre a ribadire apoditticamente che vi erano delle diseguaglianze tra l'originale e la copia, afferma che nelle relate non appariva il nome del soggetto che richiedeva la notificazione e neppure la qualità del soggetto che ha ricevuto l'atto per il destinatario, senza però specificare se dette osservazioni erano state esposte in appello (o in primo grado), se ritualmente esposte dal difensore, e se si riferivano alla sua relata di notifica o alla relata di notifica diretta al pubblico ministero ovvero ancora a quanto riportato in originale. Ancor meno poi, specifica il pregiudizio che le sarebbe derivato da dette ""difformità" posto che è la stessa ricorrente ad esporre di essersi costituita in giudizio, contestando i fatti rappresentati dal coniuge, di essersi presentata all'udienza presidenziale, di avere proposto reclamo, e di essersi costituita anche per la fase di merito, sicché non è chiaro in cosa detta "difformità" l'avrebbe danneggiata.
8.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la invalidità della sentenza per la violazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 101 c.p.c. e dell'art. 24 della Costituzione. La ricorrente deduce che vi è stata una grave violazione contraddittorio, poiché in sede presidenziale le parti non sono state sentite separatamente e sono state registrate solo le dichiarazioni del T., mentre è inverosimile che ella non abbia parlato di tutta una serie di elementi rilevanti ai fini dell'addebito, come l'abbandono da parte del coniuge.
Il motivo è inammissibile.
Il Giudice d'appello ha disatteso questa eccezione rilevando che nel verbale si legge che i coniugi sono stati sentiti, che i loro difensori sono stati sentiti, che è stata tentata inutilmente la conciliazione, che si procede all'interrogatorio delle parti e che viene riportato quanto da esse dichiarato. Il verbale di udienza è un atto pubblico, che fa fede fino a querela di falso di quanto avvenuto in presenza del Giudice e non è consentito contestarlo deducendone la inverosimiglianza, peraltro rapportata ad un parametro di giudizio del tutto personale.
9.- Con sesto motivo del ricorso si lamenta la invalidità della sentenza per violazione dell'obbligo di astensione da parte del Giudice di primo grado. Secondo la ricorrente il Giudice di primo grado aveva l'obbligo di astenersi per "grave inimicizia" o per "causa pendente" perché essa ricorrente aveva presentato nei suoi confronti un esposto nonché una denuncia in sede penale e già questo dimostrerebbe la grave inimicizia.
Il motivo è palesemente infondato.
Come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello la presentazione di un esposto ovvero anche di una denuncia non comporta l'obbligo di astensione del Giudice, non potendosi parlare né di giudizio pendente né di grave inimicizia. Si tratta di un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte la quale ha già affermato che ai fini della configurabilità dell'obbligo del Giudice di astenersi, ai sensi dell'art. 51 n. 3 c.p.c., non vale ad integrare la pendenza di una "causa" la mera presentazione di un esposto, che non è un atto di citazione, un ricorso o comunque un atto di impulso idoneo a dare inizio ad un procedimento giudiziale; né tale presentazione può configurare l'obbligo di astensione per "grave inimicizia", che deve essere reciproca ed originata da rapporti privati (Cass. n. 7683 del 13/04/2005 v. in arg. anche Cass. n. 27923 del 31/10/2018). Ed ancora, è stato affermato da questa Corte che ai sensi dell'art. 51, numero 3, c.p.c., la "grave inimicizia" del Giudice nei confronti della parte non può, in linea di principio, originare dall'attività giurisdizionale del magistrato, se non in presenza di situazioni, eccezionali e patologiche, di violazione grossolana e macroscopica di principi giuridici, indicativa di un esercizio della giurisdizione volto al perseguimento dello scopo di danneggiare la parte per ragioni di ostilità, ma si riferisce a rapporti estranei al processo, in particolare alla presenza di ragioni di rancore o di avversione pregiudicanti l'imparzialità del Giudice (Cass. civ. Sez. Un., 08/10/2001, n. 12345).
10.- Con il settimo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 la violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c. per assenza delle conclusioni del pubblico ministero e di una parte del giudizio nella sentenza. La ricorrente deduce di avere esplicitamente dedotto, nelle note conclusionali, la circostanza dell'abbandono in Germania così come del suo precario stato di salute, come risulta dal provvedimento del G.I.P., e su questo specifico elemento rilevante riportato nella conclusioni il Tribunale di Brescia non ha formulato alcuna motivazione, astenendosi dalla disamina dei documenti richiamati e omettendo una doverosa valutazione dei provvedimenti giudiziari penali; la mancata riproduzione in sentenza delle conclusioni formulate dall'odierna ricorrente non si è arrestata sulla soglia di una irregolarità meramente formale ma è piuttosto da ricollegare tale vizio un'omessa pronuncia o un difetto di motivazione.
11.- Il motivo è inammissibile.
In primo luogo si rileva che il motivo difetta di chiarezza e pertinenza in quanto censura una pretesa omissione da parte del Tribunale, senza specificare in che termini questo vizio è stato oggetto di censura in appello.
