Il mutamento di fede religiosa e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 Cost., non possono di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione.
Tuttavia è configurabile l’addebito se l'adesione al nuovo credo religioso si traduce in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge previsti dall'art. 143 c.c., tali ad determinare una situazione di improseguibilità della convivenza.
Lo ha stabilito la Prima Sezione civile della Cassazione con l’ordinanza n. 19502 depositata il 10 luglio 2023.
Nel caso di specie, una moglie ha deciso di cambiare la sua fede religiosa e dedicarsi alla sua nuova congregazione. Contemporaneamente, ha cessato di occuparsi delle faccende domestiche, rifiutando di cucinare, di prendersi cura della casa e del bucato, e dimostrando disaffezione verso il marito.
Inizialmente, sia in primo grado che in appello, la domanda di addebito della separazione presentata dal marito è stata rigettata. La Corte d’Appello ha ritenuto che la frequentazione della nuova congregazione religiosa da parte della moglie non potesse essere considerata motivo di addebito della separazione, poiché non era stato dimostrato che tali comportamenti avessero violato i doveri di coniuge previsti dall'art. 143 c.c.
Tuttavia, la Cassazione, accogliendo il ricorso del marito, ha criticato le argomentazioni della Corte d’Appello. Quest'ultima aveva cercato di valorizzare una situazione di reciproca sostanziale autonomia di vita, testimoniata dal fatto che i coniugi dormivano separati, ma non aveva spiegato se una simile situazione risaliva ad epoca antecedente ai comportamenti denunciati dal marito.
Ne discende che la negazione dell'esistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti lamentati ed il determinarsi dell'intollerabilità dell'ulteriore convivenza è rimasta affidata alla constatazione di una situazione di fatto priva di sicura collocazione temporale, in un'epoca idonea a giustificare la ravvisata esclusione del nesso di causalità.
Da qui la cassazione della sentenza, con rinvio della causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame.
Cassazione civile sez. I, Ordinanza 10/07/2023, (ud. 31/05/2023, dep. 10/07/2023), n. 19502
(Dott. GENOVESE Francesco A. - Presidente; Dott. PAZZI Alberto - rel. Consigliere)
Rilevato che
1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 8280/2019 del 20 settembre 2019, pronunciava la separazione personale dei coniugi C.R. e R.V., rigettava le reciproche domande di addebito presentate dai coniugi e poneva a carico del R. l'obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e del figlio nella misura, rispettivamente, di Euro 400 e Euro 250 mensili.
2. La Corte d'appello di Napoli, a seguito dell'impugnazione presentata da R.V., riteneva che la frequentazione di una congregazione religiosa a parte della C., di per sé, non potesse assumere rilievo determinante per la pronuncia di addebito, dato che non risultava dimostrato che un simile comportamento avesse comportato una violazione dei doveri coniugali e assunto rilievo causale nel provocare l'intollerabilità della convivenza.
Reputava, inoltre, che non sussistessero i presupposti per revocare o ridurre l'assegno di mantenimento previsto dal tribunale in favore della C. e del figlio.
3. Per la cassazione della sentenza di rigetto dell'appello, pubblicata in data 21 febbraio 2022, ha proposto ricorso R.V. prospettando tre motivi di doglianza.
L'intimata C.R. non ha svolto difese.
Considerato che
4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 155-ter c.c. e 9 l. 898/1970, perché la Corte di merito non ha disposto la revoca dell'assegno di mantenimento in favore del figlio D., benché l'appellante avesse prodotto, in sede di precisazione delle conclusioni, documentazione attestante che il giovane era stato assunto con contratto a tempo indeterminato.
5. Il motivo, da interpretarsi come volto a denunciare l'omesso esame dell'estratto contributivo prodotto in sede di precisazione delle conclusioni, è fondato.
Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione nel caso in cui determini l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (v. Cass. 16812/2018, Cass. 19150/2016).
Il documento in discorso dimostra lo svolgimento, da parte di R.D., di una attività lavorativa retribuita quale lavoratore dipendente a partire dal 9 dicembre 2020.
Esso assumeva rilievo di certo decisivo al fine di verificare l'esistenza di un obbligo di mantenimento a carico del padre, dato che costituiva un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito e, quindi, della raggiunta autosufficienza economica.
Ne' è possibile dubitare del fatto che la Corte territoriale fosse tenuta ad esaminarlo, benché prodotto soltanto in sede di precisazione delle conclusioni.
In vero, la nuova formulazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c., introdotta dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012, pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l'"indispensabilità" degli stessi e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (Cass. 26522/2017).