In ogni caso, può qui richiamarsi quanto sopra esposto, e cioè che i fatti dedotti dalla parte per sostenere la propria richiesta di addebito sono stati esaminati dal Giudice del merito, valutando complessivamente il comportamento tenuto nell'ambito della relazione coniugale e escludendo, per le ragioni sopra precisate, la sussistenza del nesso causale con la crisi coniugale. Pertanto, non può dirsi che sia stata omessa la pronuncia sulla effettiva domanda della parte e cioè l'addebito della separazione. Quanto al resto, costituisce principio consolidato che il Giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all'art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'"iter" argomentativo seguito (Cass. n. 12652 del 25/06/2020).
12.- Con l'ottavo motivo del ricorso si lamenta la violazione del principio di cui all'art. 2697 c.c., il difetto di istruttoria, l'occultamento e smarrimento di prove legali, l'omessa valutazione delle prove prodotte, l'omessa erronee e illogica motivazione, il travisamento e l'erronea valutazione dei fatti, la lesione del diritto di difesa ai sensi degli artt. 24 e 3 della Costituzione.
La ricorrente ripercorre e riassume la vicenda del (presunto) smarrimento suo fascicolo che il Giudice di primo grado aveva ritenuto ritirato, rilevando che questa affermazione è erronea poiché ella che non poteva ritirare alcunché trattandosi di un fascicolo telematico. Rileva che la circostanza che il Giudice di secondo grado abbia invece "rinvenuto" gli atti e li abbia esaminati, verificando gli atti e documenti prodotti dalla difesa di essa ricorrente, non sana il vizio perché l'appello sottopone all'attenzione di un nuovo Giudice un rapporto sostanziale già conosciuto dal primo Giudice, non dando vita a un nuovo processo e gli permette di riesaminare la controversia solo se già sia stata esaminata da un altro giudice. Deduce inoltre che il Giudice d'appello ha usato affermazioni contrarie persino alle stesse risultanze emerse in sede penale a proposito del reato di calunnia.
13.- Il motivo è inammissibile.
La censura appare diretta più alla sentenza di primo grado che alla sentenza di secondo grado, poiché tratta prevalentemente della questione dello smarrimento del fascicolo che, secondo la ricorrente, era invece impossibile, trattandosi di fascicolo telematico. Tuttavia, la circostanza che il Giudice di primo grado non abbia esaminato alcuni atti e documenti (quale che sia la ragione) è resa irrilevante dal fatto che questi documenti sono stati rinvenuti dal Giudice di secondo grado e da lui esaminati poiché le cause di restituzione del processo al primo Giudice sono tassative. Anche la questione della lesione del diritto di difesa è genericamente evocata, senza specificare il concreto ed effettivo pregiudizio che ne sarebbe derivato dalla parte, la quale lamenta che tutti i documenti non esaminati dal Giudice di primo grado conteneva prove dei plurimi maltrattamenti familiari e del contestuale abbandono del tetto coniugale, vicende che però, come sopra si è detto, sono state valutate dal Giudice d'appello e ritenute prive di incidenza sulla crisi coniugale, dovuta ad altre ragioni. Trova qui applicazione il principio che in cassazione è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo con cui si censuri una violazione processuale non correttamente valutata dal Giudice d'appello, allorché essa non rientri tra i casi tassativi di rimessione della causa al primo Giudice e non si sia tradotta in un effettivo pregiudizio per il diritto di difesa. In tal caso, infatti, convertendosi l'eventuale nullità della sentenza in motivi di impugnazione, l'impugnante deve, a pena d'inammissibilità, indicare specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dall'invocato vizio processuale (Cass. n. 20834 del 30/06/2022). Le ulteriori argomentazioni costituiscono censure di merito, non proponibili in questa sede.
14.- Con il nono motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 151 c.p.c., il vizio motivazionale, il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, il difetto di iter logico giuridico seguito dal Giudice nel decidere la questione, la mancanza di motivazione o motivazione apparente. Con questa censura, che contiene anche vari riferimenti all'art. 360 c.p.c., n. 5, la parte ripercorre l'excursus delle vicende coniugali e assume che ha errato il Giudice d'appello a non ritenere l'addebito; in parte censura la decisione del Tribunale di Brescia, in altra parte afferma che il Giudice di secondo grado avrebbe ignorato e accantonato le numerose prove documentali sulla violazione dei doveri coniugali, concentrandosi soltanto sulle conversazioni in chat che non sono significative, poiché si tratta di brani estrapolati da un più ampio complesso, e comunque incompatibili con gli atti del procedimento penale; ripropone la tesi della addebitabilità della separazione e censura la sentenza anche sotto il profilo del mancato accoglimento della domanda di corresponsione dell'assegno di mantenimento, assumendo che lo stesso T. avrebbe ammesso di lavorare in nero come camionista, mentre le condizioni di essa ricorrente sono disperate perché non ha mezzi di sostentamento.
15.- Il motivo è inammissibile.
Si propongono una serie di censure, tutte di merito, ed in parte anche dirette avverso la sentenza di primo grado, con le quali si sollecita la rivalutazione del materiale probatorio; peraltro, la censura di contraddittorietà della motivazione non è più proponibile in cassazione a seguito della riforma dell'art. 360 c.p.c., n. 5 operata con il D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. nella L. n. 134 del 2012, e la censura di omesso esame di fatto decisivo, comunque inammissibile nel caso di c.d. doppia conforme (Cass. n. 5947 del 28/02/2023) deve riferirsi a fatti e non alla valutazione dei medesimi da parte del Giudice di merito.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi oltre Euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 03 luglio 2023.