La produzione di questi ultimi documenti deve poi avvenire, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione nell'atto introduttivo del secondo grado di giudizio, salvo che la loro formazione sia successiva e la loro produzione si renda necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo, rimanendo comunque preclusa una volta che la causa sia stata rimessa in decisione (Cass. 12574/2019).
Nel caso di specie il documento prodotto attestava l'esistenza di un rapporto di lavoro che aveva preso avvio il 9 dicembre 2020; ne discende che esso non poteva essere certo presentato con l'atto introduttivo del giudizio di appello (risalente al 10 marzo 2019) e risultava ritualmente depositato in sede di precisazione delle conclusioni.
6. Il secondo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c., la violazione dell'art. 143 c.c., in quanto la Corte di merito ha tralasciato di valorizzare, ai fini dell'accoglimento della domanda di addebito, il fatto che la C. avesse aderito a un credo religioso diverso da quello praticato dal R. e, a causa di questa pratica, avesse assunto un comportamento contrario ai doveri conseguenti al rapporto matrimoniale, secondo la ricostruzione delle vicende familiare offerta dal teste C..
7. Il motivo è fondato, nei termini che si vanno ad illustrare.
La Corte di merito ha ricordato che il mutamento di fede religiosa e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 Cost., non possono di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l'adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge previsti dall'art. 143 c.c., in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza (Cass. 14728/2016); ha poi ritenuto che la violazione dei doveri coniugali ascritta alla C., in termini di atteggiamenti di indifferenza verso il marito (tanto da non occuparsi più delle faccende domestiche), non trovasse adeguata conferma nella deposizione testimoniale raccolta, sottolineando anche che la scelta della stessa di dedicarsi alla congregazione religiosa o di trascorrere tempo davanti al computer non aveva avuto un'effettiva incidenza causale, intervenendo in un progetto di vita di separati in casa.
Un simile rilievo si presta a una duplice censura.
Non vi è dubbio che la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che l'irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile in via esclusiva al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità dell'ulteriore convivenza; cosicché, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (si veda in questi termini, per tutte, Cass. 40795/2021).
Il giudice di merito, tuttavia, laddove intenda sostenere che una determinata condotta, che di per sé varrebbe a integrare una violazione dei doveri conseguenti al matrimonio, non sia idonea a giustificare l'addebito della separazione ai sensi dell'art. 151 c.c., essendo non la causa del fallimento dell'unione matrimoniale ma la conseguenza di una situazione di crisi già irrimediabilmente in atto, deve fondare una simile constatazione su una compiuta descrizione della situazione di vita invalsa fra i coniugi in epoca precedente al verificarsi della condotta di cui intende sminuire il valore eziologico; ciò onde dar conto dei termini e dell'epoca in cui il rapporto matrimoniale aveva avuto la sua deriva.
Nel caso di specie la Corte di merito, al fine di sostenere che l'allegata violazione dei doveri coniugali fosse la conseguenza di una rottura dell'unione matrimoniale già avvenuta e non la causa del fallimento della stessa, ha inteso valorizzare una situazione di "reciproca sostanziale autonomia di vita" testimoniata dal fatto che i due coniugi dormivano separati, ma non ha spiegato se una simile situazione risalisse ad epoca antecedente al momento in cui le condotte denunciate si verificarono.
Ne discende che la negazione dell'esistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti lamentati ed il determinarsi dell'intollerabilità dell'ulteriore convivenza è rimasta affidata alla constatazione di una situazione di fatto priva di sicura collocazione temporale in un'epoca idonea a giustificare la ravvisata esclusione del nesso di causalità.
Peraltro, il teste escusso - come rileva il mezzo in esame - non si è limitato a riferire di atteggiamenti di disaffezione costituiti dal fatto che la C. si era rifiutata di cucinare, di occuparsi della casa e del bucato, ma ha raccontato pure di continue denigrazioni e richieste Queste condotte, del tutto ignorate dalla Corte di merito, ove fossero consistite in un comportamento moralmente violento dovevano essere considerate ontologicamente incompatibili con gli obblighi di assistenza morale e materiale e collaborazione nell'interesse della famiglia a cui ciascuno dei coniugi è tenuto ex art. 143, comma 2, c.c. ed assumevano incidenza causale effettiva e preminente rispetto a qualsiasi causa eventualmente preesistente di crisi dell'affectio coniugalis (Cass. 7388/2017).
8. L'accoglimento del precedente motivo comporta l'assorbimento dell'ultima censura, concernente il contributo al mantenimento dovuto dal R. alla C..
9. La sentenza impugnata deve essere dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2023.